Di ritorno da Zagabria – Nella finale del mondiale di calcio Russia 2018 di domenica 15 luglio, la nazionale croata ha perso, ma a Zagabria e in Croazia non importa. Lì, per due giorni e due notti, si è festeggiato, e si continuerà a festeggiare qualcosa di storico con molta più passione e trasporto di quanto si potrà mai festeggiare dalle parti degli Champs Elysées. Lì, negli anni a venire, seduti ai bar, si continuerà a raccontare il cammino della Croazia, gol per gol, dettaglio per dettaglio, come fosse successo ieri. Col cuore in fiamme (srce mi gori in croato, da una recente canzone dei tifosi, se ne consiglia l’ascolto durante la lettura) si continueranno a sostenere Modrić e compagni, i Vatreni (gli infuocati), e si ricorderà quando a Russia 2018 finirono sul tetto del mondo. Lì è già storia, lì è già epica. Semplicemente perché lì si fa così.
Fuori da lì, da noi, nel mondo, c’è chi ha scoperto per la prima volta la Croazia. Eccola sulla mappa, sta in Europa, persino nell’UE, con la sua forma strana. I croati sostengono assomigli a un drago proteso verso l’adriatico. C’è chi conosce la Croazia per le isole e il mare. Chi, invece, si ricorda della dissoluzione della Jugoslavia, della guerra che vi si combatté tra il ’91 e il ’95 e dell’indipendenza recente. Da questa nacque una piccola patria che si dice balcanica, mediterranea e mitteleuropea: identità molteplici, forte nazionalismo latente, profonde divisioni politiche e poche altre certezze comuni oltre al tifo per la nazionale.
Da quelle parti funziona così, bisogna abituarsi per non cadere nelle semplificazioni della politica e dei media nostrani tesi a propinarci la narrazione di una finale tra una Francia multietnica e illuminista e una Croazia slava, bianca e sovranista. Semplificazioni idiote e stereotipi facili che stonano con le banlieues degradate di Parigi e le tensioni sociali esplose anche durante le celebrazioni per la coppa del mondo. Dall’altro, troviamo invece una Croazia che, con buona pace dei sovranisti, vuole entrare nell’area Schengen, adottare l’euro, e le cui stelle della nazionale hanno passato l’infanzia come rifugiati di guerra.
Ma tutto ciò oggi non importa. Oggi la Croazia entra di diritto tra le grandi del calcio mondiale, ed è tutta un’altra storia. Con la caratteristica maglia a scacchi, a testa bassa, la nazionale croata è salita fino in finale: tre vittorie su tre contro Nigeria, Argentina e Islanda nel girone; due vittorie ai rigori agli ottavi e ai quarti contro Danimarca e Russia; la vittoria in semifinale contro l’Inghilterra per battere il precedente miglior piazzamento, il terzo posto del 1998, e infine la finale. Una finale affrontata con coraggio, gestendo il gioco, persa contro una Francia meno coraggiosa ma tatticamente più concreta.
Alla fine, la Croazia ha perso 4 a 2, ma ai giocatori, tifosi, istituzioni e il paese tutto non sembra importare. La storia si è fatta comunque. La Croazia è arrivata sul tetto del mondo. Tralasciando le vittorie al mondiale dell’Uruguay del 1930 e del 1950, la Croazia, con i suoi 4 milioni di abitanti, è la nazionale meno popolosa ad essere arrivata in fondo a un mondiale. La Croazia è il primo paese dell’ex-Jugoslavia e dei Balcani tutti a prendere parte a una finale della coppa del mondo, il secondo paese slavo dopo la Cecoslovacchia nel ’34 e nel ’62, e il terzo paese dell’ex-Europa orientale tenendo conto dell’Ungheria che arrivò in finale nel ’38 e nel ’54. Se si mettono da parte questi precedenti datati, si capisce come per numero di abitanti, provenienza geografica e potere economico la nazionale di Dalić ha scritto la storia non solo del proprio paese, ma del calcio mondiale moderno.
Dopo la partita di domenica, a Zagabria è esplosa la festa per due giorni e due notti consecutive. Nessuno sembra intenzionato a volersi fermare. Lunedì 16 luglio, i giocatori della nazionale sono arrivati a Zagabria, mentre martedì 17 erano a Spalato, mercoledì 18, invece chissà. Lunedì, a Parigi, sugli Champs Elisées ad aspettare la nazionale francese vi erano 2 milioni di persone, pari al’1,32% degli abitanti totali della Francia. A Zagabria, invece, a dare il benvenuto a Modrić e compagni per le vie di Zagabria si sono riversate più di 500.000 persone, il 13% della popolazione totale della Croazia. Il bus con a bordo, o meglio sul tetto, i giocatori della nazionale, circondato dalla marea dei tifosi croati con le maglie a scacchi, ci ha messo 5 ore per arrivare dall’aeroporto di Zagabria alla centrale piazza Ban Jelačić. Lì, è continuata la festa fino a tarda notte.
