La Storia con la “S” maiuscola spesso aleggia come un cielo nero e nuvoloso sul capo degli uomini, che sulla terra continuano a svolgere le loro attività, fino a quando l’inizio del temporale non li costringe a prendere atto delle mutate condizioni. Tra il luglio del 1940 e il giugno del 1941 il cielo della Bessarabia non dev’esser stato particolarmente sereno: dopo ventidue anni all’interno dei confini romeni, la regione era tornata all’interno di uno stato russo, non più zarista ma sovietico. Circa 9.000 persone, soprattutto funzionari e membri a vario titolo dell’amministrazione statale, fuggirono oltre il Prut, temendo ritorsioni dai sovietici. I contadini, che poco avevano sopportato l’amministrazione romena, con ogni probabilità non si strapparono le vesti dinnanzi all’arrivo dei russi.
La seconda guerra mondiale
La tempesta vera, tuttavia, scoppiò nel luglio 1941. La Romania guidata dal generale Ion Antonescu entrò in guerra a fianco della Germania nazista con l’obiettivo preciso di reintegrare la Bessarabia all’interno dei suoi confini. Quando la Wehrmacht iniziò la sua avanzata verso il cuore dell’URSS, Hitler concesse al suo alleato romeno di annettere nuovamente la regione, dalla quale i sovietici erano preventivamente fuggiti. Il ritorno dei romeni aprì un nuovo doloroso capitolo nella storia degli ebrei basarabeni. All’inizio del secolo Chisinau, ancora ufficialmente Kisinev, parte dell’impero zarista, era stata teatro di due drammatici progrom, che avevano gettato una luce sinistra sulle condizioni degli ebrei russi. I romeni, il cui tradizionale antisemitismo era stato ulteriormente sobillato dall’alleato tedesco, non si comportarono meglio. Tra il 1941 e il 1943 tutti gli ebrei della Bessarabia e della Bucovina vennero deportati in Transnistria, al fine di “depurare” una regione tradizionalmente romena dalla presenza giudaica. I contadini basarabeni mal tollerarono la brutalità delle truppe romeno-tedesche; essi erano immuni ai messaggi nazionalisti, e non sopportavano l’idea di andare a morire in Russia per ordine di Bucarest e del suo alleato tedesco. Molti scapparono, disertarono e si diedero alla macchia. Il numero dei contadini arrestati per diserzione fu notevolmente superiore alle aspettative degli alti comandi dell’esercito romeno.
Dopo Stalingrado, l’Armata Rossa avanzò verso ovest ricacciando indietro i tedeschi e i loro alleati romeni: nell’agosto 1944 la Bessarabia era nuovamente sotto controllo sovietico. Venne posta per sempre la parola fine al controllo della Romania sulla regione. Il trattato di pace siglato nel febbraio 1947 poneva nuovamente il confine romeno-sovietico sul fiume Prut, e sanciva la nascita della Repubblica Socialista Sovietica Moldava, che inglobava tutta la Bessarabia romena e parte della vecchia repubblica autonoma sovietica interbellica.
La Moldavia sovietica
Per una regione agricola come la Moldavia, la guerra fu una doppia catastrofe: oltre le perdite umane, la popolazione dovette sopportare la distruzione dei campi, il massacro degli animali, la perdita dei raccolti. La collettivizzazione delle terre intrapresa dai sovietici, con la simultanea eliminazione fisica dei contadini benestanti, diede il colpo di grazia al tessuto produttivo di una terra già tradizionalmente povera. La destalinizzazione portò ad un timido miglioramento delle condizioni economiche e a una minore pressione politica. Dagli anni ’50 in poi, come giustamente sottolinea Charles King, autore del più importante studio sulla storia della regione, la Moldavia divenne un’anonima e dimenticata periferia dell’impero sovietico, particolarmente ambita per le vacanze della nomenclatura. I grigi burocrati sovietici infatti amavano venirvi in vacanza, spinti dal clima mite, da una popolazione locale simpatica e accogliente e, soprattutto, da uno dei migliori vini di tutta l’Unione Sovietica. Nel 1970 dalla Moldavia proveniva l’8,2 % di tutto il vino prodotto nell’URSS. Ancora oggi la Republica Moldova è famosa per la sua produzione vinicola, esportata soprattutto nel mercato russo ed ex sovietico.
Il passare degli anni non modificò la coscienza nazionale dei moldavi. Sebbene dalla Romania, specialmente dagli anni ’70 in poi, con il rafforzarsi del regime nazional-comunista di Ceausescu, venissero lanciate delle esche sia a Chisinau che a Mosca per riportare in auge la questione, nessuno abboccò. I contadini moldavi continuavano a portare avanti la loro vita campestre preoccupandosi esclusivamente delle loro problematiche quotidiane. A Chisinau nessuno osò mai parlare di una possibile unione alla Romania. La paura nei confronti dei sovietici giocò un ruolo marginale; il tema, in realtà, non riscaldava il cuore dei moldavi. Il tema nazionale, tuttavia, non era morto, e tornerà prepotentemente in auge dalla seconda metà degli anni ’80, con strascichi drammatici.