La North Atlantic Treaty Organization (NATO) avrà la sua prima base aerea nei Balcani occidentali, in Albania per la precisione, membro dell’organizzazione dal 2009. Sarebbero, infatti, iniziati in questi giorni i lavori di ammodernamento dell’aeroporto di Kuçovë, città a vocazione industriale di poco più di trenta mila persone nel cuore del paese, 80 chilometri a sud di Tirana. Nelle intenzioni la base dovrà fornire, soprattutto, supporto logistico e di rifornimento alle operazioni NATO al punto che, tra le novità previste, vi è anche la realizzazione di un deposito di carburante ex-novo.
Era stato il primo ministro albanese, Edi Rama, nell’agosto scorso, a paventare questa possibilità, scrivendo direttamente sulla sua pagina Facebook che il consiglio direttivo della NATO aveva deciso di stanziare, allo scopo, una cifra vicina ai 50 milioni di Euro per coprire le spese iniziali del progetto. Quell’annuncio, evidentemente, non rappresentava una boutade estiva “priva di ragioni oggettive” per il solo desiderio di ”piacere agli americani offrendo loro qualcosa”, come sostenuto non senza qualche ironia da alcuni osservatori nei giorni immediatamente successivi; quanto, piuttosto, il frutto di un processo iniziato già ad aprile di quest’anno, quando il ministro della Difesa albanese, Olta Xhacka, in visita al Pentagono, aveva esplicatamene offerto la disponibilità del proprio paese a fungere “da nazione di contatto nella regione”. In quell’occasione Xhacka aveva inoltre sottolineato che era “giunto il momento per gli Stati Uniti di stabilire la loro presenza in Albania”. Un’apertura alla NATO, dunque, o anche “solo” agli Stati Uniti, per “una base co-gestita da USA e Albania”.
I tempi
Difficile, allo stato, fare previsioni attendibili circa i tempi di finalizzazione del progetto; difficile anche pensare che la data indicata da Rama, aprile 2019, possa essere effettivamente rispettata. La struttura, risalente agli anni ’50, è stata, infatti, gravemente danneggiata nel corso dei violentissimi disordini che scossero l’Albania all’inizio del 1997, nel periodo consegnato alla storia con la definizione di “anarchia albanese”: in quei mesi il governo in carica di Sali Berisha perse, di fatto, il controllo del paese, squassato da una crisi finanziaria senza precedenti, lasciando campo libero all’azione di bande criminali che provocarono diffuse devastazioni e, secondo alcune stime, almeno duemila morti tra i civili. Se è vero che l’impianto è già stato oggetto d’importanti interventi di adeguamento agli standard NATO tra il 2002 e il 2004 con la realizzazione di una torre di controllo, di un impianto d’illuminazione e la sostituzione della pavimentazione, è altresì vero che esso appare, a oggi, parzialmente abbandonato e ingombro di relitti di velivoli inutilizzabili risalenti addirittura all’epoca del dittatore comunista Enver Hoxha e dell’alleanza con l’Unione Sovietica.
Tutti vincenti
Ciononostante, la riapertura dell’aeroporto di Kuçovë sembra essere la classica operazione in cui tutte le parti in causa hanno qualcosa da ricavare, perlomeno apparentemente. Ha le proprie buone ragioni Edi Rama, fiducioso che quest’operazione possa contribuire a rinnovare quel consenso popolare che, poco più di un anno fa, gli permise di vincere le elezioni, e che appare oggi offuscato anche in ragione degli scandali giudiziari che hanno coinvolto il proprio esecutivo con i conseguenti attacchi delle opposizioni, arrivate a chiederne le dimissioni. Più in generale ha da trarne profitto l’Albania: non solo perché l’indotto connesso a una struttura del genere sarebbe in grado di risollevare le sorti di un’area in piena crisi dopo il boom economico degli anni ’30 connesso allo sfruttamento dei giacimenti petroliferi da parte dell’AIPA, una consociata dell’italiana AGIP (Kuçovë fu chiamata Petrolia durante il fascismo); ma anche perché le darebbe la possibilità di accreditarsi come paese affidabile e fedele in una zona strategicamente fondamentale come quella mediterranea.
Da ultima, ma non per ultima ovviamente, ha da guadagnarne la NATO, desiderosa di aumentare la propria presenza nell’area balcanica, se non altro per contrastare l’influenza russa, prevenendo possibili defezioni o esitazioni da parte di paesi storicamente allineati, quali l’Italia. Non è un caso, in tal senso, che quest’operazione potrebbe rappresentare solo un primo tassello di un più ampio piano di “espansione” che prevederebbe, anche, la riattivazione dell’aeroporto di Tuzla in Bosnia Erzegovina.
Da Stalin alla NATO: ironia della storia
Al di là dagli aspetti geopolitici, la realizzazione di una base aerea NATO a Kuçovë assume, in modo ironicamente casuale, un significato simbolico oltremodo evocativo. Dopo la guerra Enver Hoxha, che governò il paese per quaranta anni fino alla sua morte nel 1985, decise di chiamare la città Qyteti Stalin, ovvero Città di Stalin, nome che resistette fino al 1990. Da Stalin alla NATO, dunque. Ma, si sa, la storia corre veloce e il quadro geopolitico attuale è totalmente mutato: l’Albania di oggi guarda decisamente a occidente e la base aerea NATO a Kuçovë ne rappresenta l’ennesima conferma.
Io c’ero. Andammo a Kucove in ispezione nel 1999, per conto della Delegazione Italiana Esperti presso il Governo di Phatos Nano, succeduto a Sali Berisha, e riuscii a convincere i piloti a riprendere l’attività di volo con i loro caccia, per non essere fagocitati dall’esercito. Facemmo anche uno studio sul ripristino della base, del reparto volo e del centro manutenzione, ma risultò impossibile finanziarlo. Fu lì che feci la conoscenza con i Mig cinesi, il Mig-15 UTI e il Mig 17 e, anche, con il carro T-34/85. Portai quei piloti in Italia a vedere una base NATO di F-104S. Per anni gli americani ci avevano tenuto in allerta con il Patto di Varsavia. Dall’altra parte della cortina di ferro non c’era nulla rispetto alla NATO. Putin ha fatto fare passi da gigante alla Russia e sembra aver ribaltato i termini del paragone. Feci amicizia con un orso bruno incatenato, un articolo sulla Rivista Aeronautica e un bel servizio di fotografie.