“Sconvolgimento demografico in Europa” titola Le Monde diplomatique di giugno. Nel 1900 in Europa risiedeva un abitante della terra su quattro, oggi uno su dieci, nel 2050 saremo a malapena il 7% del mondo. Un’Europa che non cresce demograficamente dal 1993, pur con velocità differenti. C’è infatti un’Europa del nord-ovest vitale sia come saldo naturale che come saldo migratorio. C’è poi un’Europa tedesca e meridionale in cui il saldo naturale insufficiente è compensato da quello migratorio. C’è infine l’Europa centrale ed orientale (Russia esclusa) in cui giocano gli effetti perversi di denatalità ed emigrazioni.
I Balcani sono l’epicentro di questa desertificazione demografica (ed umana in senso antropologico) europea che già negli anni settanta Pierre Chaunu aveva predetto chiamandola “peste blanche”. Della ex Jugoslavia da questa “peste” si salva per ora solo la Slovenia, anche se le ultime elezioni, com’è noto, hanno premiato gli anti-immigrati. Per il resto è un disastro condensabile in quel 20% (cioè un quinto della popolazione!) di abitanti perduto dalla Bosnia negli ultimi trent’anni.
E’ vero che già nella Jugoslavia socialista l’emigrazione era una realtà rilevante ed il gastarbajter era sinonimo di emigrato. Poi le guerre degli anni novanta, le pulizie etniche e lo sfacelo dell’economia hanno accelerato denatalità ed esodi (i due fenomeni sono notoriamente connessi). Anche in Croazia, eccetto la capitale e la zona costiera baciata dal turismo, la desertificazione demografica corre ed investe aree come la Slavonia in cui la presenza di piccole imprese austriache, italiane ed ungheresi non riesce comunque a trattenere i giovani. Dall’indipendenza del 1991 la Croazia ha perso 627 mila abitanti, cioè il 13% della popolazione dell’epoca. Va messo in conto anche l’esodo forzato di 200 mila serbi durante l’operazione “Tempesta” del 1995, per cui – se le tendenze denatalistiche e migratorie dovessero continuare – il paese potrebbe veder sparire un quarto della sua popolazione in un decennio. E lo stesso avviene dall’altra parte del confine, in quella Posavina bosniaca in cui i salari da 200 euro ed una flessibilità che rende del tutto teorici i diritti lavorativi risultano ben poco attrattivi nei confronti della domanda di lavoro delle imprese tedesche o scandinave.
I flussi migratori balcanici seguono rotte tortuose, in cui – specie per le professioni sanitarie, edili, alberghiere e dei servizi – bosniaci, macedoni e serbi vanno a lavorare in Croazia ed in Slovenia mentre croati e sloveni prendono la strada per la vicina Germania. Naturalmente l’emorragia dei giovani qualificati non solo mette in difficoltà le economie locali, ma affossa ulteriormente la natalità.
Solo nell’inverno 2014-2015 centomila persone – cioè il 7% del paese – hanno lasciato il Kosovo dirigendosi verso la Vojvodina serba da cui entrare poi illegalmente in Ungheria e da qui in Germania; addirittura il 7 settembre dello scorso anno le autorità kosovare bloccarono la stazione delle corriere di Pristina per “eccesso” di emigranti in fuga. Gli stessi movimenti migratori investono anche il nord depresso del Montenegro ed il sud-est povero della Serbia; da questa repubblica 160 mila persone se ne sono andate tra i censimenti del 2002 e del 2011.
Per ora le uniche politiche demografiche messe in cantiere da Croazia e Serbia per combattere spopolamento ed invecchiamento si limitano ad accorati e patetici inviti pro-life antiabortisti, mentre le delocalizzazioni industriali presenti (spesso all’insegna del dumping sociale) non appaiono in grado di correggere il disastro demografico dei Balcani. Un quarto di secolo dopo gli esodi violenti degli anni novanta, un’altro esodo – silenzioso e non cruento – sembra voler mantenere i Balcani in un perenne destino di Europa sempre marginale, di eterna “altra Europa”.
Buongiorno. Vorrei chiederle i riferimenti sui quali ha basato il suo articolo (testi, dati e quanto altro), poiche’ sono molto interessato ad approfondire l’argomento del consistente calo demografico delle popolazioni degli stati balcanici.
La ringrazio in anticipo della risposta
Paolo Rago
Quella dei balcani è la stessa identica storia dell’Italia del sud, storia contraffatta e quindi occultata dalla babele delle lingue costruite a bella posta dai monastici dal XIV secolo al XIX. Ma allora, a che pro le analisi sociologiche attestanti il fenomeno se, politicamente, non suscita interesse? Si ascolti Ettore Gotti Tedeschi su Youtube se si vuol capirne la gravità e individuarne le responsabilità! Proprio da un cattolico non me l’aspettavo e invece …