Brexit, prove di vassallaggio

Lo spettro del duca di Wellington agita le notti della piccola città mentre il vento strepita tra le forre e le casette a schiera. L’alba a Waterloo è un esercito di colletti bianchi, dipendenti della Commissione europea, pendolari della burocrazia che hanno inchiodato Londra a una resa incondizionata. Il luogo che fu palcoscenico della fine dell’ordine europeo napoleonico per mano inglese è ora un dietro le quinte di un contrappasso storico: l’accordo tra Londra e Bruxelles che definisce i contorni della Brexit fa del Regno Unito un vassallo europeo. Le cinquecento pagine della bozza concordata dai tecnici prevedono che:

  • il Regno Unito dovrà sborsare 60 miliardi di euro fino al 2020, mantenendo così gli impegni presi in relazione al bilancio comunitario. SI tratta di quel famoso “conto” che i sostenitori della Brexit (da Nigel Farage in giù) dicevano che giammai avrebbero pagato.
  • i cittadini dell’Unione andranno e verranno come gli pare, i loro diritti di permanenza e lavoro rispetteranno le norme UE. Questo significa che la promessa di cacciare i cittadini europei, colpevoli di rubare lavoro ai britannici, non potrà essere mantenuta.
  • ci sarà un periodo di transizione durante il quale il Regno Unito continuerà a far parte del mercato unico europeo ma senza poter decidere nulla in merito. Londra perderà così ogni diritto sulle istituzioni europee, perderà la sua quota di seggi al parlamento e non potrà partecipare ai Consigli europei. Tale periodo di transizione terminerà nel 2020 ma potrà essere rinnovato fino al 2099. Sovranità e controllo dei confini sono state le parole d’ordine dei brexiters ma, anche in questo caso, hanno fallito.
  • dopo il 2020 l’accesso al mercato unico sarà regolato da accordi simili a quelli in vigore per la Norvegia e l’Ucraina. Londra si troverà quindi in posizione di subalternità rispetto all’UE.
  • la Corte europea avrà l’ultima parola su ogni disputa commerciale.Londra quindi non solo dovrà accettare le regole dell’Unione per accedere al mercato comunitario ma dovrà rispettare le sentenze dell’UE, quindi di un tribunale “estero”.

I brexiters, traditori o incapaci?

Questa bozza di accordo è il risultato della debolezza politica del governo conservatore di Teresa May, dominato da figure pro-brexit tuttavia incapaci di realizzare un’uscita dall’UE che garantisca sovranità e libertà al paese. Eppure ‘sovranità e libertà’ erano le parole d’ordine della campagna pro-brexit. Resta da capire se il governo conservatore abbia tradito quelle promesse per pura inettitudine oppure se, in fondo, quello che andavano cercando fosse un accordo morbido, che consentisse a Londra di rimanere con un piede dentro l’UE.

Un piede dentro e un piede fuori

Quando il Regno Unito era membro dell’Unione europea poteva godere di numerose deroghe che ne garantivano relativa autonomia rispetto alle decisioni comunitarie e consentivano a Londra di negoziare da una posizione di forza. Il paese aveva un piede dentro e uno fuori dall’UE traendo da questa posizione indubbi benefici, accedendo al mercato unico ma restando padrona della propria sovranità.

L’accordo per la Brexit mette ora il Regno Unito in una posizione assai più scomoda. Londra resta con un piede nell’UE, accedendo al mercato unico, ma deve accettare tutte le richieste di Bruxelles. I negoziati sono stati condotti da una posizione di debolezza poiché l’interesse britannico ad accedere al mercato unico era maggiore rispetto all’interesse europeo di includere il paese all’interno dello stesso. Londra si troverà a subire le decisioni dell’UE senza poter contribuire a modificarle.

L’irrinunciabile accesso al mercato unico

Accedere al mercato unico europeo è per Londra una necessità. Dopo quasi cinquant’anni di appartenenza all’UE, il paese ha sviluppato un alto livello di integrazione economica con catene di logistica e forniture profondamente intrecciate con il resto d’Europa. Convertire il comparto manufatturiero, la logistica e le forniture alle necessità della Brexit, garantendo competitività a questi settori, richiederà molti anni. Per questo si è reso necessario stabilire un periodo di transizione che terminerà nel 2020 ma, verosimilmente, dovrà essere rinnovato. Proprio per ottenere l’accesso al mercato unico, i negoziatori di Londra hanno dovuto cedere su tutti gli altri punti, realizzando quello che abbiamo voluto definire, tra il serio e il faceto, un vassallaggio.

Parola al parlamento

La bozza dell’accordo dovrà essere approvata dal parlamento britannico e non sappiamo se sperare in un rifiuto, che salverebbe la dignità ma non il portafoglio, o in un’approvazione che getterebbe l’onore e la sovranità di Londra nel cesso ma consentirebbe al paese di sopravvivere alla transizione.Se il parlamento dovesse bocciare l’accordo, non ci sarà tuttavia il tempo per rinegoziare. Il rischio sarebbe quello di un’uscita al buio. Un’eventuale caduta del governo non farà che rendere più debole il paese e più incerto il futuro. Non mancano infatti le tensioni interne: in Nord Irlanda e in Scozia sono molti i mal di pancia nei confronti della Brexit e tenere insieme il regno potrebbe non essere così semplice.

Un monito per tutti

Se questa vicenda evidenzia da un lato l’inadeguatezza politica dei brexiters, dimostra dall’altro quanto sia difficile uscire dall’UE. Il prezzo da pagare è altissimo. Diventa così evidente come la via dell’uscita unilaterale sia controproducente. I vari exiters d’Europa dovranno individuare nuove strategie smettendo di raccontare che l’uscita dall’UE possa portare maggior benessere, libertà e sovranità. Il caso britannico ci dimostra che è l’esatto contrario.

 

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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