L’ondata di proteste che ha paralizzato l’Armenia per undici giorni si è conclusa con una festa per le strade di Erevan, in quello che è già un giorno storico nella breve storia dell’Armenia indipendente contemporanea. A sei giorni dalla sua elezione, Serszh Sarksyan si è dimesso dalla carica di primo ministro, un risultato che a molti sembrava insperato fino a poche ore prima.
Le celebrazioni di lunedì sono state precedute da un weekend in cui si è temuto che le proteste potessero essere represse violentemente. In particolare, la scorsa domenica, il governo ha provato a usare la mano pesante per riprendere il controllo della situazione. Nel corso della giornata, sono stati arrestati il leader della rivolta Nikol Pashinyan, con i compagni di partito Sasun Mikaelyan e Ararat Mirzoyan. Nel frattempo, la cifra degli arrestati aveva superato le 200 persone.
L’uso della forza ha seguito un timido tentativo di mediazione racchiuso in due momenti chiave: un breve dialogo tra il presidente Armen Sargsyan e Pashinyan nel mezzo della manifestazione di Piazza della Repubblica di sabato sera e, la mattina dopo, uno scambio di battute, diventato iconico, tra il leader della rivolta e Serszh Sarksyan.
Pashinyan, con la pelle bruciata dal sole, indossando la maglietta mimetica ormai prerogativa del personaggio e con la mano fasciata per una ferita procuratagli dalla polizia, ha aperto il colloquio spiegando di essere venuto a discutere i termini delle dimissioni del premier e l’inizio di una transizione di potere pacifica. A questo, Sarksyan ha replicato dichiarando che l’opposizione non aveva imparato niente dai fatti dell’1 marzo. Il riferimento era allo spettro del 2008, quando le proteste contro i brogli che avevano caratterizzato la prima elezione di Sarksyan a presidente erano state fermate nel sangue dopo una decina di giorni.
Il leader dell’opposizione ha, allora, chiuso l’incontro, spiegando che la situazione nel paese non era più quella di 15-20 giorni prima e che il potere era passato nelle mani del popolo. Queste parole si sono dimostrate profetiche: infatti, a dispetto dell’arresto di Pashinyan e dell’ingiunzione della polizia di sciogliere le manifestazioni, una folla di circa 100mila persone si è radunata nella Piazza della Repubblica la domenica sera.
Il lunedì i fatti si sono susseguiti rapidamente: le proteste, con in testa gli studenti di tutte le università del paese, sono continuate a Erevan e in altre città dell’Armenia; poco dopo, è uscita la notizia che alcuni militari si erano uniti alla rivolta, seguita da quella della liberazione di Pashinyan. La folla in strada era, quindi, già in festa quando le truppe schierate da giorni in strada si sono ritirate e Sargsyan ha annunciato le sue dimissioni.
Cosa succede adesso
Ieri sera Karen Karapetyan, in quanto vice primo ministro, è stato nominato premier ad interim per una settimana. Il nuovo capo del governo, che aveva coperto la stessa carica dal 2016 fino allo scorso 9 aprile, ha spiegato che l’esecutivo continuerà a sbrigare gli affari correnti. Ha anche annunciato il rilascio di tutte le persone arrestate negli ultimi giorni e si è appellato al senso di unità nazionale in vista dell’annuale commemorazione del genocidio armeno di oggi.
Restano i dubbi su quello che succederà nelle prossime settimane. Sicuramente l’1 maggio ci sarà una sessione dell’Assemblea nazionale –il parlamento armeno– con l’incarico di formare un governo provvisorio. Tuttavia, la forza politica uscita vincitrice dalle piazze, la coalizione Elk di cui fa parte il partito di Pashinyan, controlla solo nove dei 105 seggi parlamentari. Con ogni probabilità saranno, quindi, necessarie nuove elezioni e, al contempo, è improbabile che rimarrà intoccata la costituzione del 2015 che ha accentrato fortemente il potere nella figura del primo ministro.
Il nuovo governo dovrà risolvere i problemi cronici che affliggono l’Armenia: la corruzione, l’alto tasso di emigrazione e la delicata posizione internazionale.
Questi giorni di proteste, che lo stesso Pashinyan ha descritto come una “rivoluzione di velluto“, infondono, però, speranze sul futuro del paese. Rimangono le bellissime immagini delle persone, molti giovani, sorridenti e in festa per le strade del paese. Ha colpito anche la forza e l’organizzazione dei movimenti studenteschi che il giornalista Arsen Kharatyan ha descritto a EastJournal come “un elemento della società che non dimostrava questo livello di influenza nella vita del paese dai giorni dell’indipendenza”.
La popolazione ha rigettato l’idea di una persona alla guida del paese per tre mandati consecutivi e, secondo Kharatyan “dimostra interesse nel difendere i propri diritti civili e politici contro l’emergere di un Armenbashi” – una figura dittatoriale sulla falsariga di Turkmenbashi, l’ex presidente del Turkmenistan, nda– . In altre parole, chiunque governerà in futuro il paese, dovrà tenere in conto gli eventi di questi giorni storici.
–
Immagine: Jamnews