Il gioco di prestigio politico iniziato quattro anni fa si è concluso ieri con successo. Il parlamento armeno, l’Assemblea Nazionale, ha nominato l’ex presidente Serzh Sargsyan – unico candidato – primo ministro con 76 voti favorevoli e 17 contrari.
Sargsyan, alla guida del paese dal 2008 nelle vesti di presidente, una volta raggiunto il limite costituzionale del secondo mandato ha usato uno stratagemma caro ai leader dell’area post-sovietica: modificare la costituzione per conservare il potere.
La scelta è stata quella di trasformare l’Armenia in una repubblica parlamentare, con il primo ministro che ha ereditato i poteri che erano prerogativa del presidente (carica divenuta poco più che simbolica). Una volta approvata la nuova costituzione con un controverso referendum a fine 2015, è bastato aspettare la fine del secondo mandato di Sargsyan lo scorso 9 aprile, per osservare come tutto sia cambiato affinché nulla cambiasse.
Lo scorso 2 marzo si sono tenute le prime elezioni presidenziali indirette nella storia del paese caucasico, vinte dal candidato indipendente Armen Sargsyan (omonimo, ma non parente del suo predecessore), nominato dal Partito Repubblicano e dalla Federazione Rivoluzionaria Armena, che insieme formano la coalizione di governo. Per Serzh si sono quindi aperte le porte della carica di primo ministro, ottenuta nel voto di ieri.
L’opposizione insorge
La manovra politica non è stata accettata passivamente dall’opinione pubblica, come forse sperava il Partito Repubblicano. Migliaia di persone si sono fatte sentire con delle proteste di massa che dal 13 aprile bloccano le strade di Yerevan.
Alla loro guida, il leader del movimento di opposizione Accordo Civile, Nikol Pashinyan che ha indetto una “rivoluzione di velluto” per impedire a Sargsyan di diventare primo ministro ed evitare di creare un precedente nella storia armena, ovvero che “una persona diventi il leader del paese per la terza volta”.
I manifestanti hanno occupato l’università e la sede della radio pubblica il 14 aprile. Il 16, hanno provato a sfondare il cordone di polizia sul viale del Maresciallo Bagramian, per aprirsi la via verso l’edificio dell’Assemblea Nazionale.
Negli scontri che sono seguiti, le forze dell’ordine hanno usato manganelli e gas lagrimogeni. Secondo Radio Free Europe, sono rimaste ferite almeno 46 persone, tra le quali lo stesso Pashinyan e sei agenti, mentre gli arresti sono stati 29.
I manifestanti si sono dati appuntamento a migliaia ieri sera sulla Piazza della Repubblica, per continuare a protestare contro l’elezione del nuovo primo ministro, mentre Sargsyan, nel suo discorso di insediamento, dichiarava che “solo la maggioranza parlamentare ha diritto a parlare a nome del popolo”.
Un malcontento crescente
È difficile predire quelli che saranno i risultati di queste proteste. Sicuramente esse sono il risultato di un malcontento mai sopito per le pessime condizioni economiche dell’Armenia che spiegano il forte tasso di emigrazione verso l’estero e la crisi demografica in cui è entrato il paese da diversi anni. Anche la corruzione e i brogli elettorali sono, storicamente, nel mirino dell’opinione pubblica. Ad aggravare questo quadro fosco per la leadership armena, è stato, infine, il risultato del conflitto in Karabakh nell‘aprile del 2016. Le perdite territoriali seguite a un’offensiva azera sono state considerate come una conseguenza della cattiva gestione dell’esercito, i cui costi di mantenimento sono sempre stati presentati dal governo come un sacrificio necessario per la sicurezza nazionale.
A differenza del 2015, quando un rincaro delle bollette elettriche aveva fatto scendere in piazza migliaia di persone nella protesta diventata nota come Electric Erevan, questa volta la figura stessa di Serzh Sargsyan a fomentare la rabbia popolare. Non risulta che i manifestanti rappresentino un gruppo sociale omogeneo, ma piuttosto che siano un gruppo di persone diverse accomunate da un’insoddisfazione per la situazione politica ed economica dell’Armenia.
Se uscirà politicamente indenne da questi giorni di fuoco, il nuovo primo ministro dovrà provare a risolvere almeno una parte dei problemi del paese, visto che la sua gestione “alla russa” del potere risulta difficilmente digeribile all’opinione pubblica.
–
Immagine: Radio Azatutyun
… e allora, se non è capace, che la situazione la gestiscano i Russi direttamente! E’ il mio auspicio e quello di molti che non amano le frittate democratiche. Cordialità.-