ARMENIA: Cancellato forum LGBT, tra minacce e manipolazioni

A un mese dalle elezioni anticipate dell’Assemblea Nazionale, il dibattito pubblico e politico in Armenia sembra essersi polarizzato attorno ad un unico tema: l’organizzazione di un forum cristiano LGBT a Yerevan. Gli organizzatori armeni dell’undicesima edizione del “Forum Cristiano LGBT dell’Europa orientale e dell’Asia centrale”, che si sarebbe dovuto svolgere dall’11 al 15 novembre, sono stati costretti ad annullare l’evento in seguito alle costanti minacce e alle sistematiche intimidazioni ricevute. I membri della ONG New Generation hanno inoltre dichiarato che la polizia locale non si è mostrata intenzionata a proteggere gli attivisti LGBT, sostenendo che il Forum fosse “inappropriato” dal punto di vista dei rischi e della sicurezza e che, quindi, andasse cancellato.

Dal 2004 ad oggi, il Forum riunisce membri delle comunità cristiane, attivisti, rappresentanti del mondo religioso, o anche semplici interessati, in un dialogo basato sulla fede religiosa e contrario ad ogni discriminazione. Le precedenti tredici edizioni del Forum si erano svolte in altri paesi della regione (tra cui la Romania, la Moldavia, l’Estonia, l’Ucraina e la Federazione Russa) senza mai riscontrare particolari problemi di sicurezza o di violenza. La vera ragione della cancellazione in Armenia è un’altra: da semplice evento, il Forum Cristiano LGBT si è trasformato in una vera e propria arma in mano alle forze politiche d’opposizione allineate con l’ex partito di governo, il Partito Repubblicano dell’ex presidente Sarksyan, che stanno strumentalizzando la questione al fine di screditare il premier ad interim Nikol Pashinyan in vista delle elezioni anticipate di dicembre.

Diritti LGBT: tra manipolazioni e convenienza politica

Già nell’agosto di quest’anno, l’organizzazione non governativa Human Rights Watch aveva sottolineato come determinate forze politiche stessero monopolizzando il dibattito sui diritti LGBT, usandolo per colpire l’allora neo-eletto premier Pashinyan. Era stato un attacco omofobo a Shurnoukh, un piccolo villaggio nel sud dell’Armenia, a dare il via a tali manipolazioni. Il 3 agosto 2018, un uomo proveniente dalla città di Goris, accompagnato da una ventina di abitanti del villaggio aveva fatto irruzione in casa dell’attivista Hayk Hakobyan, urlando insulti omofobi, nonché aggredendo e ferendo altri sei attivisti LGBT che si trovavano nell’abitazione. Già nel mese di aprile, Hakobyan era stato vittima di un attacco omofobo proprio nella città di Goris. In entrambi i casi, gli aggressori non vennero condannati. Dopo l’attacco di agosto, le vittime si ritrovarono a subire discorsi di odio sui media e nei dibattiti politici – manipolati principalmente da membri del governo che era stato deposto dalla Rivoluzione di velluto – mentre il neoeletto Pashinyan non condannò pubblicamente la vicenda. Perché?

Sebbene Pashinyan si faccia portatore di una rivoluzione democratica e, secondo Human Rights Watch, di una politica basata sui diritti umani (inclusi quelli LGBT), egli si trova in una posizione molto scivolosa. Indubbiamente, il leader della Rivoluzione di velluto può contare su un sostegno popolare molto alto, ciò che rende le sue scelte politiche molto più legittime di quanto lo siano state quelle del suo predecessore. Ma ogni politico armeno sa che nel paese ci sono almeno due questioni con cui è meglio non scherzare: la pace con l’Azerbaigian riguardo al conflitto del Nagorno-Karabakh, e i diritti LGBT. Per un leader che dichiara di servire il popolo e di trarre la propria legittimità dal volere della maggioranza, esprimersi in favore di una questione così controversa a livello di pubblico, come quella dei diritti della comunità LGBT, potrebbe essere un’arma a doppio taglio.

