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KOSOVO: Arrestato membro serbo del governo, e Vucic cita Milosevic

Una nuova puntata dei turbolenti rapporti tra il Kosovo e la Serbia è andata in scena lo scorso 26 marzo. Il direttore dell’Ufficio per il Kosovo del governo serbo, Marko Đurić, è entrato in territorio kosovaro illegalmente ed è stato arrestato dalla polizia nel pieno di una conferenza a Mitrovica. Đurić è stato poi trasferito a Pristina e, infine, riportato in Serbia. All’episodio ha fatto seguito l’inevitabile scambio di accuse tra i due governi.

Il premier serbo Aleksandar Vučić, giocando a fare Milosevic, ha dichiarato ai serbi del Kosovo che “nessuno vi attaccherà“. Nelle sue parole l’eco di quelle di Milosevic quando, in Kosovo, diede fuoco alle polveri del conflitto jugoslavo (“Niko ne sme da vas napadne”, ha detto Vučić; “Niko ne sme da vas bije”, disse Milošević).

I fatti

Đurić era atteso nel lato nord di Mitrovica, abitato in maggioranza da serbi, per partecipare ad una conferenza sul futuro del Kosovo. Insieme a lui era atteso anche il ministro della Difesa Aleksandar Vulin. Secondo le procedure, i rappresentanti delle istituzioni serbe hanno bisogno di un permesso delle autorità kosovare per entrare nel paese. Più volte Đurić, ma anche lo stesso presidente della repubblica Aleksandar Vučić e alcuni ministri, sono entrati in Kosovo a seguito di questa procedura. Questa volta, però, il permesso non è arrivato: la causa, secondo le autorità kosovare, è da ritrovare in recenti dichiarazioni di Đurić, considerate da Pristina come nazionaliste.

Nonostante ciò, per tutta la giornata sono circolate numerose voci sulla possibilità che la delegazione serba entrasse comunque in Kosovo. Voci a cui il ministro degli Esteri kosovaro Behgjet Pacolli ha risposto promettendo l’arresto per chiunque fosse entrato nel paese in modo illegale. A conferma delle voci, nel primo pomeriggio Đurić è arrivato a Mitrovica, raggiungendo il luogo della conferenza. Poco dopo l’inizio dei lavori, però, le forze speciali kosovare sono entrate in azione, facendo irruzione nella sala e portando via il funzionario serbo. L’arresto è stato accompagnato da momenti di tensione con un gruppo di serbi locali, culminati in un lancio di lacrimogeni e alcuni scontri. Dall’ospedale di Mitrovica informano che ci sarebbero 32 feriti (di cui 5 gravi), tra cui l’assistente di Đurić e un giornalista di RTS, emittente tv nazionale.
Alla fine, Đurić è stato portato presso la centrale di polizia di Pristina, non senza un plateale passaggio davanti le telecamere. La permanenza in centrale è durata pochi minuti, dato che ben presto è stato accompagnato al confine, ed espulso in Serbia.

Le reazioni

Le istituzioni kosovare si sono schierate in blocco a difesa dell’operato della polizia. Come dichiarato dal ministro Pacolli e dal presidente della repubblica Hashim Thaçi, quella di Đurić è stata una palese provocazione, dato che il divieto e il conseguente rischio di arresto erano ben noti. Molto dura è stata la reazione della Serbia: Vučić ha difatti convocato il Consiglio di sicurezza nazionale, al termine del quale ha rilasciato dichiarazioni particolarmente forti. Alcune parti del suo intervento, dalla definizione degli albanesi come “terroristi” alla promessa di difesa dei serbi del Kosovo, hanno ricordato una retorica legata agli anni di guerra. Secondo alcune fonti, non confermate, Vučić avrebbe avuto anche un colloquio telefonico con il presidente russo Vladimir Putin.
Nel frattempo, la Srpska Lista, partito serbo che è andato a formare la coalizione con il governo Haradinaj, ha fatto sapere di voler ritirare l’appoggio all’esecutivo di Pristina.

L’analisi

I fatti del 26 marzo hanno ricordato altri episodi del recente passato, dalla costruzione del muro durante i lavori per l’apertura del ponte di Mitrovica a fine 2016, alla questione del treno con scritte nazionaliste partito da Belgrado e diretto in Kosovo del gennaio 2017, fino al fermo in Francia nella scorsa primavera dell’attuale premier kosovaro Ramush Haradinaj a causa del mandato d’arresto rilasciato dalla Serbia. Come in quelle occasioni, ai fatti sono seguiti momenti di violenza verbale tra Pristina e Belgrado, che hanno portato alla momentanea interruzione del dialogo sponsorizzato dall’Unione europea. Probabilmente, anche nei prossimi giorni è da prevedere lo stesso copione.

