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Fonte foto: Nezavisen.com

MACEDONIA: Domenica si vota al referendum sul nome, un’occasione storica

Mancano ormai pochi giorni al referendum sull’accordo sul nome tra Macedonia e Grecia: domenica 30 settembre, difatti, i cittadini macedoni sono chiamati ad esprimersi in un voto decisivo per la storia del loro paese. Per accettare o respingere i termini dell’intesa siglata il 17 giugno scorso, dovranno rispondere alla domanda “Sei favorevole all’adesione all’Unione europea e alla NATO accettando l’accordo tra Macedonia e Grecia?”. Questi prevede che il contenzioso sul nome sia risolto e che la Macedonia diventi ufficialmente “Repubblica della Macedonia del Nord”, dando dunque una connotazione geografica al Paese e distinguendolo dalla regione della Grecia chiamata, appunto, Macedonia.

Una disputa troppo lunga

La questione del nome è nata quasi in concomitanza con la decisione della Macedonia di dichiararsi indipendente da una Jugoslavia sull’orlo del baratro. Se Skopje era dunque riuscita a evitare il dramma del conflitto, ha trovato nei suoi vicini greci i principali oppositori alla sua identità nazionale.

La Grecia infatti considerava pericolosa la denominazione statale del Paese, “Repubblica di Macedonia”, così come alcuni articoli della Costituzione che potevano lasciar intendere un soltanto ipotetico irredentismo nei confronti della regione greca di Salonicco. Skopje, dall’altro lato, non intendeva fare passi indietro sulla sua identità nazionale, considerata fittizia da Atene. La soluzione giunse attraverso la mediazione delle Nazioni Unite, con la firma del cosiddetto Accordo ad interim nel 1995. Questi prevedeva la denominazione della Macedonia come Former Yugoslav Republic of Macedonia (FYROM) nelle relazioni bilaterali tra i Paesi, quelle diplomatiche e a livello delle istituzioni internazionali e la modifica degli articoli costituzionali che potevano celare un sentimento irredentista. Questa soluzione, nata come provvisoria, è diventata definitiva per più di due decadi.

Il persistere al governo di Skopje di un governo conservatore e nazionalista, dal 2006 al 2017 impersonato quasi ininterrottamente dal leader della VMRO-DPMNE Nikola Gruevski, non ha certamente facilitato il dialogo tra le parti. La Grecia, d’altro canto, seppur si è sempre dichiarata favorevole ad una soluzione della controversia, ha sfruttato la rigidità delle posizioni di Skopje per non fare alcun passo in avanti, arrivando nel 2008 a porre il veto sull’ingresso della Macedonia nella NATO sfruttando la sua posizione per rimandare un eventuale accordo.

Il referendum tra passato e futuro

Il quesito referendario non si concentra sulla questione del nome, quanto più sull’indirizzo che il Paese deve assumere. Ai cittadini macedoni verrà infatti chiesto di rispondere “Sei favorevole all’adesione all’Unione europea e alla NATO accettando l’accordo tra Macedonia e Grecia?”. Ciò che emerge immediatamente è la già citata assenza della controversia: seppur tutti sono coscienti dell’oggetto dell’accordo stesso, il governo cerca di mettere sul piatto della bilancia le opportunità future del Paese, invece di concentrarsi sull’identità nazionale. Quest’ultimo tema è stato invece preso dall’opposizione conservatrice come maggior argomento nella campagna referendaria, con slogan quali “La Macedonia ai macedoni” e “Noi siamo macedoni”.

D’altro canto, il primo ministro Zoran Zaev ha cercato di personalizzare il referendum, affermando che in caso di vittoria del “no” avrebbe rassegnato le dimissioni. A suo sostegno ci sono i cittadini albanesi, i cui partiti sono parte della maggioranza di governo, mentre i suoi oppositori si sono lanciati nella campagna volta al boicottaggio del referendum. Zaev deve dunque sperare di raggiungere il quorum minimo per non veder sfumare un’eventuale vittoria.

Secondo un sondaggio condotto da Telma Television, Macedonian Center for International Cooperation (MCIC) e l’Institute for Democracy Societas Civilis – Skopje, i risultati sarebbero a favore del governo. Nonostante la campagna di boicottaggio condotta dall’opposizione, il 57.8% degli intervistati si recherebbe a votare, in maggioranza sia tra i macedoni che tra gli albanesi. I voti a favore del referendum sono il 70,8%, sostenendo maggiormente che il voto positivo sia necessario per raggiungere l’integrazione nella NATO e nell’Unione europea.

Un’occasione storica

Il precedente governo, guidato dal conservatore Gruevski, aveva sviluppato un’agenda fortemente nazionalista, dove lo stato di diritto stava venendo a mancare, gli investimenti calavano e la corruzione dilagava. Un progetto architettonico, denominato Skopje 2014, ha visto sorgere nel centro cittadino della capitale numerose statue e monumenti dedicati a vari personaggi più o meno legati alla storia macedone, da Alessandro Magno agli eroi della rivolta dell’Ilinden nel 1903 contro gli ottomani. Con la caduta del governo Gruevski a seguito della crisi politica che aveva investito il Paese a partire dal 2014, il nuovo esecutivo socialdemocratico ha lavorato maggiormente sull’adesione alle organizzazioni internazionali, per cercare di riformare il sistema legislativo ed economico del Paese con l’ausilio dell’UE.

Il referendum, però, non basta. A rendere più complessa la situazione sarà il voto parlamentare richiesto in Grecia. Nonostante il lavoro svolto dall’esecutivo di Alexis Tsipras, che si è dimostrato disponibile a risolvere la disputa a differenza delle precedenti amministrazioni, in Grecia si sono svolte numerose proteste di piazza e il parlamento sembra essere diviso sul voto, necessario per l’entrata in vigore dell’accordo.

Fino a domenica, però, tutti gli occhi saranno puntati sulla Macedonia. Il governo Zaev ha ricevuto il sostegno da parte dei leader europei, come il cancelliere tedesco Angela Merkel e il suo omonimo austriaco Sebastian Kurtz, oltre all’ovvio appoggio del segretario generale della NATO Jens Stoltenberg, degli Stati Uniti e dell’Unione europea. La Commissione europea e il Consiglio si sono infatti espressi favorevolmente all’apertura dei negoziati per l’adesione della Macedonia nel 2019, insieme all’Albania, premiando di fatto gli sforzi profusi dal governo di Skopje per risolvere la disputa.

Il 30 settembre il Paese sembra dunque essere a un bivio: da un lato un futuro all’interno delle organizzazioni internazionali, dall’altro il ritorno al vecchio establishment e, forse, all’isolamento.

Chi è Edoardo Corradi

Nato a Genova, è dottorando di ricerca in Scienza Politica all'Università degli Studi di Genova. Si interessa di Balcani occidentali, di cui ha scritto per numerosi giornali e riviste accademiche.

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