a cura di Martina Napolitano e Oleksiy Bondarenko
L’ultimo rinnovo da parte dell’UE
I ministri degli Esteri dell’Unione Europea lo scorso 18 giugno hanno esteso le sanzioni alla Russia per un altro anno; resteranno in vigore fino al 23 giugno 2019. Il Consiglio ha sottolineato che l’UE “resta fermamente volta a difendere la sovranità dell’Ucraina e la sua integrità territoriale”. “A quattro anni dall’annessione illegale della Repubblica autonoma di Crimea e della città di Sebastopoli da parte della Federazione Russa, l’UE riafferma che non riconosce e continua a condannare tale violazione del diritto internazionale”, si legge nel comunicato.
Le misure interessano cittadini e aziende europee che non potranno intrattenere rapporti commerciali (turismo compreso) in Crimea e a Sebastopoli: si proibisce l’importazione di prodotti provenienti dalla penisola, gli investimenti e gli acquisti di immobili, servizi turistici (crociere comprese), l’esportazione di prodotti relativi a trasporti, telecomunicazioni e settore energetico ad aziende che hanno base in Crimea.
Genesi e cronologia delle sanzioni
All’indomani del referendum e della successiva annessione della Crimea (marzo 2014), l’Unione Europea, gli Stati Uniti, Canada, Australia, Norvegia, Giappone ed altri stati (anche storicamente “alleati” di Mosca, quali Montenegro o Moldavia) hanno risposto a tale violazione del diritto internazionale imponendo una serie di sanzioni alla Russia e alla penisola annessa. In questa sede East Journal si concentrerà principalmente sulle sanzioni implementate dall’Unione Europea e dall’Ucraina, tralasciando le altre introdotte dai singoli stati.
La decisione firmata dall’UE il 17 marzo 2014 era prettamente diplomatica: sanciva infatti che una lista di persone (21, poi ampliata) direttamente responsabili dell’annessione della penisola non avrebbero potuto entrare in territorio europeo, né intrattenere rapporti economico-finanziari. Si trattava comunque dell’implementazione maggiore di sanzioni verso la Russia mai attuata dal 1991.
Oltre ad ampliare la lista di persone nel mirino delle sanzioni, nel luglio 2014 il Consiglio dell’Unione Europea aggiunse una specifica restrizione commerciale: un embargo completo di commercio di armi e altro materiale militare verso la Russia, compresi investimenti e fondi destinati a fini militari. Una decisione derivata anche dalle manovre militari accesesi nel Donbass in quei mesi.
Entro la fine del 2014, l’UE provvide anche ad aggiungere una serie di limitazioni di natura più economica: bloccati alcuni investimenti e acquisti di immobili in Crimea, così come i servizi turistici, e interrotto il supporto alle esplorazioni energetiche russe nel Mar Nero.
Da allora le sanzioni sono state rinnovate dall’Unione Europea ogni sei mesi, nonostante i primi cori di dissenso da parte soprattutto di Grecia, Francia, Italia, Ungheria, sollevatisi già dal gennaio 2015.
Le controsanzioni
Senza farsi troppo attendere, nell’agosto del 2014, il Cremlino rispose alle sanzioni internazionali introducendo una serie di controsanzioni, pesantemente limitanti il commercio europeo e americano in Russia e Crimea: l’importazione di prodotti alimentari europei (e da tutti gli stati che avevano imposto sanzioni alla Russia) venne allora praticamente bloccata. Frutta, verdura, carne, pesce, latte e latticini figurano nella lista dell’embargo; il 10% delle esportazioni alimentari dell’Unione Europea dirette alla Russia venne con queste misure pesantemente colpito. All’embargo alimentare si aggiunse poco dopo anche quello sui prodotti dell’industria leggera, quale il tessile, l’abbigliamento, le calzature. Dal novembre 2016 anche il sale, compreso quello marino, è sotto restrizioni di importazione.
A queste sanzioni economiche si accompagnarono decisioni di natura più politico-diplomatica, come il divieto per alcuni leader europei di recarsi in Russia: la black list contava nel 2015 89 nomi di politici e rappresentanti europei.
