Da KIEV – Si è concluso ieri, 11 ottobre, il Sinodo del Patriarcato ecumenico di Costantinopoli, dove è stata a lungo discussa la discordante questione sulla concessione del tomos per l’autocefalia della Chiesa ortodossa ucraina, facendo rimanere col fiato sospeso i media internazionali per ore. In seguito a tre giornate di incontri, la decisione è stata emessa a favore di Kiev.
La vittoria di Kiev
La proclamazione di autocefalia concessa dal Patriarcato ecumenico nella giornata di ieri è stata acclamata dal presidente ucraino Petro Porošenko come un successo ed un sogno realizzato: “Questa è la caduta della Terza Roma, l’antichissima formula utilizzata per definire Mosca e il suo dominio sul mondo”, ha sottolineato il presidente in carica, il quale considera il tomos l’ennesimo atto di dichiarazione d’indipendenza per il paese. La campagna elettorale di Porošenko può quindi proseguire tranquilla e smentire i primi commenti sarcastici apparsi sui social ancora prima dello concludersi del concilio ecumenico, che avevano definito “sfortunato” il mese di ottobre per il presidente. La conquista di questa nuova indipendenza, tuttavia, non termina qui: la strada è ancora lunga e si parla di un processo che si dilaterà sui prossimi 4-5 anni almeno.
La disposizione di autocefalia è ufficiale, tuttavia i dettagli del tomos sono ancora in fase di studio. Il Sinodo li ha discussi in presenza degli arcivescovi Danil e Hilarion, rappresentanti esteri della Chiesa ortodossa ucraina, nominati lo scorso 7 settembre. Tra le risoluzioni che sono state confermate finora compaiono il ripristino dell’unità stavropegica del Patriarcato ecumenico a Kiev e la reintegrazione ufficiale del patriarca Filaret Denisenko e i suoi seguaci a capo della nuova Chiesa ucraina ortodossa. Inoltre, si revoca la lettera sinodale del 1686, che concedeva al patriarca di Mosca il diritto di ordinare il metropolita di Kiev, proclamando così la dipendenza canonica dalla Chiesa Madre di Costantinopoli.
La sconfitta di Mosca
La principali preoccupazioni che hanno tenuto per mesi il mondo religioso ortodosso con il fiato sospeso sembrano quindi essere diventate realtà. Non si sono incrinati solamente i rapporti tra Kiev e Mosca (già non proprio idiallici), bensì anche quelli tra le varie Chiese e, in particolare, tra Mosca e Costantinopoli.
L’effetto che la notizia ha avuto su Mosca, sebbene prevedibile, è da considerarsi addirittura catastrofico. La Chiesa ortodossa russa aveva già avvertito il sommo patriarca di Costantinopoli, Bartolomeo I, che nel caso in cui il Sinodo avesse concesso il tomos (se non ora, in futuro), qualsiasi rapporto tra Mosca e Constantinopoli sarebbe cessato, portando ad un nuovo scisma. “Conoscete bene la posizione della Chiesa ortodossa russa su questo tema e, naturalmente, non vogliamo che venga presa alcuna decisione che possa condurre a una profonda spaccatura nel mondo dell’Ortodossia”, ha dichiarato Dmitrij Peskov, portavoce del presidente russo Vladimir Putin. Il tomos, quindi, provocherà inevitabilmente il distacco della Chiesa ucraina dall’orbita della Russia, la quale definisce il verdetto tragicamente: “Oggi il Patriarcato di Costantinopoli ha preso decisioni catastrofiche, in primo luogo nei riguardi di se stesso e dell’Ortodossia intera”, ha riferito Aleksandr Volkov, portavoce del patriarca ortodosso russo Kirill, aggiungendo: “Il Patriarcato di Costantinopoli ha oltrepassato il limite”.
Il resto del mondo ortodosso non si è ancora pronunciato apertamente in merito, sebbene la posizione timorosa del patriarca serbo Ireneo fosse già nota, come anche quella del metropolita bielorusso Pavel, preoccupato relativamente al sorgere di tensioni ulteriori e di una scissione definitiva all’interno del mondo ortodosso. A schierarsi dalla parte dei russi sembra esserci la Chiesa ortodossa di Antiochia. Guidata da Giovanni X (Yagizi) la Chiesa siriaca è da sempre molto vicina a quella russa, in quanto storicamente è quella tra i cinque patriarcati (Roma, Costantinopoli, Gerusalemme, Alessandria e Antiochia) che ha ricevuto una protezione politica e ecclesiastica da Mosca durante la dominazione ottomana. Yagizi e i suoi vescovi considerano Mosca la “Chiesa Madre”, titolo che le due capitali si contendono da secoli. Il patriarca Filaret Denisenko, tuttavia, lo ribadisce: Kiev, dal punto di vista ecclesiastico, è la Chiesa madre di Mosca, e non viceversa. È stata la Chiesa russa a separarsi dalla metropoli di Kiev, facente parte del Patriarcato di Costantinopoli. Ciò evidenzia che noi, Chiesa ucraina, siamo figli del Patriarcato di Costantinopoli, e la Chiesa russa è una chiesa figlia, e non madre, della Chiesa ucraina”.
Insomma, la situazione attuale, oltre ad essere ingarbugliata, sembra proprio aver scatenato l’inferno. Il famoso teologo e e filosofo russo Andrej Kuraev lo aveva previsto, scrivendo sul suo blog: “La questione è una sola: quando la locomotiva di Mosca si scontrerà con l’espresso di Istanbul, mandando in frantumi il calice eucaristico, quali altre Chiese avranno il coraggio di seguire Mosca e rompere con Costantinopoli?”.
Breve riassunto delle tappe per la richiesta di autocefalia:
- Il 19 aprile, la Verchovna Rada ha sostenuto l’appello che il presidente ucraino Petro Porošenko ha rivolto al patriarca ecumenico di Constantinopoli Bartolomeo I al fine di ottenere la concessione dell’autocefalia per la Chiesa ortodossa ucraina.
- Il 22 aprile il presidente Porošenko annuncia che il Patriarcato ecumenico ha iniziato a considerare la richiesta.
- A luglio, Bartolomeo conferma la sua intenzione di conferire l’autocefalia.
- Il 7 settembre il patriarca ecumenico Bartolomeo nomina due esarchi in preparazione alla concessione dell’autocefalia alla Chiesa ortodossa ucraina.
- L’11 ottobre il Sinodo firma ufficialmente il tomos per concedere l’indipendenza della Chiesa ucraina da Mosca.