In un’intervista del 2003 l’allora c.t. della nazionale italiana Paolo De Crescenzo definiva la pallanuoto come “affascinante, dura, leale, sommersa”, cogliendo con questi aggettivi sia i tratti costitutivi sia le contraddizioni fondamentali di questo sport. Nella pallanuoto, dove il contatto fisico rappresenta una costante, la lealtà e il rispetto nei confronti dell’avversario sono soprattutto un “meccanismo di difesa” per evitare che lo scontro sportivo degeneri in una lotta confusa. Uno scontro fisico leale tra due giocatori può infatti tramutarsi, sotto la spinta di vari fattori, in una battaglia sommersa e sleale. Il confine è labile.
Fu questo il caso della sfida olimpica che vide contrapposte Ungheria e URSS nel dicembre del ’56 in Australia, passata alla storia come “il bagno di sangue di Melbourne”. In questa partita furono gli odi e i dissapori di natura politica e nazionale tra le due squadre i fattori che influenzarono gli sviluppi del match, caricando la sfida di un valore simbolico che andò oltre la mera competizione sportiva.
I giochi olimpici e la rivolta ungherese del 1956
I giochi olimpici australiani del 1956 si svolgono a poca distanza temporale da uno degli eventi più drammatici della guerra fredda: la rivolta ungherese del ’56. La cerimonia che apre i giochi avviene il 22 novembre, pochi giorni dopo l’archiviazione della “questione ungherese” da parte dell’Unione Sovietica, che ha cancellato le speranze nutrite dai ribelli verso il governo riformista di Imre Nagy, costretto a rifugiarsi nell’ambasciata Jugoslava e sostituito dal filo-sovietico Janos Kadar.
Quando a fine ottobre esplode la rivolta nelle strade di Budapest, la nazionale di pallanuoto allenata da Béla Rajki-Reich si trova impegnata nella preparazione atletica tra le colline che sovrastano la capitale. Il capitano della squadra, Dezso Gyarmati, si unisce alle prime proteste, abbandonando momentaneamente il campo di allenamento. Ma quando la squadra viene coattivamente “spedita” in Cecoslovacchia per terminare la preparazione, Dezso e i suoi compagni perdono ogni contatto con ciò che sta accadendo a Budapest. Solo quando atterrano in terra australiana a fine novembre vengono a conoscenza di ciò che è avvenuto in Ungheria dopo la loro partenza. Le reazioni sono di sgomento, incredulità, rabbia. Molti giocatori e dirigenti prendono in questo momento la decisione di non tornare in patria una volta terminati i giochi.
Ungheria: superpotenza in vasca
La nazionale ungherese, già detentrice di 3 medaglie d’oro olimpiche (1932, 1936, 1952) si presenta all’appuntamento australiano del ’56 come la superpotenza indiscussa della pallanuoto mondiale. Sulla carta, le uniche formazioni in grado di ostacolare la marcia magiara verso il quarto titolo olimpico sono quelle della Jugoslavia e dell’Unione Sovietica.
I magiari superano facilmente la fase a gironi e vedono materializzarsi la possibilità di riscattare, almeno sotto il profilo sportivo, la repressione della rivolta avvenuta solo un mese prima: il 6 dicembre l’avversaria da affrontare in semifinale è proprio l’Unione Sovietica. In vasca, gli equilibri geopolitici vengono stravolti. La superpotenza, in questo campo, è l’Ungheria.
Il bagno di sangue di Melbourne
Nel clima tesissimo del Crystal Palace di Melbourne, i tifosi presenti assistono ad una sfida leggendaria. Gli ungheresi, consapevoli della loro superiorità tecnica rispetto agli avversari, attuano fin da subito una strategia volta ad innervosirli. I giocatori sovietici vengono irrisi e provocati in lingua russa fin dai primi istanti della partita. Una strategia di offesa verbale non difficile da attuare per una generazione di ungheresi cresciuti sotto lo strapotere culturale, oltre che politico, dell’URSS. La lealtà e il fascino propri di questo sport lasciano allora spazio alla violenza verbale e allo scontro fisico. Pugni, calci e falli gravi dominano la scena dell’incontro. Sotto l’aspetto tecnico, l’Ungheria si dimostra, come da copione, nettamente superiore alla formazione sovietica. Il primo tempo termina 2 a 0 per i magiari, che mostrano una difesa granitica e un attacco efficace sotto porta. Nel corso della partita, l’arbitro tenta di frenare la furia fallosa dei giocatori di entrambe le squadre con 5 espulsioni, ma ciò non basta a contenere la tensione in vasca.
