CROAZIA: La scuola multietnica che nessuno vuole

Borovo Naselje è un piccolo paesino in provincia di Vukovar, in Croazia, al confine con la Serbia. Famoso per aver dato i natali all’ex calciatore Sinisa Mihajlovic, oggi è un villaggio economicamente depresso, anche se un tempo qui si producevano calzature indossate in tutta la Jugoslavia.

A rendere la vita ancora più difficile, come nella maggior parte dei villaggi della Slavonia orientale, il ricordo della guerra degli anni Novanta. Nonostante in epoca jugoslava si stimasse che i “matrimoni misti” fossero circa un terzo del totale, oggi serbi e croati, apparentemente, non si possono nemmeno vedere.
A confermarlo, questa volta, una piccola scuola. Costruita con un finanziamento della Norvegia dell’importo di 1,3 milioni di euro, la scuola soddisfa tutti i parametri e ricalca il modello dell’eccellenza scandinava, con lavagne elettroniche, aule con computer e rampa per disabili. Il piccolo istituto era stato progettato con un chiaro obiettivo: riunire i bambini delle due comunità.

Ma è stato tutto costruito invano. L’apertura, prevista inizialmente lo scorso anno e poi in quello corrente, non è mai avvenuta. I principali partiti nazionalisti – la Comunità Democratica Croata (HDZ) e il Partito Autonomo Democratico Serbo (SDSS) – si sono opposti all’apertura della scuola multietnica.

Il risultato è che la Norvegia si è scocciata, e chiede la restituzione dei fondi fin qui stanziati per violazione del contratto. “Volevamo finanziare questo importante progetto, per il quale erano previsti 1,3 milioni di euro. Gli insegnanti avevamo mostrato dedizione al progetto, mentre genitori e bambini erano molto interessati alla scuola”, dichiarano dall’ambasciata norvegese di Zagabria al portale EURACTIV.

Ma la seccatura dei norvegesi non riguarda tanto i soldi. “La scuola multietnica di Vukovar sarebbe potuta essere una scuola moderna, dove impiegare metodi e tecnologie di ultima generazione. Sarebbe stata un esempio di come la scuola può contribuire all’integrazione e al dialogo in quelle regioni dove c’è stata la guerra”, commentano all’ambasciata.

L’attuale sindaco di Vukovar, Ivan Penava – del partito di governo HDZ – si oppose al progetto già quando questo venne approvato nel 2016 e lui sedeva tra i banchi dell’opposizione, considerando la scuola “un corpo estraneo”. Dall’altro lato, l’ex sindaco, il socialdemocratico Zeljko Sabo, accusa i due opposti partiti. “L’impressione evidente è che alcune persone a Vukovar non vogliono che la guerra finisca. Le condizioni necessarie per la convivenza a Vukovar passano per asili e scuole misti. La situazione si è fatta grottesca”, ha dichiarato Sabo al portale EURACTIV.

Ma la situazione di fatto stupisce poco. L’intolleranza dei nazionalisti delle due comunità va a vantaggio politico dei due partiti, che in questa storia ne escono vincitori, rimarcando le loro decennali ambizioni a mantenere lo status quo su Vukovar, affinché non si possa ritornare alla pacifica convivenza, temendo forse che questa influenzerebbe i rispettivi bacini elettorali.

Una situazione che ricorda molto quando nel 2013 l’allora governo socialdemocratico decise la reintroduzione dell’alfabeto cirillico – a fianco a quello latino – nei paesi abitati per almeno un terzo da serbi. Allora, ci furono proteste violente che culminarono con la distruzione delle insegne incriminate.

Questa volta, invece, a farne le spese saranno i bambini di Borovo Naselje, a cui verrà negata la possibilità di vivere come i loro genitori fino a trent’anni fa, condividendo la quotidianità dei banchi di scuola.
Il tentativo a firma norvegese di restituire normalità a un paesino già condannato dalla depressione economica e sociale è per ora naufragato. Esulteranno i nazionalisti. Ancora una volta hanno impedito ai propri figli di avere un futuro migliore.

 

Foto: Radio Slobodna Evropa

Chi è Giorgio Fruscione

Giorgio Fruscione è Research Fellow e publications editor presso ISPI. Ha collaborato con EastWest, Balkan Insight, Il Venerdì di Repubblica, Domani, il Tascabile occupandosi di Balcani, dove ha vissuto per anni lavorando come giornalista freelance. È tra gli autori di “Capire i Balcani occidentali” (Bottega Errante Editore, 2021) e ha firmato due studi, “Pandemic in the Balkans” e “The Balkans. Old, new instabilities”, pubblicati per ISPI. È presidente dell’Associazione Most-East Journal.

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