All’interno, il paese è esploso, mentre, all’esterno, la Croazia è stata sulla bocca di tutti, ammirata e tifata da quasi tutti gli amanti del calcio. D’altronde, tra Davide e Golia si parteggia spesso per Davide. Per coloro che se lo chiedono: sì, gli accenti nazionalisti del tifo croato sono schizzati alle stelle. E sì, il cantante nazionalista Marko Perković “Thompson” è salito sul palco della squadra a festeggiare. E sì, benché minoritarie, bandiere e magliette con la simbologia ustascia apparivano indisturbate qua e là tra la folla. E sì, alcuni politici, una in particolare, hanno sfruttato l’occasione per mettersi in mostra e capitalizzare consenso. E sì, c’è chi dappertutto tenta di utilizzare le nazionali per veicolare messaggi politici. Ma poco importa, la Croazia è arrivata in finale, i cuori dei croati sono in fiamme. Chi si sforza di far combaciare a tutti i costi calcio e politica, di traslare il comportamento di singole personalità su un intero popolo, insegue delle semplificazioni stringenti, fa della retorica insopportabile.
In un paese fortemente diviso, in cui coesistono interpretazioni divergenti sulle origini dello stato moderno croato, in cui identità regionali, etniche e politiche distinte si scontrano con una narrazione nazionale centralizzata, uniformante e artificiale. In un paese così, il tifo dei croati col cuore in fiamme per la propria nazionale ha certamente rappresentato uno dei momenti più passionali, d’unità e condivisione della storia recente della Croazia. La finale di Mosca del 15 luglio 2018 è già storia. È già epica da bar. Almeno fino al prossimo successo. Semplicemente perché lì si fa così.
Si vergogni. Senza se e senza ma. Non si può giustificare Thompson, in nessun modo.
Soprattutto quando la sua partecipazione è così fortemente voluta da settimane in cui le sue canzoni sono diventate di fatto l’inno ufficiale dello spogliatoio croato.
Lei conosce bene la Croazia e l’ha studiata molto bene, ma chi, come me, la frequenta di persona dagli anni 70 e che ha visto e sentito l’escalation di fine anni ’80 (i commenti per strada e nei bar, i cambiamenti nelle persone, l’umore che si respirava), non può che rabbrividere rivivendo questi segnali di sfida e di guerra.
E la giustificazione di questi comportamenti, come lei fa, è semplicemente vergognosa.
Immagino che anche lei fosse in piazza, sbronzo di tomislav o karlovacko, e con la gioia riflessa del tifoso italiano frustrato dalla mancata partecipazione.
Avevo pensato anche io di andare a Rijeka dai tanti amici a vedere la finale, poi, proprio per questi segnali troppo acuti e persistenti, ho lasciato perdere, sarebbe stata triste e dolorosa e credo proprio che avrei tifato Francia.
Caro Beppe,
si vergogni lei perché non sa leggere. Non capisco da dove abbia preso un commento di merito su Thompson o una giustificazione della sua presenza nel mio articolo. Io le ho descritto la situazione e il sentimento dei tifosi croati dopo la sconfitta, lei ne tragga le valutazioni che vuole.
Personalmente, ritengo il suo commento maleducato (“sbronzo”, “italiano frustrato”, “si vergogni”) e pieno zeppo di giudizi preconcetti. Non è il commento al quale di norma rispondo, perché non c’è granché da approfondire, non mi sta chiedendo un chiarimento, vuole solo fornirci la sua opinione preconcetta e già ben conosciuta ai più.
Tuttavia, siccome l’ “affaire Thompson” ha tenuto banco sia in Croazia che nei media internazionali, è bene fare alcuni chiarimenti. La presenza di Thompson non era prevista dagli organizzatori dell’evento. E’ stato invitato espressamente dall’allenatore Dalic e dal capitano Modric. Nonostante la pressione della squadra, gli organizzatori dell’evento li hanno permesso di cantare una sola canzone (che tra l’altro non ha decisamente infiammato la piazza) e l’hanno poi gentilmente invitato ad allontanarsi dal palco. Ciò non toglie che Thompson è stato invitato sul pullman della squadra, è salito sul palco, e molti tifosi hanno comunque cantato a squarciagola una delle sue canzoni (e probabilmente le cantano a casa, e vanno ai concerti). Molti, non tutti e comunque non una maggioranza schiacciante. Legga la situazione come preferisce, ma un auto-investito vate della nazione che si deve intrufolare su di un pullman, pregare per essere portato sul palco perché non figura nel programma ufficiale, per poi essere allontanato in una generale atmosfera di disagio, più che rabbia, a me stavolta fa solo parecchia pena.
