ARMENIA: Nomina primo ministro, nulla di fatto: bocciato Pashinyan

L’Assemblea Nazionale armena, chiamata a scegliere il successore di Serzh Sargsyan, dopo che le grandi proteste delle ultime settimane avevano portato alle clamorose dimissioni dell’ex presidente, non è riuscita ad accordarsi sulla nomina di Nikol Pashinyan, uomo simbolo della “Rivoluzione di velluto”, come esso stesso l’ha definita, nonostante fosse l’unico candidato.

Il candidato del popolo

Pashinyan, il “candidato del popolo”, come lo chiamano i suoi sostenitori, è il leader delle proteste che dallo scorso 13 aprile hanno portato decine di migliaia di armeni a infiammare le strade di Yerevan per protestare contro la nomina di Sargsyan a primo ministro.

Serzh, dopo dieci anni alla presidenza del paese, aveva provato a reinventarsi alla guida del governo, non prima però di avere accentrato il potere su quest’ultima carica attraverso una serie di controversi emendamenti costituzionali.

Questo passaggio di poltrone ha scatenato l’indignazione del popolo armeno, a capo del quale si è posto proprio l’ex giornalista, leader dell’alleanza Yelk, o “Via d’uscita”, che ha chiesto ripetutamente “la resa piena e incondizionata” dell’ex presidente, riuscendo in maniera quasi insperata a ottenere le sue dimissioni, annunciate lo scorso 23 aprile.

Mancano i voti del Partito Repubblicano

Nominato ufficialmente dal proprio movimento, del quale è co-fondatore, per una manciata di voti Pashinyan non è riuscito a raggiungere la maggioranza necessaria a ottenere la nomina, ricevendo 45 voti a favore e 55 contrari (tre deputati erano assenti, due non hanno preso parte alla votazione).

Oltre ai voti del suo gruppo, l’alleanza Yelk, che conta 9 seggi nell’Assemblea Nazionale, negli ultimi giorni Pashinyan era riuscito a ottenere il sostegno del principale partito d’opposizione, la coalizione guidata da Gagik Tsarukyan, leader di Armenia Prospera, (31 seggi), e della Federazione Rivoluzionaria Armena (7 seggi), alleata del Partito Repubblicano nel corso dell’ultima legislatura, ma che la scorsa settimana aveva deciso di lasciare la maggioranza.

A Pashinyan mancavano però ancora 6 dei 53 voti necessari per ottenere la nomina, il che rendeva fondamentale il sostegno di almeno una parte dei deputati del Partito Repubblicano, che in quanto partito di maggioranza detiene ben 58 seggi in parlamento.

I repubblicani avevano evitato di presentare una propria candidatura “per non creare tensioni” (Pashinyan aveva minacciato, nel caso il Partito Repubblicano avesse provato a presentare un proprio candidato, di spingere i manifestanti a circondare il parlamento); sostenendo inoltre di non avere intenzione di ostacolare l’elezione del nuovo primo ministro, nel caso l’unico candidato in corsa avesse avuto l’appoggio o comunque il nulla osta di tutte le altre forze parlamentari.

Dopo avere ascoltato il programma del leader dell’opposizione, e in seguito a una lunga discussione durata 9 ore, il portavoce dei repubblicani Eduard Sharmazanov ha però dichiarato di “non vedere Pashinyan come primo ministro dell’Armenia”, bocciando di fatto la nomina del “candidato del popolo”.

E ora?

Pashinyan, che era pronto a celebrare “l’irreversibile vittoria”, ha accusato il partito di governo di “aver dichiarato guerra al popolo armeno”, minacciando di scatenare uno “tsunami politico” nel caso in cui il Partito Repubblicano continui a ostacolare la sua nomina. Nel frattempo, decine di migliaia di armeni si sono riversati in Piazza della Repubblica, cuore pulsante di Yerevan, per esprimere il loro supporto al leader dell’opposizione, il quale a sua volta ha esortato i manifestanti a portare avanti le proteste per impedire ai repubblicani di “rubare la vittoria del popolo”.

Secondo quanto previsto dalla Costituzione armena, se l’elezione del primo ministro fallisce al primo turno, un secondo turno dovrà tenersi a sette giorni dal primo voto. Al secondo giro, per poter essere nominato un candidato dovrà ottenere almeno un terzo dei voti (35). Se neanche in questo caso si dovesse riuscire a eleggere un primo ministro, la legge impone di sciogliere il parlamento, portando di conseguenza allo svolgimento di nuove elezioni.

Proprio quest’ultimo scenario, ovvero andare alle elezioni senza avere prima nominato un nuovo capo del governo (l’incarico è attualmente affidato ad interim a Karen Karapetyan, già primo ministro prima della nomina di Sargsyan) è ciò che Pashinyan vorrebbe evitare.

L’obiettivo del leader di Yelk è infatti porsi a capo di un nuovo governo provvisorio (dal quale escludere il Partito Repubblicano) al fine di riformare il sistema elettorale e rivedere gli emendamenti costituzionali approvati nel 2015. Solo allora intenderebbe convocare nuove elezioni.

Intanto, le proteste continuano. Per la giornata di mercoledì Pashinyan ha annunciato un grande sciopero generale, che ha bloccato oltre alle strade delle principali città armene anche ferrovie e aeroporti. Nonostante le resistenze dei repubblicani, l’opposizione è decisa nel perseguire la propria causa fino alla fine.

Foto: National Assembly of the Republic of Armenia

Chi è Emanuele Cassano

Ha studiato Scienze Internazionali, con specializzazione in Studi Europei. Per East Journal si occupa di Caucaso, regione a cui si dedica da anni e dove ha trascorso numerosi soggiorni di studio e ricerca. Dal 2016 collabora con la rivista Osservatorio Balcani e Caucaso.

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