Dopo una riunione del suo esecutivo, il primo ministro Ramush Haradinaj ha annunciato lo scorso 6 novembre, la decisione di aumentare le tariffe doganali del 10% sui prodotti serbi e bosniaci. Haradinaj ha precisato che per la prima volta una simile decisione viene presa nella storia recente del paese. Secondo Pristina questo provvedimento giungerebbe in risposta al comportamente ostile adottato negli ultimi mesi dai governi di Serbia e della Bosnia-Erzegovina nei confronti del Kosovo.
Le motivazioni di Pristina
Nello specifico, Haradinaj ha denunciato le minacce da parte della Serbia contro “innocenti cittadini serbi del Kosovo soltanto perché i loro figli e figlie si fossero arruolati nella Kosovo Security Force (KFS)”. Le autorità di Belgrado si sono più volte espresse contro una possibile trasformazione della KFS da forza di sicurezza a esercito regolare del paese. A giustificare la scelta dei dazi alla Bosnia è stato invece il ministro kosovaro del Commercio e dell’Industria Endrit Shala. Il provvedimento è stato motivato dal ministro a causa del mancato riconoscimento da parte bosniaca dell’indipendenza kosovara e perché in passato il paese aveva bloccato l’entrata di alcuni prodotti provenienti dal Kosovo.
Le reazioni ai dazi
Intanto, sia i destinatari delle misure di Pristina che l’Unione europea non hanno tardato a esprimere le proprie perplessità e malumori per la decisione del governo kosovaro. Di simile avviso sono stati il ministro serbo del commercio, del turismo e delle comunicazioni, Rasim Ljajić e il ministro del commercio estero e relazioni economiche della Bosnia-Erzegovina, Mirko Šarović. Entrambi hanno sottolineato come le misure siano contrarie agli accordi intrapresi dal Kosovo nell’ambito dell’Accordo centroeuropeo di libero scambio (CEFTA).
Le misure protezionistiche di Pristina andrebbero a colpire severamente l’export serbo in Kosovo, che nel 2017 secondo l’Agenzia di Statistica del Kosovo (ASK) ammontava a circa 400 milioni di euro. Analogamente, i dazi alla Bosnia inciderebbero in particolar modo nel settore dell’export di latte e dei prodotti caseari attirando le preoccupazioni degli imprenditori bosniaci interessati.
Anche Bruxelles, tramite il portavoce per gli Affari esteri dell’UE Maja Kocijančič ha chiesto urgenti chiarimenti sulla decisione intrapresa dalle autorità kosovare. Come i ministri di Serbia e Bosnia, Kocijančič ha specificato che tali misure siano state adottate in chiara violazione del CEFTA, accordo sottoscritto dal Kosovo nel 2007. La portavoce ha poi aggiunto che l’Unione spera che “il Kosovo, che detiene al momento la presidenza del CEFTA, rispetterà le disposizioni dell’Accordo e revocherà le misure protezionistiche”.
Gli sforzi diplomatici di Belgrado
I dazi nei confronti di Belgrado sembrano essere una reazione di Pristina agli “sforzi diplomatici” del ministro degli affari esteri serbo, Ivica Dačić, impegnato da mesi nel convincere altri paesi a ritirare il riconoscimento internazionale all’indipendenza kosovara. Secondo il sito web del Ministero degli affari estero serbo sarebbero già nove i paesi ad aver ritirato il riconoscimento all’indipendenza dichiarata dal Kosovo nel 2008. Dačić, invece, parlando alla Radio-televizija Srbije, avrebbe incluso anche le Isole Comore come decimo paese ad aver ritirato il riconoscimento dell’indipendenza kosovara. I paesi in questione sarebbero: Grenada, Dominica, Suriname, Unione delle Comore, Liberia, Sao Tome e Principe, Guinea-Bissau, Burundi, Papua Nuova Guinea e Lesotho. La confusione sembra tuttavia fare da sovrana. Il governo di Belgrado include la Guinea-Bissau, che invece ha riconfermato il sostegno all’indipendenza di Pristina nei primi mesi del 2018. In modo analogo sia la Liberia che la Papua Nuova Guinea hanno smentito di aver ritirato il riconoscimento dell’indipendenza kosovara.
Un altro terreno di scontro diplomatico tra Pristina e Belgrado riguarda l’adesione del Kosovo all’Interpol, l’organizzazione che si occupa, tramite attività di polizia a rete mondiale, del contrasto del crimine internazionale. Mentre i rappresentanti kosovari sperano in un’adesione all’Interpol già nella prossima riunione dell’organizzazione prevista per il 20 novembre, tale eventualità sarebbe considerata come una “grave violazione del diritto internazionale” a detta del ministro degli interni serbo Nebojša Stefanović. In realtà, la collaborazione tra la polizia kosovara e l’Interpol beneficerebbe entrambi i paesi balcanici che potrebbero reprimere più facilmente i crimini in Kosovo evitando una loro potenziale espansione negli stati confinanti. La Serbia, vedrebbe però quest’adesione come un passo ulteriore verso il pieno riconoscimento internazionale dell’indipendenza del Kosovo, una circostanza ancora osteggiata dal governo di Belgrado.
Le dispute degli ultimi mesi tra il governo serbo e quello kosovaro sembrano pertanto essere in netto contrasto con i tentativi di normalizzazione dei rapporti tra i due paesi. Mentre Pristina e Belgrado hanno scelto di adottare una politica basata su reciproche accuse e ritorsioni, la stabilizzazione economica e politica della regione appare ancora un traguardo remoto.
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Foto: European Western Balkans