La Macedonia si prepara ad affrontare dei mesi particolarmente caldi sul fronte politico. È difatti iniziata la campagna referendaria in vista della consultazione popolare sull’accordo con la Grecia, in programma tra settembre e ottobre. L’intesa, che sancisce che lo stato con capitale Skopje si chiamerà Repubblica della Macedonia del Nord, ponendo fine ad una diatriba con Atene che dura da 27 anni, ha ottenuto la ratifica del parlamento macedone, ma dovrà ora passare al vaglio del voto dei cittadini. Sarà un voto decisivo non solo per le sorti del primo ministro Zoran Zaev, che ha investito tutto sul compromesso con il suo omologo Alexis Tsipras, ma per gli equilibri del paese e di tutta la regione.
Il voto del parlamento
L’accordo siglato da Zaev e Tsipras il 17 giugno scorso sulle rive del lago di Prespa, al confine tra Macedonia e Grecia, ha superato i primi ostacoli in vista della sua definitiva ratifica. Il parlamento macedone ha difatti votato a favore dell’intesa per ben due volte, il 20 giugno e il 5 luglio. Il doppio voto si è reso necessario a causa del rifiuto del presidente della Repubblica Gjorge Ivanov di firmare l’accordo. Ivanov, esponente del partito di centrodestra VMRO-DPMNE, all’opposizione del governo Zaev, lo ha difatti definito incostituzionale, nonché una capitolazione e una rinuncia alla propria identità nazionale. Secondo la Costituzione macedone, però, il presidente non può porre il veto ad una legge votata due volte: grazie al secondo passaggio in aula, dunque, il voto si può ritenere valido. Anche se Ivanov si rifiuterà ancora di apporre la propria firma, la crisi istituzionale che ne deriverebbe non sarebbe in grado di fermare l’accordo.
L’opposizione e la strategia nazionalista
La posizione di Ivanov rispecchia fedelmente quella del suo partito di appartenenza. I parlamentari della VMRO, difatti, sono usciti dall’aula al momento del voto, e ora preannunciano un’aspra battaglia contro l’accordo. Una battaglia che sarà soprattutto nelle piazze, come già dimostrato nelle settimane scorse, ma anche legale: il partito ha difatti presentato un’accusa di tradimento contro Zaev e i suoi ministri. La strategia del centrodestra è quella di soffiare sul fuoco del nazionalismo, molto sentito da una parte della popolazione, per vincere il referendum, far saltare l’accordo e sancire il crollo dell’esecutivo, riprendendosi così quel potere perso nelle elezioni del dicembre 2016.
Il governo e la carta internazionale
La carta più forte che Zaev può mettere sul tavolo per vincere il referendum è quella dell’integrazione europea ed atlantica. Dopo anni di frustrante limbo dovuto al veto posto dal governo greco, la Macedonia ha finalmente ottenuto un semaforo verde da parte del Consiglio europeo dello scorso 26 giugno. Grazie alla risoluzione della diatriba sul nome, dunque, i negoziati per l’adesione all’Unione europea della Macedonia (e con lei dell’Albania) inizieranno ufficialmente nel giugno del 2019. Notizie positive sono arrivate anche dal Consiglio della NATO dell’11 e 12 luglio, nel quale Skopje ha ricevuto l’invito ufficiale per l’adesione all’Alleanza atlantica, che si completerà però solo quando l’accordo sul nome sarà ratificato in modo definitivo. Proprio su questi successi internazionali punta la campagna referendaria del governo, già iniziata sui social media, nonostante la data ufficiale della consultazione non sia ancora stata fissata.
Di fronte a questo quadro, è evidente che la campagna referendaria dei prossimi 3-4 mesi sarà particolarmente accesa. I rischi di scontri di piazza e di toni infuocati sono reali, soprattutto alla luce delle tensioni che hanno caratterizzato i rapporti tra gli opposti schieramenti politici negli anni scorsi. In gioco c’è la stabilità del paese.
Le ricadute regionali
La questione non si limita però ai confini macedoni. Il soggetto maggiormente interessato all’esito del referendum è chiaramente la Grecia. Così come Zaev, anche il primo ministro greco Tsipras rischia molto. L’opposizione ha già annunciato di voler combattere contro l’intesa con ogni mezzo, rifiutando qualunque compromesso che permetta allo stato vicino l’utilizzo del termine “Macedonia”, considerato esclusivo della regione settentrionale del paese ellenico. Anche gli alleati di Syriza si sono detti contrari, con conseguenti pericoli per la stabilità del governo: se il referendum macedone dovesse passare, dunque, anche il voto del parlamento greco che lo seguirà si prospetta particolarmente rischioso.
L’attenzione sul percorso di ratifica, però, va oltre alle due parti contraenti. Lo dimostrano gli attestati di stima e di supporto arrivati ai due leader da parte dei maggiori soggetti internazionali, su tutti gli Stati Uniti e l’Unione europea. La risoluzione di una crisi quasi trentennale, difatti, può agire da esempio a livello internazionale, in particolare sulla regione balcanica. Se Atene e Skopje dovessero davvero portare alla nascita della Repubblica della Macedonia del Nord, difatti, le pressioni sulle leadership regionali per risolvere le crisi ancora aperte, su tutte quella del Kosovo, sarebbero ancora più forti. Il referendum macedone, dunque, è certamente uno degli appuntamenti politici cruciali per il futuro di tutti i Balcani.