Per la politica georgiana si profilano mesi caldi: il rientro in gioco del miliardario Bidzina Ivanishvili, le dimissioni dell’ex premier Giorgi Kvirikashvili e la successiva nomina di Mamuka Bakhtadze hanno mescolato per l’ennesima volta le carte in tavola, in un paese che a partire dal 2012, anno della salita al potere del Sogno Georgiano, ha visto alternarsi ai vertici del governo ben quattro diversi premier, nonostante il partito di maggioranza sia sempre rimasto più o meno saldamente alla guida del paese.
Un altro premier a tempo?
In principio vi fu proprio Ivanishvili, fondatore del partito, recentemente rientrato in politica dopo le dimissioni del novembre 2013, arrivate dopo un solo anno di governo nonché a un mese esatto dalla vittoria del Sogno Georgiano alle elezioni presidenziali di quell’anno; vittoria che permise al miliardario georgiano di porre fine all’era del rivale Saakashvili. Conseguito il suo obiettivo primario, come aveva promesso, Ivanishvili fece un passo indietro, passando il testimone al ministro degli Interni Irakli Gharibashvili, pur continuando però a dirigere informalmente il partito da dietro le quinte al fine di salvaguardare i propri interessi.
A sua volta lo stesso Gharibashvili, sempre più in conflitto con il presidente Margvelashvili e sempre meno popolare tra i georgiani, dopo quasi due anni di governo annunciò a sorpresa le proprie dimissioni, senza motivare concretamente tale decisione. Con le elezioni parlamentari del 2016 in vista, bisognava far fronte al preoccupante calo di consensi che aveva colpito il Sogno Georgiano. Ivanishvili decise quindi di fare la sua mossa: fuori Gharibashvili e dentro l’allora ministro degli Esteri Giorgi Kvirikashvili, che poi guidò effettivamente il partito alla vittoria nelle elezioni di ottobre.
Anche con quest’ultimo, tuttavia, le cose non sono andate poi diversamente: fallito il tentativo di risanare la frattura tra governo e presidenza, Kvirikashvili si è successivamente trovato invischiato nella disputa interna che ha recentemente scosso il Sogno Georgiano, e ha dovuto fare i conti con le proteste di massa legate ai violenti raid anti-droga messi in atto dalla polizia in alcuni locali della capitale e alla maldestra gestione del caso degli omicidi di Via Khorava; per poi entrare in aperto contrasto con alcuni membri di spicco del partito di maggioranza, su tutti lo stesso Ivanishvili, a causa delle sue politiche economiche. Il rientro in politica di quest’ultimo, dettato in primis proprio dalla necessità di risolvere la disputa interna al partito, si è rivelato di fatto una sentenza di condanna per Kvirikashvili, trovatosi costretto a fare un passo indietro nell’impossibilità di portare avanti il mandato.
Per sostituirlo Ivanishvili ha scelto appunto Bakhtadze, ex ministro delle Finanze, che con i suoi due predecessori ha in comune soprattutto una cosa: la limitata indipendenza politica, soprattutto ora che il miliardario georgiano ha deciso di rientrare ufficialmente in scena. Per questo, molti georgiani hanno iniziato a chiedersi se Bakhtadze, che sulla carta dovrebbe essere l’uomo di maggior peso politico del paese, non sia in realtà altro che l’ennesimo premier a tempo, da sacrificare sull’altare del partito non appena Ivanishvili ne senta la necessità.
Ora di gettare la maschera
Questi continui cambi al vertice, caratterizzati da una sempre più evidente mancanza di trasparenza, oltre a generare un clima di perenne stagnazione politica non fanno che danneggiare il processo democratico di un paese a cui manca sempre di più una guida che sia allo stesso tempo credibile, autorevole e legittimata dai cittadini.
Volendo Ivanishvili, al quale di certo non manca l’autorità, sarebbe potenzialmente in grado di ottenere anche la legittimazione popolare. Infatti, se da un lato buona parte dell’elettorato del Sogno Georgiano, quando si reca alle urne, dà il proprio voto al miliardario piuttosto che al candidato di turno, dall’altro l’opposizione, sempre più frammentata, non sembra al momento essere in grado di presentare una concreta alternativa al partito di governo. Nonostante questo Ivanishvili sembra continuare a preferire gestire il paese all’ombra del primo ministro di turno piuttosto che esporsi direttamente, anche in seguito al suo rientro ufficiale in politica.
Proprio questa decisione, che secondo una dichiarazione rilasciata dallo stesso Ivanishvili qualche anno fa sarebbe stata presa solo se il paese si fosse trovato in una situazione di emergenza, dimostra come però le cose stiano cambiando. Il Sogno Georgiano, arrivato a rischiare il collasso durante la recente crisi intestina, si è trovato nella necessità di serrare i ranghi. Serviva una guida, una figura carismatica in grado di ripristinare l’unità del partito e porre fine alle controversie interne; serviva che Ivanishvili tornasse a riassumere la guida della creatura da lui fondata sei anni fa, e così è stato.
Ora però i georgiani chiamano Ivanishvili a scoprire le proprie carte, chiedendogli di fare una scelta: limitarsi a svolgere un ruolo di coordinamento più o meno formale all’interno del Sogno Georgiano, senza però interferire ogni qual volta nelle decisioni del governo, o tornare a ricoprire un incarico politico di primo piano, rivestendo magari i panni del primo ministro; tutto purché si ponga fine a questo contesto di forte ambiguità.
Tale situazione del resto danneggia tanto il paese quanto la stessa credibilità di Ivanishvili, al punto che tra la popolazione georgiana i suoi critici crescono di anno in anno, man mano che l’ex premier sfrutta la sua influenza sul governo per ottenere favori e provvedimenti legislativi ad personam (si veda il caso relativo al progetto Panorama Tbilisi, fortemente criticato dalla società civile e da parte della stessa amministrazione della capitale).
In vista delle elezioni parlamentari del 2020, per provare a salvare oltre alla faccia anche il Sogno Georgiano, più diviso che mai e secondo gli ultimi sondaggi in calo di consensi, Ivanishvili dovrà dimostrarsi in grado di riformare il partito, definendo una volta per tutte il suo ruolo all’interno dello stesso e consentendo finalmente l’emergere di una nuova classe politica autonoma e responsabile.
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Foto: RFE/RL