La guerra commerciale con l’Ucraina
Con la prima ondata di sanzioni europee anche l’Ucraina da parte sua ha adottato misure restrittive contro personaggi e imprese russe nei vari settori, come quello militare e industriale. A partire dal 2015 la lista è stata costantemente ampliata da Kiev, tanto da includere, nell’ultimo round anche i principali partiti russi (quali Russia Unita e LDPR), la cui attività e attivi sul suolo ucraino saranno congelati. Più di 1700 persone fisiche e quasi 800 entità giuridiche sono ora soggetti a limitazioni sul suolo ucraino.
Dal punto di vista economico Kiev e Mosca continuano a portare avanti una lunga battaglia di sanzioni e controsanzioni. Ancora prima di EuroMaidan, infatti, la Russia aveva iniziato la guerra commerciale contro Kiev, nel tentativo di congelare i negoziati con l’UE sul famoso accordo di associazione. Ora, con l’annessione della Crimea e la guerra in Donbass, numerosi prodotti agricoli e alimentari ucraini rimangono banditi dal mercato russo, causando svariate difficoltà economiche a Kiev così come a Mosca.
La fragile ripresa, nonostante le sanzioni
In questo groviglio di sanzioni e controsanzioni non è solo difficile destreggiarsi, ma anche valutarne le reali conseguenze sia sull’economia russa che su quella dei singoli stati europei. Le sanzioni hanno, infatti, effetti diretti (che vanno a colpire i personaggi e i settori industriali inseriti nelle liste restrittive) e indiretti che minano la famosa fiducia dei mercati e, soprattutto, creano insicurezza nella pianificazione economica a medio termine. La Russia, nonostante la crisi economica, rappresenta ancora non solo un partner commerciale centrale (per non parlare del settore petrolifero), ma anche una delle più grandi economie d’Europa.
Non bisogna dimenticare, inoltre, che in concomitanza con l’introduzione di restrizioni in materia economica e finanziaria da parte dell’UE, una drastica deflazione dei prezzi del petrolio ha duramente colpito l’economia russa con conseguente svalutazione del rublo e importante impatto sui rapporti commerciali con il resto del continente. Anche se le sanzioni contro compagnie petrolifere russe hanno contribuito ad aumentare l’incertezza nel settore, le politiche energetiche delle petrol-monarchie del golfo, degli Stati Uniti e della Cina sono stati fattori ben più determinanti per il crollo, e la lenta risalita, dei prezzi del greggio.
Dopo la contrazione nel 2015 e 2016, infatti, il PIL russo è tornato a crescere insieme ad una lenta stabilizzazione dei prezzi del greggio. Si tratta di una crescita che non deve far credere che la crisi economico-finanziaria sia stata superata, ma che rappresenta un segnale positivo per il Cremlino, almeno nel breve termine. Come riporta il recente report della Banca Mondiale ad esempio, la stabilizzazione del settore bancario (nonostante le sanzioni) e una bilancia commerciale con l’estero di nuovo favorevole grazie all’innalzamento dei prezzi del greggio sono stati i principali fattori che hanno permesso una lenta ripresa economica e il mantenimento di un basso livello di disoccupazione. Sebbene l’economia sia ancora pesantemente dipendente dal greggio e altre risorse minerarie, un piccolo passo in avanti è stato fatto dal settore manifatturiero e da quello agricolo-alimentare che hanno registrato una crescita rivolta sia verso l’esterno (commercio) sia verso l’interno (consumo domestico). Effetto delle contro-sanzioni imposte dal Cremlino sui produttori europei? Difficile dirlo con certezza. Ma i segnali vanno in quella direzione.
Non tutti i segnali sono però positivi. Nonostante un marginale miglioramento delle condizioni di vita degli strati più poveri, i dati indicano un peggioramento significativo se paragonati a quelli del 2013. L’aumento dei prezzi, specialmente nel settore alimentare, causato dalla risposta asimmetrica alle sanzioni internazionali con il divieto di importare molti beni dall’UE, ha avuto ripercussioni negative sulla fascia più debole della popolazione. I prezzi per i beni di consumo sono cresciuti di oltre il 26% tra il 2013 e il 2015, ad esempio. Secondo la Banca Mondiale, oggi circa il 14% della popolazione (circa 20 milioni di persone) vive sotto la soglia di povertà.
