TURCHIA: La crisi della lira e il Nuovo Piano Economico

Chiusa, ormai, la stagione estiva, è difficile, se non impossibile per la Turchia, lasciarsi altrettanto alle spalle gli strascichi di una crisi economica annunciata e devastante che ha ristorato le tasche dei turisti (sempre meno europei e più sauditi), ma sconvolto i conti dei residenti nel paese.

Il minimo storico: tutta colpa degli Stati Uniti?

Il tracollo della lira turca si è registrato fra il 10 ed il 14 agosto, toccando il minimo storico di 7,24 lire turche per un dollaro. Già nel mese di luglio l’inflazione aveva raggiunto un incredibile tasso annuale del 16%. La preannunciata fase calante dell’economia del paese non la rende una sorpresa. La causa scatenante del più rapido declino sarebbe legata ad un episodio specifico, ennesimo sintomo del periodo di turbolenza nelle relazioni fra Turchia e Stati Uniti: l’arresto di Andrew Brunson. Alla detenzione del pastore americano (poi rilasciato il 12 ottobre) accusato di terrorismo e spionaggio sarebbe seguita la decisione del presidente degli Stati Uniti Donald Trump di raddoppiare i dazi su acciaio ed alluminio provenienti dalla Turchia, cosa che il presidente della repubblica turca Recep Tayyip Erdoğan ha giudicato come un vero e proprio attacco all’economia turca, al pari di un vilipendio alla bandiera, di un’offesa al credo religioso, insomma all’identità e alla sovranità del Paese. Il responsabile della comunicazione della presidenza, Fahrettin Altun, l’avrebbe definito “un altro colpo di stato” da respingere, questa volta economico.

Video virali sui social hanno mostrato cittadini turchi distruggere i-phone come simbolo dei prodotti americani che Erdoğan stesso aveva spinto a boicottare dopo la decisione di Trump. La risposta ben più concreta è stata una ipertassazione di tabacco, riso, alcol, carbone, cosmetici ed automobili importati dagli Stati Uniti. La reazione di Erdoğan al crollo della lira è stata solida e rassicurante, come spesso accade: “Niente paura, la nostra moneta è forte. Se avete dollari o euro, uscite e andate a cambiarli”. Ben presto il Qatar ha stanziato 15 miliardi di dollari in investimenti per risollevare le sorti dell’economia turca, che ha, quindi, preferito questi ad eventuali contributi del Fondo Monetario Internazionale, pena un’inevitabile sottomissione.

Il genero di Erdogan come ministro delle finanze

Sostenitore di un complotto internazionale per il tracollo economico della Turchia, già ministro dell’energia e delle risorse naturali dal 2015, ma soprattutto marito della figlia maggiore del presidente Erdoğan, la nomina di Berat Albayrak come ministro del tesoro e delle finanze, avvenuta lo scorso 9 luglio, ha portato ad una svalutazione della lira nel giorno stesso della presa in carico. Eppure Albayrak ha tutte le carte in regola: laurea triennale in business administration all’università di Istanbul, a cui è seguito un master nello stesso ambito alla New York Pace University, e ancora un dottorato in finanza all’università Kadir Has, sempre ad Istanbul.

Tuttavia, a detta di Al Jazeera, il suo discorso di presentazione è stato per la maggior parte ritenuto vuoto, privo di dettagli sulla situazione cruciale che ora lo vede ricoprire un ruolo a dir poco strategico.

Un Nuovo Programma Economico 

Albayrak è infatti colui che ha varato il Nuovo Programma Economico (NEP), con valenza triennale, presentato lo scorso 20 settembre dall’ufficio presidenziale di palazzo Dolmabahce, ad Istanbul. È basato su altrettanti tre pilastri fondamentali: stabilizzazione, disciplina, trasformazione. Al momento dell’ufficializzazione, la reazione delle banche è stata più contenuta del previsto, ma le critiche non sono mancate e permangono tuttora.

Per Guldem Atabay Şanlı della testata turca Ahval, la crescita stimata dal piano economico, non corrisponde alla retorica di Erdoğan, che continua a promettere sviluppo incondizionato, nonostante l’inflazione. Per ciò che concerne il punto uno, la stabilizzazione, il prodotto interno lordo registrerebbe un calo al +2.3% nel 2019 (dal +3.8% calcolato per il 2018) per poi risalire al +3.5% nel 2020 e il +5% nel 2012, secondo le previsioni ottimistiche prospettate dal ministro, ed ampiamente criticate.