Detto questo, allenatore e giocatori della nazionale hanno invitato Thompson sul palco, alcuni tifosi hanno cantato le sue canzoni e il nazionalismo è e rimane forte in Croazia. E’ un fatto, lo conosciamo, ne hanno scritto in molti, non ci vedo niente di nuovo o interessante. Semmai è interessante che dopo questo “affaire Thompson”, in molti nell’opinione pubblica si chiedono se fosse stato il caso e perché era lì anche non previsto. Molti altri, nei vari sondaggi informali lanciati dai giornali si sono detti contrari alla presenza di Thomspon sul palco. Diversi editorialisti hanno scritto articoli di riflessione e di denuncia sull’accaduto. In diversi strati dell’opinione pubblica, favorevole o meno al cantante, vi era la sensazione che la presenza di questo sul palco fosse uno strappo fuori luogo. Come spesso accade in questi casi la popolazione della Croazia si divide in due, con nazionalisti e accondiscendenti che sono spesso maggioritari. Ciò però non vuol dire che solo loro, con il loro marcato nazionalismo devono essere presi e costantemente riproposti all’esterno come rappresentanti della Croazia tutta. Non mi pare in primo luogo veritiero, e in secondo luogo giusto. Nel mio articolo, Thompson fa parte della descrizione, c’era, non si può negare, ma non rappresenta certo tutta la storia.
Concludo perciò invitandola a vergognarsi lei per i giudizi personali e coloriti che ha espresso sull’articolo e sull’autore.
Inoltre, visto che conosce la regione, le consiglierei vivamente di fare un tentativo per andare oltre questa rappresentazione della Croazia e dei Balcani fatta di giudizi e opinioni immutate da 30 anni, la storia e la guerra le conosciamo, se ne legge dappertutto, cerchiamo di raccontare qualcosa in più.
Cordialmente,
Pierluca Merola
Gentilissimo Pierluca
ha ragione, nel mio commento avevo certamente trasceso oltre le regole della buona educazione e me ne scuso, ma lo sdoganamento di Thompson e di tutto quello che vi sta attorno mi aveva accecato e continuo a credere che purtroppo tale sdoganamento passi anche da un commento a mio parere non sufficientemente critico come il suo, così come anche da una eccessiva analisi dei dettagli sui quali lei torna (era invitato, non invitato, subito invitato ad andarsene… mi ricorda Nanni Moretti ed il suo arcinoto “ma mi si nota di più se non vengo…”).
Ripeto, lo stiamo sdoganando (ne sono colpevole anche io continuando a parlarne), così come in Italia abbiamo sdoganato la prostituzione minorile con Berlusconi e tante altre miserie, ma su tali fenomeni (sarò stari con pregiudizi) bisogna rimanere fermi, senza se senza ma.
Si sono stato maleducato e provocatorio, ma perché le assicuro di non avere preconcetti e pregiudizi, ma di avere vissuto sulla pelle delle mie amicizie un impoverimento culturale e civile di una HR che ha mantenuto e peggiorato quanto già aveva di negativo, acquisendo in contemporanea il peggio delle nazioni (Austria, Italia) che la circondano e delle quali è storicamente invidiosa e dipendente e contro le quali sta maturando sempre più avversità e presunzione.
L’Europa sta peggiorando e non è solo “prendendone atto” che possiamo tentare di fermare questo degrado e deriva. Anche se capisco che il mestiere del giornalista non imponga necessariamente censure nel merito ma possa invitare ad ampliare lo sguardo verso una cronaca “attenta ai cambiamenti” (di cui noi “stari” – nel senso di “old fart” – non siamo più i migliori osservatori…).
Mi scuso per le offese (avrei dovuto tenere il punto con meno villania) e sono pronto a sfidarla quando vuole a tomislav e pelinkovac (mi trova in una stara “robinzon” kuca a zut dal 3 al 15 agosto).
Cordialmente
Giuseppe Olmeti
Gentile Giuseppe,
capisco benissimo le sue osservazioni e preoccupazioni sullo sdoganamento di certe figure e situazioni, in Croazia come altrove. Sull’impoverimento culturale e civile non posso giudicare per questioni anagrafiche, ma non fatico a crederlo.
La ringrazio per le scuse e per aver commentato e quindi aggiunto un punto di vista e una riflessione sulla questione.
cordiali saluti,
Pierluca Merola