Si è conclusa in Croazia la raccolta delle firme necessarie per indire un referendum costituzionale sulla modifica del sistema elettorale e delle prerogative dei parlamentari delle minoranze, con l’intenzione di ridurne il peso in parlamento. Il 6 settembre scorso il ministero dell’amministrazione ha difatti cominciato l’iter per la verifica della validità delle firme, depositate il 13 giugno. Il referendum è stato promosso dall’iniziativa Narod odlučuje (il Popolo decide) con il sostegno degli ambienti cattolici e nazionalisti croati. Al momento non è ancora certo se il parlamento e la corte costituzionale approveranno i quesiti referendari.
I promotori del referendum
Tra i promotori del referendum si trovano il movimento nazional-conservatore e ultracattolico U ime obitelj (nel nome della famiglia) di Željka Markić, la destra nazionalista del partito Neovisni za Hrvatsku (Indipendenti per la Croazia) dell’ex-ministro della cultura Zlatko Hasanbegović, fino ai centristi-cattolici del partito Most, cui uno dei suoi membri, l’accademico Robert Pondeljak, ha scritto i due quesiti referendari. Sia il movimento di Markić che l’ex-Ministro Hasanbegović si erano già distinti in passato per i ripetuti attacchi all’editoria delle minoranze.
Oltre all’intolleranza verso le minoranze nazionali in Croazia, ad accomunare queste diverse forze è l’opposizione al governo Plenković, presidente ed espressione dell’ala moderata dell’HDZ (l’Unione democratica croata). L’HDZ è storicamente il principalmente attore politico in Croazia, riferimento dell’area conservatrice, che si dibatte al momento tra un’ala moderata d’ispirazione cristiano-democratica e un’altra più radicale marcatamente nazionalista.
In particolare, Plenković è accusato dall’ala più radicale del suo partito e dalle forze promotrici del referendum di aver spostato troppo l’asse del governo croato verso posizioni centriste e moderate, appoggiandosi in parlamento su una maggioranza composta dai rappresentanti delle minoranze nazionali e da altre forze liberali e centriste. A favore del referendum si è schierata inoltre la Presidente della Repubblica Kolinda Grabar-Kitarović, espressione dell’ala radicale dell’HDZ, in rotta da tempo con il primo ministro.
I quesiti proposti per il referendum
Benché inserito nel quadro di una generale riforma del sistema elettorale, l’obiettivo del referendum costituzionale appare quello di ridurre sensibilmente il peso politico dei rappresentanti delle minoranze nazionali nella politica croata. Il primo quesito referendario intende introdurre il voto elettronico, rafforzare il sistema delle preferenze, aggiornare i collegi elettorali, ridurre da 150 a 120 i membri del parlamento e di conseguenza da otto a sei i rappresentanti delle minoranze. Al momento in parlamento siedono tre rappresentati per la comunità serba, uno per la comunità italiana, uno per quella ungherese, uno per quella ceca e slovacca, infine uno per tutte le nazionalità un tempo appartenenti all’ex-Jugoslavia più gli albanesi e un ultimo per tutte le altre nazionalità.
Tuttavia, è il secondo quesito referendario che rischia di ledere maggiormente i diritti delle minoranze. Questo, infatti, verte sull’inserimento in costituzione di un comma che faccia divieto ai rappresentanti delle minoranze di votare le mozioni di fiducia e sfiducia all’esecutivo, così come la legge di bilancio. Una discriminazione di fatto che relegherebbe i parlamentari delle minoranze in posizione subalterna. Senza la possibilità – di norma esercitata in blocco come gruppo parlamentare unico delle minoranze – di votare la fiducia e il bilancio, i rappresentanti delle minoranze nazionali verrebbero privati di strumenti negoziali indispensabili per influenzare le politiche dell’esecutivo croato. Di conseguenza le minoranze nazionali come gruppi culturali distinti dal popolo maggioritario perderebbero di rappresentatività nella politica croata.