Da questa riflessione deriva la prudenza con cui Pashinyan si è espresso nei giorni scorsi sulla cancellazione del Forum Cristiano LGBT. Il premier ad interim ha infatti evitato ogni commento sulla questione sollevata in Parlamento, dichiarando che “meno se ne parla, meglio è”. Unamossa conveniente sul breve termine, poiché non compromette il suo sostegno popolare proprio in una fase cruciale delle trasformazioni politiche nel paese, ma che sul lungo termine rischia di legittimizzare il discorso di odio che, nel paese, trova nella comunità LGBT uno dei suoi bersagli preferiti.

Dopo le elezioni, quale futuro per i diritti LGBT?

Le elezioni di dicembre sono un pretesto per rimandare non solo la condanna di attacchi e discorsi omofobi, ma anche l’adozione di una legge contro la discriminazione – che include la discriminazione basata su orientamento sessuale e identità di genere. Questa legge, di cui si parla da almeno 4 anni, fa parte anche del Piano d’azione nazionale sui diritti umani – che è fortemente sostenuto e finanziato anche dall’Unione Europea. Non è la prima volta che l’UE fa pressione su Yerevan affinché questa intraprenda delle riforme volte ad assicurare l’uguaglianza di genere e il rispetto dei diritti umani. Ne è un esempio la legge contro la violenza domestica (di cui avevamo parlato qui), molto voluta dall’UE e adottata nel gennaio di quest’anno dopo lunghe polemiche. Ricordiamo come questa legge avesse subito, nel corso degli accesi dibattiti in Parlamento, uno stravolgimento totale del suo contenuto: dalla necessità di proteggere le donne vittime di abusi si era finiti a parlare di “salvaguardia dell’armonia familiare”. Tenuto conto dell’alto rischio che la legge venisse bloccata definitivamente dai gruppi conservatori, l’UE aveva però preferito tenere un basso profilo, accontentandosi del risultato positivo (anche se solo formale) dell’iter legislativo, e di una legge che non rende giustizia al suo scopo.

Secondo alcuni difensori dei diritti umani armeni, se una legge contro la discriminazione LGBT dovesse essere discussa dal nuovo Parlamento dopo le elezioni, probabilmente si ripeterà uno scenario simile a quello già visto a gennaio: polarizzazione del dibattito politico, iter legislativo complicato ed esiti potenzialmente discutibili. Considerando le controversie che avevano accompagnato l’adozione, nel 2013, di una legge sulle pari opportunità in Armenia, i futuri legislatori dovranno probabilmente anche sforzarsi di trovare una soluzione creativa per inserire nella legge contro la discriminazione il concetto (frainteso, strumentalizzato ed esecrato) di “identità di genere”. Con un altro cambio di nome (e di sostanza) particolarmente eloquente, quella del 2013 si era infatti trasformata da legge “sulla parità di genere” a legge “sulle pari opportunità tra uomo e donna”.

Nonostante tutto, un progresso in materia di diritti LGBT è auspicato dai rappresentanti della società civile più progressista, che vedono nell’adozione della legge anti-discriminazione un appiglio giuridico fondamentale affinché la comunità LGBT del paese possa rivendicare i propri diritti davanti ai tribunali. Anche dopo l’eventuale adozione della legge, però, resterebbe la questione della sua applicazione da parte dei giudici, nonché quella delle pratiche e del cambio di mentalità. In Georgia, Ucraina e Moldavia – paesi in cui negli scorsi anni l’UE aveva imposto l’adozione di una legislazione anti-discriminazione come condizione per la liberalizzazione dei visti – i diritti LGBT continuano a non essere garantiti. Così come continua a non essere garantita in Armenia la parità tra i sessi, nonostante l’esistenza della sopracitata legge.

Immagine: PINK Armenia

Chi è Laura Luciani

Nata a Civitanova Marche, è dottoranda in scienze politiche presso la Ghent University (Belgio), con una ricerca sulle politiche dell'Unione europea per la promozione dei diritti umani e il sostegno alla società civile nel Caucaso meridionale. Oltre a questi temi, si interessa di spazio post-sovietico in generale, di femminismo e questioni di genere, e a volte di politiche linguistiche. E' stata co-autrice del programma "Kiosk" di Radio Beckwith.

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