La retorica nazional-populista propinata da Fidesz (Fiatal Demokratàk Szovetsége) dipinge l’Ungheria odierna come una roccaforte della resistenza dell’occidente cristiano e conservatore al marasma liberista e multiculturale di cui si fa portatrice l’Unione Europea. Il costante scontro con Bruxelles sulle questioni legate alla gestione dei migranti, al deterioramento dello stato di diritto e alla tendenza generale ad esercitare la democrazia in modo illiberale (appellandosi direttamente al popolo piuttosto che facendo proprio il principio della separazione dei poteri), è un chiaro segnale che il premier ungherese Viktor Orbán sta seguendo una rotta alternativa al modello di democrazia liberale e laica sostenuto dall’UE. Nel farlo, può contare sul largo consenso degli elettori magiari e su una debole controffensiva parlamentare delle opposizioni di sinistra.
I nemici del fronte populista
In questo contesto politico, dove Fidesz e i nazionalisti di Jobbik (all’opposizione) la fanno da padrona, i dissidenti vengono ripetutamente bollati come traditori, nemici e infiltrati il cui unico scopo è distruggere la nazione e quanto di buono fatto dai governi conservatori guidati da Viktor Orban, “capitan Ungheria”.
Una logica che individua nemici facilmente identificabili per poi compattare il fronte politico populista contro un male corrotto e depravato che mette in pericolo l’identità della nazione. Il vero dramma dell’utilizzo di questa pratica, che cerca costantemente un capro espiatorio e che nell’Europa centro-orientale post-socialista ha dato spesso vita a processi di lustrazione e caccia alle streghe, è che non è diretta esclusivamente contro avversari politici, ma coinvolge tutto l’universo della cultura che non sposa le politiche e il quadro valoriale di riferimento propugnato dal governo. I nemici non sono solo tecnocrati europei, ex spie comuniste, ONG, università private o associazioni LGBT ma anche intellettuali, personalità del passato, attori, scrittori e artisti di ogni genere.
I soldi dello Stato a chi è allineato
L’attacco al mondo della cultura che ha posizioni critiche nei confronti del governo è una battaglia che Fidesz porta avanti da tempo. Nel 2011, con l’approvazione della nuova costituzione, Orbán ha trasformato un’associazione privata, l’Accademia ungherese delle arti (Magyar művészeti akadémia – MMA) fondata nel 1992 da artisti conservatori, in un’istituzione statale che ha il compito di erogare i fondi pubblici destinati alla cultura. Un manipolo di artisti fedeli a Orbán, tra cui troviamo György Fekete, architetto ultra-conservatore oggi presidente onorario della MMA, detiene quindi il potere di decidere chi sponsorizzare e sostenere economicamente e chi tenere fuori dalla vita artistica del paese.
Si tratta di un subdolo meccanismo di censura, non esplicito ma altrettanto efficace. Secondo il giornalista ungherese Gergely Nagy, che lavora per la OFF-Biennale Budapest (evento internazionale di arte contemporanea, indipendente e autofinanziato), questa politica ha cambiato profondamente il clima culturale del paese, marginalizzando gli artisti che propongono prodotti o idee non allineate alla narrazione governativa. Non è un caso che il numero di artisti ungheresi dissidenti emigrati a Berlino è oggi ai suoi massimi storici, scrive G. Nagy.
Utilizzare l’arte per promuovere il conformismo politico e l’omologazione significa avvilirla, privarla della sua forza liberatrice e rivoluzionaria, negando il pluralismo di idee e la sua essenza creativa. Arrestare questo processo sarebbe oggi di vitale importanza per la “salute” della comunità di artisti magiari e per riconsegnare agli ungheresi tutta la loro ricchezza culturale.