Chi ci perde?
Il dibattito sul mantenimento delle sanzioni, però, non risiede solo nel loro effettivo impatto sull’economia russa e sulle strategie del Cremlino in politica estera. Piuttosto, quello che più spesso accende gli animi degli oppositori delle restrizioni economiche è il loro impatto sui produttori europei. Dati alla mano, infatti, l’export UE verso la Russia si è contratto del 20% annuo tra il 2013 e il 2016.
Questo però non spiega l’intero fenomeno. Prima di tutto bisogna sottolineare che si è trattato di un impatto asimmetrico sulle economie dei singoli stati europei con effetti redistributivi a livello continentale. Se alcuni paesi, come Germania, Italia e Finlandia, hanno sofferto di più la contrazione degli scambi commerciali con la Russia, altri hanno addirittura migliorato la loro posizione, soprattutto in alcuni specifici settori (Grecia, Svezia, Lussemburgo e Bulgaria). Inoltre, come dimostrano alcuni recenti studi, le sanzioni da sole non sono sufficienti a spiegare il declino degli scambi commerciali. Primo: già a cavallo tra 2013 e 2014 – prima delle sanzioni – l’interscambio tra Russia e UE aveva registrato un trend negativo (-6%). Una comune fluttuazione del mercato, che negli anni precedenti aveva registrato una crescita costante, sommato all’incertezza provocata della crisi ucraina e dalle vicende in Crimea e in Donbass, potrebbero aver giocato un ruolo importante. Secondo, e forse più interessante: se prendiamo i dati (pp.1067-68) relativi all’interscambio in termini di quantità (e non di valore), si può notare che il calo è di gran lunga meno consistente. In altre parole, più influente nella contrazione dell’export verso la Russia sembra essere stata la svalutazione del rublo in seguito al drastico crollo dei prezzi del greggio. A confermarlo indirettamente è anche un recente report Eurostat che riporta la fine del trend negativo nell’interscambio tra UE e Russia nel 2017.
Quest’impressione sembra essere confermata anche se si guarda nello specifico al caso italiano, che rimane una delle economie più colpite a livello europeo dal calo dell’interscambio con la Russia (insieme alla Germania). Come riporta il report di ITA (Italian Trade Agency), dopo una tendenza negativa che ha caratterizzato il triennio 2014-2016, l’export italiano è tornato a crescere nel 2017, in concomitanza con una ripresa dell’economia russa e la stabilizzazione del rublo.
Rimanendo sul caso italiano, inoltre, i dati mostrano che il comparto economico ad aver subire il maggior contraccolpo sembra proprio quello agroalimentare, colpito dalle contro-sanzioni russe in risposta alle sanzioni dell’UE.
Le sanzioni, una questione politica
Ma se l’impatto economico delle sanzioni sulla Russia sembra limitato (se non si tiene in considerazione il calo del prezzo del petrolio non causato dalle sanzioni), che effetto hanno queste misure sul piano politico? Rispondere a questa domanda rimane un compito difficile anche perché l’obiettivo finale delle sanzioni internazionali nel caso russo rimane piuttosto vago. Si tratta solo di un semplice strumento per innalzare i costi della spregiudicata politica estera del Cremlino? Oppure l’obiettivo è più ampio e mira a forzare la Russia a modificare la propria politica estera e mettere in difficoltà la legittimità interna e la stabilità stessa del regime? Il dibattito sulla loro utilità come strumento di politica estera rimane ampio e molto articolato, sia in generale sia nel caso specifico della Russia. Dopo quattro anni i risultati raggiunti sembrano piuttosto contradditori.
Sul piano interno le sanzioni internazionali sono state incapaci di dividere il gruppo di potere. Nonostante le numerose speculazioni, anche alla luce delle recenti elezioni presidenziali, non ci sono veri segnali di frizione tra l’amministrazione presidenziale e gli oligarchi finiti nelle liste di prescrizione. Cosi come non ci sono segnali di rafforzamento di una vera e propria ala riformista all’interno del regime, capace di mettere in discussione i principi di politica estera e di quella interna di Putin. Anche l’opposizione non sistemica è stata incapace, proprio per le caratteristiche strutturali del regime, di beneficiare indirettamente dei costi per il regime causate dalle sanzioni.
