Lo scorso 10 ottobre, nel corso della sua ultima sessione autunnale, l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa (PACE) attraverso l’approvazione di una risoluzione si è espressa in merito all’accesso dei meccanismi di monitoraggio dei diritti umani nelle entità separatiste dell’Europa orientale e del Caucaso; ovvero quei territori che seppur riconosciuti dal CdE come parte integrante di propri stati membri, sono attualmente controllati da autorità de facto.
Tale risoluzione, basata su un rapporto promosso dal tedesco Frank Schwabe, membro dell’Assemblea nonché presidente del Gruppo dei Socialisti, Democratici e Verdi, si sofferma sulla necessità di estendere l’opera di monitoraggio dei meccanismi internazionali all’intero territorio di ogni stato membro del CdE, intervenendo qualora il permesso di svolgere queste attività venga negato.
Il testo è stato adottato con 39 voti a favore, 4 astensioni e 6 voti contrari (5 dei quali provenienti dai rappresentanti dell’Azerbaigian, paese che nei confronti della “propria” regione separatista, il Nagorno-Karabakh, adotta da anni una politica d’isolamento).
Garantire un accesso illimitato
Attraverso la risoluzione, l’Assemblea parlamentare del CdE ha chiesto che ai meccanismi di monitoraggio dei diritti umani venga consentito un accesso illimitato a quei territori posti sotto il controllo di autorità separatiste.
A tal proposito la PACE ha voluto ricordare che l’esercizio di un’autorità, seppur de facto, porta con sé il dovere di rispettare i diritti di tutti gli abitanti del territorio in questione. L’assunzione del potere, come ricorda il testo, deve infatti essere accompagnata dall’accettazione delle corrispondenti responsabilità dello stato nei confronti dei propri cittadini, tra cui appunto il dovere di cooperare con i meccanismi internazionali di monitoraggio.
Fino ad ora infatti, le missioni di monitoraggio promosse dal Consiglio d’Europa, dall’ONU, dall’Unione Europea o dalle altre principali organizzazioni internazionali che operano nei paesi dell’Europa orientale e del Caucaso, hanno sempre riscontrato problemi nell’estendere le proprie attività alle cosiddette “zone grigie”; spesso a causa della mancanza di volontà a collaborare mostrata dalle autorità che controllano questi territori.
Come ricorda la stessa risoluzione vi sono tuttavia alcune eccezioni, come dimostra la recente decisione di Abkhazia e Transnistria di ospitare una delegazione del Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti (CPT), organo del Consiglio d’Europa nato per monitorare e prevenire i casi di tortura nei territori degli stati firmatari della relativa Convenzione europea, adottata a Strasburgo il 26 novembre 1987.
Accogliendo positivamente quest’ultimo sviluppo, l’Assemblea ha quindi invitato le autorità di Sukhumi e Tiraspol a cooperare con i governi di Georgia e Moldavia al fine di ripristinare le attività di monitoraggio del CPT nei rispettivi territori di competenza, cogliendo l’occasione per invitare anche l’Ossezia del Sud a una maggiore collaborazione.
Il caso dell’EUMM
Attualmente, nel caso della Georgia, la principale missione attiva è la Missione di Monitoraggio dell’Unione Europea (meglio nota come EUMM), avviata da Bruxelles nel settembre 2008, all’indomani della breve ma intensa Guerra russo-georgiana, al fine di contribuire al ristabilimento e alla normalizzazione del paese.
Tra i compiti dell’EUMM vi è il controllo della situazione dei diritti umani nei territori interessati dal conflitto, così come l’accertamento dell’osservanza dell’Accordo in sei punti firmato da Mosca e Tbilisi nell’agosto 2008, al fine di scongiurare un eventuale ritorno alle ostilità.
Altri importanti obiettivi sono la costruzione di un rapporto di fiducia tra le diverse parti in conflitto, oltre la facilitazione della ripresa di una vita normale e sicura per le comunità che vivono lungo entrambi i lati della linea che separa i territori controllati dal governo di Tbilisi da quelli in mano ai separatisti abkhazi e osseti.
Negli ultimi dieci anni l’EUMM, che al momento dispone di circa 200 osservatori distribuiti su quattro diverse sedi, ha svolto quasi 20.000 monitoraggi, la maggior parte dei quali proprio nei pressi delle cosiddette “linee di confine amministrativo” (Administrative Boundary Lines, come vengono chiamate dalla stessa missione).
Tuttavia, sebbene il mandato dell’EUMM si estenda all’intero territorio della Georgia, comprese le due regioni separatiste, dal 2008 ad oggi le autorità di Abkhazia e Ossezia del Sud hanno sempre negato alla missione l’accesso ai territori posti sotto il proprio controllo, costringendo così gli osservatori europei a operare da una sola parte del confine.
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Foto: Clay Gilliland