La voce “disciplina” corrisponde all’appoggio di questa stabilizzazione attraverso misure di disciplina fiscale, appunto, compresi massicci tagli alla spesa pubblica e una limitazione degli investimenti, con una priorità sui progetti in fase di completamento. La trasformazione, invece, riguarderebbe un incremento sulle capacità di produzione a lungo termine e sulle esportazioni, a conferma del sostegno turco ad una politica di libero mercato.

Come segnala il quotidiano Daily Sabah, la rapida crescita economica degli scorsi anni ha permesso alle aziende di investire accumulando crediti in valuta estera, ora che l’inflazione è altissima e la moneta ha perso molto del suo valore, le stesse imprese non riescono a ripagare il debito che si aggira attorno ai 180 miliardi di dollari (mentre quello pubblico tocca gli 11 miliardi). Lo stesso dicasi per il settore bancario che, secondo il Financial times è indebitato in titoli denominati in valuta estera per almeno il 40%. Istituzioni finanziarie e banche turche stanno firmando diversi accordi per contenere la crisi, ma il vero punto sta nell’inflazione a due cifre, che secondo il NEP salirà ancora al 20.8%, per poi tornare al 16% nel 2019 e definitivamente al 9.8% nel 2020 e addirittura al 6% nel 2021. Insomma, si prospettano ancora tempi duri prima dell’eventuale risalita. Il ministero del tesoro e delle finanze promette, inoltre, di generare due milioni di posti di lavoro entro il 2021, mentre adesso il tasso di disoccupazione si aggira intorno al 10%. Una percentuale abbastanza stabile, tanto quanto il ben più preoccupante 19,4% della disoccupazione giovanile in Turchia, vera piaga sociale del paese.

Alleanze e conseguenze

Politicamente parlando, l’alleanza con il MHP non fa che rafforzarsi: il leader Devlet Bahceli, infatti, sostiene incondizionatamente il nuovo programma economico. Un altro appoggio esterno “interessante” è quello del presidente del Venezuela Nicolàs Maduro: l’ambasciatore turco a Caracas ha dichiarato che i rapporti sono più che mai idilliaci, anche e soprattutto in termini di scambi economici ed il ministro degli Esteri Mevlüt Çavuşoğlu ha affermato che Erdoğan e Maduro sono come fratelli (cosa già evidenziata dalla partecipazione di quest’ultimo alla cerimonia di insediamento di Erdogan dopo l’ultima rielezione). Lo stesso Maduro che mangia le succulente bistecche del famoso chef turco Nusret Gökçe alla faccia del suo popolo sull’orlo della fame, come riporta un tweet del giornalista di Radio Radicale Mariano Giustino. Nonostante ciò, i dati parlano chiaro: come riporta Hurriyet Daily News, l’Istituto Statistico Turco registra un crollo dell’indice di fiducia nell’economia del paese che ha perso più di 10 punti percentuali nel mese di settembre, passando dall’ 83,9% al 71%. In tutto, la lira ha perso quasi il 40% del suo valore in un solo anno.

Oltre i numeri, la crisi si avverte perfino nel settore calcistico. Il presidente ha da poco introdotto una norma secondo la quale tutti i contratti di acquisto, locazione e leasing redatti in Turchia devono essere stipulati in valuta locale. Questo incide non soltanto sulle transazioni immobiliari, ma anche sul pagamento di calciatori, allenatori e staff di squadre che accolgono personaggi dall’estero, cosa che potrebbe scoraggiare d’ora in poi la partecipazione di questi ultimi e modificare gli accordi già presi. Le più grandi imprese di costruzioni che hanno rivoluzionato gli scenari delle città arricchendo la classe media dichiarano una bancarotta dietro l’altra, ma si registra anche una lieve ripresa della moneta dopo gli interventi della banca centrale turca. A infondere fiducia ai mercati, c’è anche la notizia di oggi del rilascio di Brunson, su cui però resta l’accusa. Si prospettano scenari aperti, sì, ma miracoli improbabili.

fonte immagine: Creative Commons

Chi è Eleonora Masi

Classe 1990, una laurea in Relazioni Internazionali ed esperienze in Norvegia, Germania, ma soprattutto Turchia, di cui si occupa dal 2015. Oltre a coordinare la redazione dell'area del Vicino Oriente per East Journal svolge il ruolo di desk per The Bottom Up mag. Ha ideato e prodotto il podcast "Cose Turche" che racconta gli ultimi 10 anni della Turchia dal punto di vista dei millennial che li hanno vissuti sulla loro pelle.

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