Come nelle altre occasioni, la provocazione iniziale ricade nelle scelte di Vučić: nonostante la chiara minaccia che Đurić sarebbe stato arrestato, il funzionario del governo serbo ha comunque varcato il confine. Senza negare l’eccessiva platealità e violenza dell’operazione della polizia, di fatto le autorità kosovare hanno agito in linea con le procedure concordate. La sensazione è che la scelta di mandare comunque Đurić in Kosovo sia stata funzionale da un lato a riaccendere la retorica della protezione dei serbi del Kosovo da parte del governo serbo, dall’altro a guadagnare ulteriore tempo nel dialogo con Pristina, allontanando il momento delle scelte, che inevitabilmente costeranno alla Serbia delle ulteriori concessioni.

Dall’altro lato, queste provocazioni risultano utili anche a Pristina. Con l’arresto di Đurić, avvenuto ad uso e consumo delle telecamere, il governo kosovaro ha potuto mostrare ai suoi cittadini l’esistenza di uno stato che fa rispettare le regole, senza piegarsi alle forzature di Belgrado. Nel contempo, Pristina ha ora una perfetta scusa per non mettere in atto una parte importante dell’accordo di Bruxelles, la nascita dell’Associazione delle municipalità a maggioranza serba, un organo che dovrebbe garantire maggiori autonomie alla comunità serba che vive in Kosovo.

Questo gioco delle parti, però, oltre a distrarre ulteriormente l’opinione pubblica da problemi urgenti che i due governi non seguitano ad affrontare, non è esente da rischi. Non bisogna mai dimenticare che da una semplice provocazione, per quanto ben orchestrata, si rischia di infiammare gli animi e di far degenerare la situazione, soprattutto alla luce di una popolazione (da entrambe le parti) facilmente manipolabile sulla tematica nazionale. Un rischio troppo grande, che andrebbe evitato ad ogni costo.

Chi è Riccardo Celeghini

Laureato in Relazioni Internazionali presso la facoltà di Scienze Politiche dell'Università Roma Tre, con una tesi sui conflitti etnici e i processi di democratizzazione nei Balcani occidentali. Ha avuto esperienze lavorative in Albania, in Croazia e in Kosovo, dove attualmente vive e lavora. E' nato nel 1989 a Roma. Parla inglese, serbo-croato e albanese.

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6 commenti

  1. Non solo provocazioni, ma ragioni realistiche causate da convivenza forzata. I diritti umani sono l’invenzione letteraria che giustifica l’occupazione nomadica di territori altrui. Dov’è questo kosovo?

  2. Riccardo Marin

    “Vucic ha ribadito con forza che Marko Djuric non è entrato irregolarmente in Kosovo visto che aveva comunicato la sua visita 75 ore prima, molto più delle 24 ore che stabiliscono gli accordi del 2016. “
    Un serbo dopo aver seguito correttamente le procedure legali per entrare nella serba Mitrovica nord, viene arrestato.
    Ma quale provocazione??

    • Appunto! Non sono provocazioni. (Ho scritto “solo” per “sono” e le chiedo scusa.)

      • Riccardo Marin

        Ma vai tranquillo il mio commento era riferito al post non al tuo commento 😄

  3. Vorrei commentare anche l’articolo

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    Riccardo Celeghini 17 gennaio 2018

    Sovranità del kosovo? Andiamo bene! Quando finiranno le sovranità(?)… comincerà l’Europa.

  4. Come sempre la vostra analisi è unilaterale in modo sconcertante. L’associazione delle municipalità a maggioranza serba era dal 2013 che si doveva attuare ed è stata sempre impedita dall’ostracismo di Pristina. La regolamentazione per l’ingresso delle autorità serbe in Kosovo è inoltre ambigua. Belgrado aveva dato comunicazione per tempo come da accordo. La reazione kosovara è stata selvaggia e assolutamente provocatoria, altro che. Irresponsabile e fatta apposta per esacerbare gli animi e umiliare i serbi. Che fate ricominciate con l’informazione a doppio standard guerrafondaia propria della NATO?

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