Durante il secondo tempo l’Ungheria si porta avanti di altri 2 goal, congelando il risultato sul 4 a 0. Ai sovietici non rimane che la frustrazione. A pochi minuti dal fischio finale, il russo Valentin Propokov sferra un pugno in pieno volto al magiaro Ervin Zàdor. La ferita sotto il sopracciglio è profonda (gli costerà 13 punti di sutura oltre che una sofferta assenza nella finale) e il ventunenne magiaro è costretto ad abbandonare la partita. Il capitano Gyarmati consiglia al compagno di uscire dalla piscina nuotando verso il lato opposto, dove si trova la tribuna con 8.000 spettatori. Una scelta che si rivela vincente: mentre Zàdor nuota da un lato all’altro la piscina si colora di rosso. Il ventunenne magiaro esce dall’acqua con il torace e il viso ricoperti di sangue, scatenando la reazione furiosa degli spettatori, per la maggior parte già schierati con la nazionale magiara. Alcuni di loro si riversano a bordo vasca insultando e sputando contro i giocatori sovietici, che escono dalla piscina a stento scortati dalla polizia australiana. L’arbitro fischia in anticipo la fine. Il riscatto sportivo è compiuto e l’Ungheria arriva in finale.
Il bagno di sangue di Melbourne permise alla squadra ungherese di riscattare sul piano sportivo la repressione sovietica e di guadagnarsi sul campo il quarto oro olimpico contro la Jugoslavia (battuta 2 a 1). Ma la conseguenza più significativa della vittoria magiara fu quella di aver rivitalizzato il sentimento di orgoglio nazionale in un momento in cui quest’ultimo veniva messo a dura prova dagli eventi della storia. In ricordo di quanto accaduto, nel 2006 vengono realizzati il film “Szabadasag, szerelem” (Children of Glory) e il documentario “Freedom’s Fury”, a testimonianza del fascino che questa sfida ha continuato ad esercitare sul popolo ungherese anche a distanza di decenni.
Come continuare a rovesciare la storia…Ma perché non ricorda la caccia a comunisti e degli ebrei avvenuta proprio a Ungheria 56? Per fortuna l’Unione Sovietica intervenne per fermare la controrivoluzione fascista della cricca Nagy…altro che ricordare partite di pallanuoto e far passare anche qui i sovietici come teppisti in “palombella rossa”
Il pezzo è dedicato ad una partita, un singolo evento. Non è un saggio, né un libro sul 56 ungherese. La rivolta è solo lo sfondo di questa vicenda. In nessun momento vengono negate le atrocità commesse durante gli eventi dell’ottobre/novembre ungherese. Quindi non capisco il motivo di chiedere (?) il riferimento alla caccia ai comunisti/ebrei. L’articolo, per giunta, è imparziale in merito alla rivolta (non a caso scrivo sempre “rivolta” e mai “rivoluzione”). Ovviamente, essendo il pezzo dedicato alla vittoria ungherese, vengono descritti gli stati d’animo e i “momenti” che coinvolsero i magiari. Ad un certo punto scrivo anche che gli ungheresi attuano una strategia volta ad innervosire i sovietici, un fatto che non fa proprio onore ai giocatori magiari. I pallanuotisti sovietici vengono invece descritti per quello che sono: inferiori tecnicamente e fisicamente agli ungheresi. Il pugno a Zador è storia, non c’è mistificazione. Il risultato di 4 – 0 credo parli da solo. Il commento finale, dove scrivo che quella vittoria rivitalizzò il sentimento di orgoglio nazionale ungherese, è un altro dato di fatto. Non vuole essere un commento di parte. E’ un dato di fatto perché ancora oggi in Ungheria è un evento ricordato e apprezzato dalla popolazione (poi che venga romanzato e utilizzato per fini politici non lo nego). Comunque la ringrazio. Magari prenderò spunto dal suo commento per ricordare il massacro che avvenne nella piazza Köztársaság ai danni dei comunisti ungheresi il 30 ottobre (con 23 morti accertati). Ci tengo a precisare un’ultima cosa: Nagy (che a mio parere di “fascista” non ha avuto nulla) e i comitati ufficiali dei rivoltosi denunciarono gli episodi di “mob violence” fin dai primi segnali di violenza contro i membri del Partito dei Lavoratori Ungheresi.