Il primo paradosso dell’utilizzo delle sanzioni in politica internazionale appare, infatti, proprio questo. Invece di indebolire il regime, in numerosi casi producono l’effetto opposto. Come dimostrano alcuni recenti studi in materia, l’equazione che vede la crescita del malcontento popolare a causa delle sanzioni economiche che dovrebbe produrre un cambio di rotta del regime, se non il cambio di regime stesso, è stata più volte smentita dalla pratica. Al contrario, in molti casi, come anche in quello russo, l’effetto è quello opposto. Sfruttando la retorica del nemico esterno che tramite le sanzioni vuole indebolire la Russia, infatti, il regime sembra essere stato capace di consolidare la sua posizione interna, almeno nel breve periodo. Il famoso “rally ‘round the flag effect” tanto caro agli studiosi di scienze politiche.
Le sanzioni mirate hanno avuto un impatto sui settori specifici, prima di tutto quello degli armamenti. Anche in questo caso però, il loro effetto è tutt’altro che lineare. Prima di tutto il peso delle sanzioni mirate è generalmente più facile da aggirare (tramite società intermediarie) e anche da scaricare su altri settori, con conseguenze negative per la popolazione e, paradossalmente, il rafforzamento del sostegno al regime vigente. Nel caso russo – e non solo – le sanzioni inflitte al settore bancario e energetico, inoltre, hanno rafforzato l’interventismo statale. Ad esempio, sfruttando i problemi finanziari di alcune grandi banche private, oggi il 70% del settore è sotto il controllo statale, quindi del regime.
Più in generale, nonostante la sua presunta flessibilità lo strumento delle sanzioni ha dimostrato negli anni di essere piuttosto rigido. Una volta introdotte è politicamente complesso toglierle, limitando così non solo il potenziale dialogo su singole questioni, ma innescando anche un gioco di sanzioni e controsanzioni con un impatto indiretto su settori che non sono il target delle restrizioni.
Le sanzioni non sono una strategia
Il dibattito sull’utilità delle sanzioni è tutt’altro che concluso. Se da una parte esse rappresentano una reazione asimmetrica quasi inevitabile alla palese violazione del diritto internazionale e all’interventismo russo, dall’altra sono anche una risposta piuttosto facile per le cancellerie europee, non sostenuta da obiettivi chiari e da una vera e propria strategia a lungo termine.
Dopo 4 anni dalla loro introduzione, non ci sono ancora procedure e strumenti per misurare il loro vero impatto, sia da un punto di vista politico che economico. Il loro principale target appare, così, più l’opinione pubblica domestica ed internazionale, che la Russia stessa. In un certo senso, le sanzioni risultano come un modo generalmente indolore (come dimostrano alcuni dati esposti in precedenza) per dimostrare di avere a cuore la situazione in Ucraina, senza però una chiara comprensione del loro impatto e senza una vera e propria revisione dei rapporti economici e politici con la Russia di Putin.
Il più grande paradosso risiede, probabilmente, proprio qui. Se da una parte un crescente numero di studi dimostra come le sanzioni economiche non siano uno strumento appropriato al raggiungimento di obiettivi politici – tutt’al più possono giocare un ruolo complementare ad un piano politico più articolato – dall’altra sembrano anche l’unico strumento a disposizione dei governi europei in mancanza di una visione chiara e comune in materia di politica estera. Una risposta adeguata alla Russia di Putin dovrebbe partire da una chiara definizione degli obiettivi, ancor prima dell’articolazione di una strategia comune. Ma considerando il vento che tira sul vecchio continente, sembra difficile che si possa andare veramente oltre uno strumentale prolungamento di sanzioni che, infondo, accontentano tutti, a Bruxelles come a Mosca.
Articolo molto chiaro ed esauriente, secondo me. Grazie!
Esperanto: Tre klara kaj elĉerpa artikolo, laŭ mi. Dankon!
Enrico