A più di un anno dalla Rivoluzione di Febbraio, che aveva posto fine all’Impero russo, il Caucaso viveva un momento di grande instabilità e fermento politico. In seguito alla caduta dello Zar, per consentire ai rappresentanti del nuovo Governo provvisorio di amministrare la regione, venne inizialmente istituito un Comitato Speciale Transcaucasico; rimpiazzato in seguito alla Rivoluzione d’Ottobre da un Commissariato, di fatto separato dalla Russia sovietica e formato dai social-democratici georgiani, dai socialisti rivoluzionai armeni e dai musavatisti azeri.
In seguito al ritiro della Russia dalla Prima guerra mondiale, i vertici del Commissariato, non sentendosi vincolati dall’accettare gli accordi di Brest-Litovsk, decisero di proclamare la piena indipendenza della regione, istituendo il 22 aprile 1918 la Repubblica Federativa Democratica Transcaucasica. La neonata entità, scossa da gravi divisioni interne e indebolita dalla guerra con gli ottomani, finì però per dissolversi a un solo mese dalla propria creazione, dando vita a tre nuove repubbliche indipendenti.
Georgia (1918-1921)
La prima repubblica a dichiarare la propria indipendenza fu la Georgia, il 26 maggio 1918. Il primo capo del Consiglio Nazionale georgiano, organo legislativo della repubblica, fu il social-democratico Noe Ramishvili, che guidò il paese nel suo primo mese d’indipendenza per poi essere sostituito dal collega Noe Jordania. Nel febbraio 1919 il Consiglio venne sostituito da una nuova Assemblea Costituente, i cui membri furono eletti in seguito alle prime e uniche elezioni della giovane repubblica, le quali confermarono al potere i social-democratici. Ispirandosi alla socialdemocrazia europea, i leader della prima repubblica georgiana riuscirono a combinare le idee del liberalismo con gli impulsi egualitari del socialismo, istituendo un sistema democratico e multi-partitico in netto contrasto con la “dittatura del proletariato” imposta nella vicina Russia sovietica, poiché, secondo il pensiero di Karl Kautsky, essi vedevano la rivoluzione come una conquista democratica del potere piuttosto che come la dittatura di una sola classe.
Fin dai primi mesi d’indipendenza la Georgia venne però scossa da una serie di conflitti che ne misero a rischio la stabilità: la guerra con gli ottomani fu risolta con il Trattato di Batumi del 4 luglio 1918, in seguito al quale la Georgia fu costretta a cedere le regioni di Artvin, di Ardahan, dell’Agiaria e parte del Samtskhe-Javakheti; territori che i turchi controlleranno fino all’Armistizio di Mudros del 30 ottobre. Il successivo ritiro degli ottomani dal Caucaso portò a un conflitto con l’Armenia per il possesso delle regioni di Lori e del Borchali, a cavallo tra i due paesi; mentre un secondo scontro si verificò nella regione di Sochi, questa volta tra georgiani, bolscevichi e l’Armata Bianca di Anton Denikin, che premeva da nord. Dal 1918 al 1920 in tutto il paese scoppiarono inoltre diverse ribellioni contadine, incoraggiate dai bolscevichi e supportate dalla Russia sovietica. Le più gravi si verificarono in Abkhazia e Ossezia del Sud, dove iniziarono a nascere i primi movimenti separatisti.
A partire dal 1920, in seguito alla definitiva sconfitta di Denikin e all’ingresso dell’Armata Rossa prima in Azerbaigian e poi in Armenia, la Georgia si ritrovò accerchiata dalla Russia sovietica. Con il controverso Trattato di Mosca del 7 maggio 1920 i sovietici riconobbero l’indipendenza georgiana, ma in cambio ottennero da Tbilisi la legalizzazione del partito bolscevico e la cacciata delle truppe straniere presenti sul proprio territorio, lasciando di fatto la Georgia senza protezioni. Gli incidenti ai confini però continuarono, così come aumentarono le rivolte bolsceviche, sempre incitate da Mosca. Nel febbraio 1921 ebbe il via l’invasione sovietica della Georgia. Il 25 febbraio, quattro giorni dopo l’approvazione della nuova Costituzione georgiana, la capitale Tbilisi venne presa dalle truppe sovietiche, che proclamarono la nascita della RSS Georgiana. Il resto del paese venne conquistato nelle settimane successive.
Armenia (1918-1920)
La dichiarazione d’indipendenza della Repubblica Democratica Armena arrivò due giorni dopo quella georgiana, il 28 maggio 1918; lo stesso giorno il Consiglio Nazionale armeno, basato a Tbilisi, inviò a Yerevan due delegati per prendere il potere. Il primo premier dell’Armenia indipendente fu Hovhannes Kajaznuni, mentre Aram Manukian, eroe della resistenza di Van, città dove tre anni prima, nel bel mezzo del genocidio armeno, fermò l’avanzata ottomana, venne nominato primo ministro degli Interni. Nel giugno 1919, in seguito alla dissoluzione del Consiglio Nazionale, si tennero le prime elezioni dell’Armenia indipendente, che decretarono l’affermazione della Federazione Rivoluzionaria Armena, la quale diede vita a una delle prime repubbliche socialiste della storia, insieme alla vicina Georgia. Uno dei primi grandi problemi che la neonata repubblica si ritrovò a dover affrontare fu la gestione degli oltre 300.000 rifugiati in fuga dal genocidio in atto nell’Impero ottomano, i quali generarono una grave emergenza umanitaria alla quale il governo rispose con fatica.