Da quando è stata approvata nel 2002, la legge costituzionale sui diritti delle minoranze nazionali ha istituito un sistema di protezione basato sulla rappresentatività delle minoranze, dal parlamento fino ai diversi livelli di autogoverno. Ciò permetteva, in un momento di consolidamento dello stato di diritto, di assicurare la protezione delle minoranze facendone un soggetto attivo della politica croata. Nella prassi, infatti, indipendentemente dal colore politico, gli otto rappresentanti delle minoranze hanno sempre appoggiato l’esecutivo croato, tranne che nel 2016 durante il breve esecutivo Oresković sostenuto dall’HDZ del radicale Karamarko.
Un assaggio di campagna referendaria
Al pari dei quesiti stessi, è la campagna referendaria lanciata da Narod odlučuje, di cui si è avuto un assaggio per la raccolta delle firme, a preoccupare maggiormente le minoranze nazionali in Croazia. I promotori del referendum hanno riadattato alla situazione i triti temi nazionalisti, tra cui: “il governo croato è ostaggio della minoranza serba”, “i parlamentari delle minoranze sono dei mercanti della politica, assicurano voti in cambio di fondi”, “i privilegi garantiti alle minoranze dal sistema attuale rappresentano una discriminazione contro la maggioranza del popolo croato”, e si potrebbe continuare.
Nell’arco di circa tre settimane, i promotori del referendum sono riusciti così a raccogliere intorno alle 407.000 firme (in corso di verifica). Secondo la legge, per richiedere di tenere un referendum costituzionale sono necessarie 370.000 firme, pari al 10% degli elettori. Un risultato notevole, già ottenuto da molti dei già rodati organizzatori di Narod odlučuje nel referendum del 2013, quando a mobilitare gli elettori era stato l’inserimento in costituzione del divieto di definire “matrimonio” l’unione civile tra persone dello stesso sesso.
Al momento, non è possibile prevedere se si terrà effettivamente il referendum sull’argomento. In particolare, i quesiti sembrerebbero presentare alcuni profili di incostituzionalità relativamente alla restrizione dei diritti delle minoranze nazionali tramite referendum popolare. Inoltre, in parlamento, le forze che hanno sostenuto apertamente il referendum (Most e la destra nazionalista) sono decisamente minoritarie e non hanno quindi una maggioranza semplice per lanciare l’iter referendario.
Tuttavia, rimane incerta la posizione del primo ministro Plenković e dell’HDZ. Schierandosi contro il referendum, il primo ministro rischia di spaccare il suo partito, mentre, schierandosi a favore, rischia di far saltare la maggioranza che sostiene il suo governo. In ogni caso, i promotori del referendum hanno raggiunto il loro principale obbiettivo: mettere pressione al governo liberal-conservatore di Plenković, reo di aver assunto posizioni troppo moderate. Tutto ciò a scapito delle minoranze nazionali in Croazia, su cui è stata scaricata una dose giornaliera d’odio, quanto basta per rinsaldare l’elettorato nazionalista.
Atteggiamenti di parte in questo articolo. L’iniziativa „Narod odlučuje“ chiede la soluzione che è già in vigore in Slovenia. Nel parlamento croato 8 deputati delle minoranze votano per le leggi, il bilancio ecc. In Slovenia due deputati, un’italiano, l’altro ungherese non votano, non fanno parte ne dall’opposizione ne posizione, ma si occupano degli argomenti minoritari. In Croazia invece, attualmente, deputato italiano nel parlamento croato fa parte della maggioranza parlamentare e per questo è premiato dall’accadizeta con il posto del vicepresidente del parlamento. La conseguenza: lui NON si occupa degli argomenti e problemi minoritari, ovvero non si occupa con le cose per le quali si trova nel parlamento, ma si occupa degli affari interni della Croazia, riceve le delegazioni, tenga le sessioni, ecc., ma può ricattare e piegare il governo e fare qualcosa per il suo gruppo nazionale.. questo è vero. In Slovenia italiani hanno cosidetto „doppio voto“. Votano per qualche partito (voto politico) e votano per il loro rappresentante (voto minoritario), quello che non ha il diritto di voto nel parlamento.