A distanza di diverse settimane dalla proposta di uno scambio di territori tra Serbia e Kosovo, non tende a placarsi il dibattito sulla normalizzazione delle relazioni tra i due Stati. La disputa è stata al centro non solo delle discussioni interne ai due paesi, ma anche della recente sessione di dialogo tenutasi a Bruxelles.
I negoziati
Lo storico primo accordo tra Belgrado e Pristina raggiunto a Bruxelles nel 2013 sembrava aver creato i presupposti per la risoluzione definitiva della questione kosovara. In questi anni sono stati registrati importanti passi in avanti in alcuni dei punti più delicati, come il trasferimento a Pristina della competenza sulle forze di polizia nei comuni a maggioranza serba e lo svolgimento delle elezioni locali nelle stesse. Nulla di fatto, invece, per la parte centrale dell’accordo, l’istituzione dell’Associazione delle municipalità serbe, un organo che dovrebbe fornire una forma di autonomia ai comuni a maggioranza serba del Kosovo.
A distanza di cinque anni, dunque, la situazione resta ancora incerta, proprio a causa delle difficoltà nella piena applicazione dell’accordo. Nell’agosto scorso, durante il forum di Alpbach, i presidenti dei due paesi, Aleksandar Vučić e Hashim Thaçi, avevano avanzato la proposta di un possibile scambio di territori (e di popolazione) come soluzione definitiva. Secondo l’idea originaria – per quanto mai chiarita esplicitamente – al Kosovo spetterebbe la valle di Preševo mentre la Serbia otterrebbe la parte del Kosovo settentrionale a maggioranza serba. L’obiettivo chiaro delle due parti è l’omogenizzazione etnica dei propri territori, secondo una concezione etno-nazionalista che rischierebbe di provocare gravi conseguenze anche nel resto della regione.
Le reazioni a livello interno
La proposta di scambio territoriale ha suscitato numerose reazioni tanto a livello interno quanto sul piano internazionale. Per quanto riguarda la Serbia, nel caso in cui si dovesse giungere ad un accordo che preveda una forma di riconoscimento dell’indipendenza del Kosovo, questo dovrebbe ottenere l’approvazione del parlamento serbo, seguita da un referendum popolare. L’incertezza sull’esito del referendum preoccupa non poco il presidente serbo, cosciente della forte opposizione interna ad un eventuale riconoscimento dell’indipendenza del Kosovo, considerata ancora oggi come un tradimento.
Ancora più accese sono state le reazioni a Pristina, con il primo ministro Ramush Haradinaj che valuta la proposta come pericolosa per la pace nella regione. Nelle settimane scorse, il partito di opposizione Vetëvendosje ha organizzato una manifestazione di protesta a Pristina cui hanno partecipato migliaia di kosovari. Secondo un sondaggio condotto dall’Istituto Democratico del Kosovo (KDI) oltre tre quarti dei cittadini si dichiara contrario all’ipotesi di scambi territoriali con la Serbia.
Le reazioni a livello internazionale
A livello internazionale, al Belgrade Security Forum di metà ottobre l’ambasciatore statunitense in Serbia Kyle Scott ha dichiarato che gli Stati Uniti considerano potenzialmente pericolosa l’opzione dello scambio di territori ma che, al contempo, lo status quo è altrettanto instabile. Dello stesso avviso si è mostrata la dirigente della diplomazia tedesca Sabine Stöhr, che ha affermato che un’eventuale riconfigurazione dei confini “non farà che riaccendere le questioni territoriali nei Balcani e in alcune parti dell’UE”. Indiretto, ma evidente, il riferimento ad altri luoghi caldi come la Crimea.
Il problema dei rapporti tra Belgrado e Pristina ha, inoltre, un’influenza diretta sulla prospettiva di adesione all’Unione europea dei due paesi. Secondo Peter Bayer, deputato dell’Unione Cristiano Democratica (CDU) tedesca, “il Kosovo è territorialmente indipendente e la Serbia deve riconoscere di fatto lo Stato sovrano della Repubblica del Kosovo perché altrimenti non gli sarà permesso di aderire all’UE”.
Gli ostacoli al processo di integrazione europea della Serbia non derivano però esclusivamente dalle sue relazioni con il Kosovo. Come ricordato nei giorni successivi al Forum dal Commissario europeo per l’allargamento Johannes Hahn “la risoluzione del problema del Kosovo non è l’unica condizione che la Serbia ha nel suo cammino verso l’UE” ma rimangono centrali anche le riforme nel campo dei diritti fondamentali e dello stato di diritto.
Le prossime tappe
Per quanto riguarda le tappe del processo di adesione, Belgrado spera di poter aprire altri tre capitoli negoziali entro la fine dell’anno. Ad oggi sono 14, su un totale di 34, i capitoli aperti tra l’UE e la Serbia. Per Belgrado il definitivo superamento dei dissidi sullo status del Kosovo è strettamente legato alla conclusione del processo di adesione, prevista non prima del 2025. Per Pristina invece rappresenta la condizione necessaria per presentare domanda di adesione ed ottenere lo status di paese candidato.
A porre i dubbi più seri sul futuro allargamento dell’UE sono però gli stessi Stati membri. Emblematico il caso della liberalizzazione dei visti per i cittadini kosovari. Nonostante il via libera della Commissione e del Parlamento europeo, oltre dieci paesi UE sembrerebbero decisi a rinviare la decisione al prossimo anno tradendo le aspettative di Pristina.
Nel frattempo il clima appare tutt’altro che sereno. L’8 novembre, si è svolto a Bruxelles un incontro tra Vučić, Thaçi e l’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza Federica Mogherini. L’appuntamento è stato però caratterizzato da dichiarazioni al vetriolo da parte di entrambi i presidenti. Vučić non ha digerito la scelta del governo kosovaro di imporre nuove tariffe doganali per i prodotti serbi (così come per quelli bosniaci), qualificando la decisione come “illegale” e controproducente per il processo di dialogo. Da parte sua, Thaçi ha criticato i toni “aggressivi e violenti” utilizzati da Belgrado nel corso degli ultimi mesi.
I prossimi mesi saranno quindi fondamentali per capire se lo scambio di territori diventerà realtà e soprattutto se il dialogo tra le parti continuerà con toni bellicosi o se, al contrario, si avrà una necessaria distensione. Ad oggi il raggiungimento di un accordo definitivo sembra ancora molto lontano ma la mediazione dell’UE potrebbe contribuire a sbloccare lo stallo venutosi a creare nelle ultime settimane.