Nei mesi scorsi, il governo ungherese aveva sottoposto al parlamento un pacchetto legislativo che il partito di maggioranza Fidesz ha soprannominato “Stop Soros“. Il pacchetto contiene norme volte a limitare la capacità delle ONG di assistere i migranti, e proposte di modifica costituzionale che richiederanno un’approvazione dei due terzi della maggioranza parlamentare.
Stop Soros
Tra le misure più rilevanti, il pacchetto introduce il reato di promozione dell’immigrazione clandestina, punendo con un anno di carcere coloro che contribuiranno finanziariamente o guadagneranno dalla promozione del fenomeno, se le attività si svolgeranno entro otto chilometri dal confine. Il pacchetto prevede inoltre emendamenti costituzionali a partire dai primi articoli. Tra le modifiche ci sono l’introduzione del concetto “dell’identità che l’Ungheria ritiene propria”, e l’idea secondo la quale “nessuna popolazione straniera potrà stabilirsi in Ungheria”.
Il pacchetto di riforme era stato proposto al parlamento ungherese prima delle votazioni dell’8 aprile, ma gli impegni elettorali ne hanno rinviato la discussione. Questa nuova versione della legge ha messo da parte alcune disposizioni presenti nella precedente, quali la condivisione dei dati delle ONG con il governo e il versamento di una tassa del 25% su donazioni dall’estero. Tuttavia, la vaghezza della terminologia utilizzata pone problemi legali, per esempio la capacità dell’Ungheria di rispettare i trattati internazionali precedentemente sottoscritti, oppure l’applicabilità del reato di promozione dell’immigrazione. Dare coperte e cibo ai migranti verrà considerata azione passibile di reato? Come può un operatore di un ONG sapere in anticipo quali migranti siano rei di immigrazione clandestina e quali siano rifugiati a cui spetta assistenza e protezione internazionale?
Mossa politica
I dubbi legali non avrebbero motivo di esistere, qualora il governo ritirasse il pacchetto una volta raggiunti i propri obiettivi politici, ma il voto è previsto in questi giorni. Le misure proposte sono l’apice della guerra ideologica tra il premier Viktor Orbán e il suo autoproclamato nemico George Soros. Dopo la campagna di manifesti contro il miliardario filantropo, dopo la “Lex CEU”, che ha messo in discussione la permanenza dell’università ungaro-americana nel paese, questa normativa prende di mira L’Open Society Foundation, ultimo baluardo dell’attività di Soros nel paese.
Settimane fa, Figyelő, un giornale vicino al primo ministro ungherese, ha pubblicato un articolo intitolato “Lo speculatore del popolo”, a firma della storica Mária Schmidt. Nell’articolo sono elencati una serie di nomi, da giornalisti, ad attivisti, a professori, definiti “mercenari” di Soros. Una vera e propria lista di proscrizione che dà un volto all’esercito nemico nella battaglia per l’anima dell’Ungheria.
Dopo il sorprendente exploit elettorale di Viktor Orbán e Fidesz alle elezioni politiche dell’8 aprile, la vittoria del premier in questa guerra sembra scontata. A maggio, l’Open Society Foundation ha dichiarato che in virtù del clima repressivo, lascerà Budapest per trasferire i suoi uffici a Berlino, e la Central European University, sta ancora aspettando che il governo ungherese firmi l’accordo con lo stato di New York per la continuazione della sua attività in Ungheria.
Le reazioni
Il segretario di stato del governo Csaba Dömötör, ha dichiarato che: “Il governo ungherese darà la priorità agli interessi di sicurezza del paese”, ma se il fronte interno è compatto, dal Parlamento europeo giungono indiscrezioni sulla possibilità di espellere Fidesz dal Partito Popolare Europeo (PPE). Lo chiedono i socialisti e i democratici europei, e lo fa notare un membro del PPE, Adreas Nick: “Gli amici ungheresi hanno bisogno di capire che superare certe linee renderebbe la vita difficile a tutti”.
L’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati, UNHCR, ha chiesto al governo di ritirare la legge, perché: “Infiammerebbe ulteriormente il dibattito pubblico e favorirebbe l’aumento di atteggiamenti xenofobi”. Un’analoga richiesta è stata fatta dal commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa Dunja Mijatovic, dal Comitato di Helsinki ungherese, da Amnesty International e da Human Rights Watch. Il governo, per ora, è sordo alle loro richieste.
Rousseau contro Montesquieu
Il messaggio politico più interessante di questo pacchetto legislativo si cela nell’espressione “l’identità che l’Ungheria ritiene propria”. Qual è l’identità che l’Ungheria ritiene propria? Lo stiamo scoprendo in questi mesi, la volontà della maggioranza. Nulla può ostacolare le decisioni di quella che Rousseau definiva volontà generale, e la mancanza di un voto unanime dimostra che la minoranza non sta agendo secondo ragione. La fine della separazione dei poteri, per Montesquieu garanzia della libertà individuale, si sta rivelando nel rapporto esclusivo tra governo e popolo. La soppressione della società civile uccide la democrazia liberale. La nascita della democrazia totalitaria avviene al grido di viva il popolo.
Foto: REUTERS Bernadett Szabo