Come la Georgia, anche l’Armenia si ritrovò invischiata nella guerra con gli ottomani, che nel frattempo erano avanzati fino ad Alessandropoli. Con una serie di vittorie decisive, gli armeni fermarono l’avanzata dei turchi alle porte di Yerevan, ma furono tuttavia costretti ad accettare le pesanti perdite territoriali imposte dal Trattato di Batumi. Oltre al conflitto con la Georgia, l’Armenia si dovette confrontare militarmente anche con l’Azerbaigian, il quale rivendicava buona parte del suo territorio. Il Trattato di Sèvres tra l’Impero ottomano e gli Alleati (10 agosto 1920), portò all’Armenia consistenti acquisizioni territoriali, ma non fu mai ratificato a causa dello scoppio di un nuovo conflitto con i nazionalisti turchi. La Guerra turco-armena terminò con il Trattato di Alessandropoli del 3 dicembre 1920, con gli armeni costretti a rinunciare ai territori ricevuti a Sèvres.
La guerra con la Turchia espose una sempre più debole Armenia alle mire espansionistiche della Russia. L’invasione sovietica dell’Armenia iniziò nel novembre 1920, con gli armeni ancora impegnati sul fronte turco. Il 2 dicembre (il giorno precedente al Trattato di Alessandropoli) il governo armeno fu costretto a dimettersi, sostituito da un nuovo governo filo-sovietico. Nei giorni successivi l’Armata Rossa entrò nella capitale, ponendo fine all’indipendenza armena. Un estremo tentativo di resistenza si verificò nelle regioni meridionali del paese, dove Garegin Nzdeh istituì la Repubblica dell’Armenia montanara, che dall’aprile al luglio 1921 tentò di opporsi, senza fortuna, all’avanzata sovietica.
Azerbaigian (1918-1920)
Come l’Armenia, la Repubblica Democratica dell’Azerbaigian, per iniziativa dello stesso Consiglio Nazionale azero, anch’esso inizialmente basato a Tbilisi, dichiarò la propria indipendenza il 28 maggio 1918. Il termine “Azerbaigian”, che all’epoca si limitava a indicare l’omonima regione dell’Iran, fu scelto per motivi politici, in quanto gli azeri rifiutarono di identificarsi come “tatari del Caucaso”, definizione coloniale coniata dai russi. La prima capitale dell’Azerbaigian fu Ganja, essendo Baku all’epoca dell’indipendenza sotto il controllo di un governo a guida bolscevica (Comune di Baku). Il primo capo del governo fu invece Fatali Khan Khoyski, mentre il primo presidente Mammad Amin Rasulzadeh. Nel dicembre 1918 il Consiglio Nazionale venne sciolto, sostituito da una nuova Assemblea Nazionale. Il nuovo stato azero, guidato dal partito Müsavat, fu una delle prime repubbliche democratiche del mondo musulmano, nonché la prima in assoluto a garantire pari diritti politici a uomini e donne, adottando il suffragio universale.
Come i suoi vicini caucasici, anche l’Azerbaigian si trovò ad avere a che fare con una lunga serie di dispute territoriali. Mentre quelle con la Georgia (per le regioni di Balakan, Zaqatala e Qakh) e con la Repubblica delle Montagne del Caucaso settentrionale (per la regione di Derbent) non sfociarono mai in conflitti armati, le dispute con l’Armenia portarono a sanguinosi combattimenti nel Karabakh, nel Nakhichevan e nella regione di Syunik. Armeni e azeri si scontrarono anche a Baku, dove nell’agosto 1918 gli armeni di Dashnak, supportati dai britannici, cacciarono i bolscevichi della Comune, dando vita alla Dittatura Centrocaspiana. I tentativi da parte di azeri e turchi di riconquistare la città portarono alla Battaglia di Baku. Con la caduta della Dittatura Centrocaspiana, nel settembre 1918, Baku divenne la nuova capitale dell’Azerbaigian.
L’Azerbaigian fu la prima delle tre repubbliche transcaucasiche ad essere invasa dall’Armata Rossa. A causa delle sue grandi riserve energetiche, il paese era considerato dai sovietici di estrema importanza per l’economia russa, al punto da spingere lo stesso Lenin ad affermare che la Russia non sarebbe potuta sopravvivere senza il petrolio di Baku. L’invasione ebbe inizio nell’aprile 1920; il 30 aprile i sovietici entrarono nella capitale, incontrando una scarsa resistenza da parte dell’esercito azero, le cui unità principali erano ancora impegnate a contrastare la guerriglia armena nel Karabakh. Gli ultimi focolai di resistenza, concentrati a Ganja, roccaforte dei musavatisti, vennero spenti entro il mese di maggio.