SERBIA: Seselj, il criminale di guerra che calpesta le bandiere

Da BELGRADO – Lo scorso 11 aprile il leader dei radicali serbi Vojislav Seselj è stato condannato in appello per crimini di guerra a dieci anni di prigione dal Meccanismo per i Tribunali Penali Internazionali, istituzione che ha sostituito il tribunale speciale dell’Aja.

La condanna, che ha ribaltato il verdetto di assoluzione del 2016 e che non verrà scontata poiché Seselj ha già trascorso undici anni in carcere, riguarda i discorsi di incitamento all’odio compiuti dal leader radicale in Vojvodina nel 1992, che invitavano a espellere la popolazione croata della regione.

“Il discorso di Seselj incitò alla violenza e violò e compromise il diritto alla sicurezza della popolazione croata del villaggio di Hrtkovci, commettendo quindi il crimine di persecuzione […] ovvero un crimine contro l’umanità” ha detto il giudice Theodor Meron.

Quello che ha stupito, però, non è tanto la sentenza – arrivata in contumacia – che ha come sempre lasciato qualcuno insoddisfatto, a partire dalle associzioni delle vittime in Bosnia e Croazia, ma quel che è accaduto nelle settimane successive.
La condizione di criminale di guerra acquisita ora da Seselj, ha posto il quesito sulla sua legittimità a continuare a sedere nel parlamento di Belgrado in qualità di rappresentante del popolo.

Se da un lato la legge serba vieta che chiunque sia stato condannato ad almeno sei mesi di carcere possa rappresentare il popolo, dall’altro lato nulla è stato fatto nei confronti del leader radicale, a partire dal suo ex discepolo e attuale presidente della repubblica Aleksandar Vucic, che non si è pronunciato sulla questione.
La gestione della faccenda è rimasta quindi ad esclusiva gestione dei radicali stessi, che si ritagliano qualche mezzo punto percentuale nei consensi ad ogni episodio della telenovela Seselj vs tribunale dell’Aja. Ospite in una trasmissione televisiva ha dichiarato di non vergognarsi di aver fatto tutto quello che ha fatto in passato e che non si pente dei crimini che gli vengono attribuiti. Inoltre, in un’aula del parlamento, Seselj ha tuonato contro tutti, giornalisti inclusi: “spaccherò il muso a chiunque abbia il coraggio di definirmi criminale di guerra”.

Le reazioni non si sono fatte attendere. “Noi del Partito Democratico diciamo che Vojislav Seselj è un criminale di guerra condannato in via definitiva, quindi può iniziare a spaccare nasi, a partire da me” ha dichiarato in parlamento la deputata dei Democratici Aleksandra Jerkov. Ne è seguita una serie di minacce e attacchi contro la deputata, che è stata accerchiata sia da deputati radicali che da alcuni deputati del partito progressista, come ha denunciato la stessa Jerkov.

“I radicali – continua la Jerkov – sono coraggiosi solo quando sono in branco”. Dal canto loro, il partito di Seselj ha emesso un comunicato in cui sostenie che si trattasse solo di insulti verbali e di non aver aggredito la donna, in quanto “i radicali non picchiano le donne”.

All’indomani della sentenza di condanna, l’episodio lascia ulteriori perplessità sulla legittimità della presenza di Seselj in parlamento. Ma soprattutto, ricorda, in scala minore, la stessa dinamica dei discorsi d’odio per cui è stato condannato: un palco da cui incita o minaccia e una conseguente violenza – sia esso un atto di espulsione o un attacco verbale.

Ma non è finita qui. A pochi giorni da questo triste episodio, ne è seguito un altro, che ha per protagonista una bandiera croata, un grande classico del repertorio di Seselj. Mercoledì scorso, una delegazione di parlamentari di Zagabria si era recata a Belgrado per una visita istituzionale di due giorni, ma è durata solo poche ore.

A quanto riportano i testimoni, Vojislav Seselj si sarebbe scagliato contro la bandiera croata apositamente allestita per l’occasione, staccandola dall’asta di supporto e calpestandola; succesivamente, si è introdotto nell’aula in cui si svolgeva l’incontro con la delegaziona croata, a cui ha rivolto volgarità e insulti a carattere nazionale, apostrofando come “ustaša” (fascisti croati) i presenti. Immediata la decisione dela delegazione di interrompere la visita e far immediatamente ritorno a Zagabria.

Questa volta, le scuse e le dichiarazioni di condanna si sono fatte sentire da tutte le istituzioni, compresi il presidente della repubblica e la primo ministro Ana Brnabic. Quest’ultima ha tuttavia aggiunto che oltre a condannare l’accaduto non sa come punire Seselj.

Di punizioni a Seselj non ne mancano. Quel che manca è che vengano rese effettive. Nell’attesa che arrivino, in Serbia si è rivissuto un classico dei revival nazionalisti degli anni ’90, ricco di tutti gli elementi: sentenze internazionali, minacce di spaccare musi, sessismo, bandiere calpestate e croati che vengono cacciati.

Tuttavia, Seselj e i suoi radicali sono una fenomeno politico insignificante e nella speranza che qualcuno si accorga di loro, rispolverano il vecchio repertorio da formazione intransigente. In altre parole, entrambi tirano a campare: il primo per un tumore che nel 2014 gli permise di lasciare il carcere dell’Aja ma che non sembra impedirgli di svolgere le sue normali attività di estremista nazionalista; il secondo per via degli scadenti risultati politici, non da ultimo le elezioni di Belgrado dello scorso 4 marzo, con un misero 2% delle preferenze.

 

Foto: Darko Vojinovic (AP)

Chi è Giorgio Fruscione

Giorgio Fruscione è Research Fellow e publications editor presso ISPI. Ha collaborato con EastWest, Balkan Insight, Il Venerdì di Repubblica, Domani, il Tascabile occupandosi di Balcani, dove ha vissuto per anni lavorando come giornalista freelance. È tra gli autori di “Capire i Balcani occidentali” (Bottega Errante Editore, 2021) e ha firmato due studi, “Pandemic in the Balkans” e “The Balkans. Old, new instabilities”, pubblicati per ISPI. È presidente dell’Associazione Most-East Journal.

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Un commento

  1. Probabilmente Seslj conosce molti scheletri nell’armadio dell’attuale classe politica serba, altrimenti l’avrebbero già spedito a casa.

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