Fermare la legge UE sul diritto d’autore: una censura per il web (e per noi)

Domani, 5 luglio, il parlamento europeo in seduta plenaria sarà chiamato a votare una direttiva in merito al diritto d’autore sul web. La direttiva, che ha ricevuto il voto favorevole della Commissione affari giuridici europea, sta dividendo il mondo politico poiché la norma, per come è stata scritta, si abbatterà come una scure sulla libertà d’informazione e sulla possibilità di condividere contenuti da parte degli utenti.

L’articolo 11, ovvero come fare cassa 

La direttiva consentirà a giornalisti ed editori di essere remunerati per il loro lavoro dalle piattaforme di condivisione e dagli aggregatori di notizie, quindi da Facebook, YouTube, ma anche Google e Microsoft (che offrono un servizio di news) fino a Wikipedia. Messa così non sembra una cattiva notizia: è ben giusto che chi produce contenuti culturali, artistici o informativi, venga pagato per quello che fa. Ma la direttiva è assai più subdola. L’articolo 11 prevede l’introduzione di una Linktax, ovvero l’obbligo a munirsi di una licenza preventiva rilasciata dal detentore dei diritti ogniqualvolta si voglia linkare una notizia o un contenuto da lui prodotto. In soldoni, qualora su questo giornale decidessimo, come spesso avviene, di citare una notizia, un commento o un’opinione pubblicati altrove, linkando alla fonte così da offrire al lettore la possibilità di verificare e approfondire, ebbene dovremmo avere un accordo scritto con l’editore o l’autore e, se richiesto, pagare per ottenere il permesso.

Risultato: i grandi gruppi editoriali ingrasserebbero con i soldi dei piccoli che, sempre più piccoli, scomparirebbero per l’impossibilità di pagare.

Certo, potremmo pubblicare articoli senza link, ma per tanto così torniamo alla stampa a caratteri mobili e mettiamo Gutenberg al tornio. Il senso stesso del world wide web andrebbe a farsi benedire. E chi gestisce siti online sa bene che la presenza di link consente una migliore indicizzazione sui motori di ricerca: un articolo senza link è un articolo invisibile. Invisibili rischiano di diventare la gran parte dei siti d’informazione dal basso, a grave detrimento del pluralismo e della democrazia.

Ma ai grandi editori e ai loro referenti politici non interessa un fico secco di tutto questo. A loro interessa fare cassa, succhiare fino all’ultimo euro, così da far fronte alla crisi economica che da almeno un decennio attanaglia l’editoria giornalistica. Il caso italiano, con la costituzione di un duopolio di fatto, è esemplare in tal senso. Una crisi dovuta all’incapacità di ripensare il giornalismo nell’era di internet e che ha portato alla chiusura di molte testate tradizionali. Ma far fronte a una crisi richiede coraggio, visione, progettualità. Gli editori non possiedono nulla di tutto ciò. Il paradosso è che una legge pensata per colpire le grandi piattaforme colpirà indistintamente i piccoli progetti di informazione e cultura che in questi anni sono nati e cresciuti in rete.

L’articolo 13, ovvero come censurare il web 

Ma non finisce qui. L’articolo 13 prevede l’applicazione di filtri automatici sui contenuti che blocchino quelli protetti dal diritto d’autore. In sostanza, se pubblico una citazione o linko a un contenuto senza averne l’autorizzazione, un algoritmo provvederà a censurare la mia notizia. La censura avverrà automaticamente, non per ordine di un giudice o di un tribunale ma su cieca iniziativa di una macchina. Non a caso personalità come Tim Berners-Lee, l’inventore del world wide web, e Jimmy Wales, cofondatore di Wikipedia, si sono opposti alla direttiva UE: “Invece di colpire le grandi piattaforme americane, che si possono permettere la spesa di tecnologie del genere, il peso dell’articolo 13 ricadrà soprattutto sui loro concorrenti, incluse le startup europee”, scrivono.

Insomma, a farne le spese non saranno i giganti del web. Saranno le piccole aziende, le realtà nate dal basso, i siti “artigianali”. Saranno anche gli utenti, nemmeno presi in considerazione dalla legge. Una legge pensata unicamente per difendere gli interessi di pochi, una legge sbagliata, frutto di compromessi al ribasso che hanno relegato la libertà d’informazione ad ancella dei conti correnti dei grandi editori.

Il colpo più duro lo riceverà però l’idea di condivisione che è alla base della rete. East Journal è sempre stata, e sempre sarà, in copyleft. Questa per noi è una fede, ma non si vive di pure idee e la direttiva europea – se votata – ci renderà la vita difficile. Per questo chiediamo ai nostri lettori di far sentire la propria voce nell’unico modo possibile – poiché andare a Bruxelles a protestare ha un costo – ovvero attraverso quella stessa rete che si vuole limitare.

 

 

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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Un commento

  1. Si, ma q.sa va fatta! La cultura se è gratis non vale nulla, come oggi, e gli ignoranti fanno festa sporcando tutto e tutti. Chi scrive gratis svaluta la cultura e basti pensare al numero enorme delle visualizzzioni necessarie a produrre un reddito che va dalla fame alla ricchezza smodata. E poi, e finisco, tutti dicono tutto e il contrario di tutto senza alcune responsabilità. Così è bello? Cordialmente, DA.–

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