Luca Rastello
Dopodomani non ci sarà. Sull’esperienza delle cose ultime
Introduzione di Monica Bardi
Chiarelettere, Milano 2018
pp. 304, euro 16.90
La libraia sobbalza lievemente, quando le chiedo l’ultimo libro di Luca Rastello e preciso “uscito oggi”. Con rispettosa noncuranza mi chiede: «Ma è mancato, vero?». «Sì, esattamente tre anni fa, il volume è una raccolta postuma dei suoi ultimi scritti». La libraia si scrolla di dosso l’imbarazzo e urla da un capo all’altro del lungo corridoio, chiedendo alla collega il libro arrivato oggi, nella scatola a destra con il volto di un uomo in copertina.
A quel punto vorrei dirle che Luca era un mio amico e che mi fa una certa impressione prendere in mano quel volume con la sua foto. La sento vicina e partecipe, come se fossimo due lontane parenti che hanno perso un proprio caro e che si riconoscono, per un attimo, in una comune solidarietà, ma sto zitta. Per ritrosia, rispetto verso chi non c’è più, connaturata riservatezza.
Tornata a casa mi butto sul libro e mi ci caccio dentro come in un’enciclopedia di pensieri sparsi, ma coerenti, sicura che sapranno parlarmi, colpirmi, forse pesino ferirmi. E, infatti, nel capitolo/racconto/appunti in divenire Il funerale degli orsacchiotti leggo parole, che sembrano scritte (anche) per me: «Perché quando cammina dietro una bara ogni uomo è il migliore amico del morto, il solo a condividere con lui un segreto che gli altri dovranno pur percepire, sia pure con un piccolo aiuto fornito dalla messa in scena di un’affranta ironia o di una fiammeggiante prostrazione».
Mi scuoto e passo a leggere avidamente tutto il resto, anche se, devo ammetterlo, devo ancora finire almeno ancora un buon centinaio di pagine. Lo farò nei prossimi giorni, anche perché Dopodomani non ci sarà è una miniera ricchissima, da gustare con la calma e i tempi che ciascuno saprà ritagliarsi.
Il volume, in libreria dal 6 luglio, è la raccolta degli scritti, o almeno delle parti più compiute, che avrebbero dovuto tramutarsi in un romanzo non tanto sulla sua malattia, quanto sulla medicalizzazione della malattia stessa, sulle false chimere delle cure alternative, sulle storture del volontariato e sull’autoesaltazione dei professionisti della bontà, tema quest’ultimo già ampiamente eviscerato nel romanzo del 2014 I Buoni.
A corredo del nucleo centrale del libro vi è il testo di apertura, Del morire, una riflessione a latere del romanzo, ma a esso strettamente connessa. Ha le fattezze del blog amaro e sarcastico del Malato Riottoso, alter ego di Luca, che pur non accettando la malattia e la morte, viene a patti con loro in un duello dialettico, sfidando interlocutori dai nomi e dalla consistenza surreali, ma allo stesso tempo straordinariamente concreti (Milza, Pancreas ’61, Leuco Cito).
Chiudono il volume tre saggi e La lettera alle pulci piccole in forma di testamento, il commovente commiato alle figlie che, pur avendo due precise interlocutrici, sa parlare non solo a quanti lo hanno conosciuto, a quanti lo hanno letto e a quanti lo leggeranno. Perché gli scritti di Luca Rastello sono così: trattano di temi specifici, ma hanno respiro universale, celano tra le righe le parole giuste in cui saprai riconoscerti, ma senza condiscenda, anzi sempre con la bacchetta in mano. Una bacchetta gentile che non ti indicherà la strada, ma ti indurrà a cercarla, che non dirà mai cosa sia buono o cattivo, ma ti spingerà a scoprirlo sulla tua pelle e con i tuoi occhi, una bacchetta che ti terrà per mano sull’orlo del precipizio dei pregiudizi, dei fanatismi e dell’egocentrismo. Un dialogo ininterrotto che non avrà mai fine, perché fondato sulla ricerca, la curiosità e anche su un pizzico non proprio inconsistente di coraggio.
Così arrivo alla fine delle mie riflessioni e, rileggendo la mia breve recensione, prima di mandarla in redazione, mi rendo conto che una bacchettata di Luca me la meriterei proprio. Perché la mia amicizia con lui, in fin dei conti, l’ho sbandierata in un articolo che, come spero, sarà letto da tanti. Mica mi sono limitata alla libraia! Ma so anche che, sebbene Luca fosse profondamente intransigente verso determinate condotte, con le persone, tranne in pochi casi, sapeva essere indulgente.