Dopo due anni e mezzo di accese discussioni, eterni rinvii e giravolte politiche, il parlamento di Pristina ha finalmente ratificato l’accordo di demarcazione del confine con il Montenegro. Al termine di una sessione fiume, nella serata dello scorso 21 marzo 80 deputati su 120 hanno votato a favore dell’accordo firmato nel 2015 dai governi dei due paesi, raggiungendo dunque la quota dei 2/3 necessaria all’approvazione. La seduta si è svolta in un clima di tensione, culminato nel lancio di fumogeni in aula da parte dei deputati di una parte dell’opposizione, che per ben quattro volte hanno interrotto i lavori. Il voto finale, però, porta ad un risultato estremamente importante per il Kosovo: la ratifica dell’accordo sul confine con il Montenegro era difatti il penultimo requisito richiesto a Pristina dall’Unione europea per ottenere la liberalizzazione dei visti. Questo obiettivo, fortemente sentito da tutti i kosovari, è da oggi più vicino.
La dura opposizione
L’accordo per il confine siglato da Montenegro e Kosovo nell’agosto 2015 era ben presto finito al centro di un’intensa battaglia politica tra le forze del parlamento di Pristina. La più forte opposizione è arrivata dal partito nazionalista di sinistra Vetëvendosje, che fin dall’inizio ha accusato il governo di aver ceduto 8.200 ettari di territorio kosovaro al Montenegro. In nome della difesa della sovranità territoriale, Vetëvendosje si è reso protagonista in questi due anni e mezzo di accese manifestazioni di piazza e della pratica del lancio di fumogeni in parlamento, come avvenuto anche nel corso dell’ultima votazione. Un comportamento punito con l’allontanamento di ben 13 deputati e l’arresto di 7 di loro.
La giravolta di Haradinaj
L’altro grande oppositore dell’accordo era Ramush Haradinaj, all’epoca all’opposizione. Dopo una campagna elettorale condita da slogan a difesa di ogni chilometro di terra kosovara, Haradinaj, divenuto primo ministro, è stato protagonista di un clamoroso cambio di posizione. Proprio lui si è fatto improvvisamente fautore della ratifica dell’accordo, allineandosi ai partner di governo (il Partito Democratico del Kosovo del presidente Hashim Thaçi e il piccolo partito NISMA) e alla Lega Democratica del Kosovo, che guidava l’esecutivo nel 2015 e che ora siede tra i banchi dell’opposizione. Questa larga alleanza, a cui si sono aggiunti i deputati delle minoranze nazionali (esclusa la Lista Serba, dichiaratasi non interessata alla questione), ha reso possibile il raggiungimento della maggioranza parlamentare.
Le pressioni internazionali
La giravolta politica di Haradinaj deve molto alle pressioni della comunità internazionale. Il continuo ritardo nella risoluzione della questione, difatti, stava innervosendo non poco gli attori internazionali presenti nel paese, dall’Unione europea agli Stati Uniti, che chiedevano una rapida ratifica di quella che veniva considerata una questione meramente tecnica. Un’apprensione spesso sfociata in vera e propria pressione, come dimostrano i frequenti appelli degli ambasciatori a favore della ratifica dell’accordo e le parole di soddisfazione espresse dagli stessi dopo il voto dello scorso 21 marzo.
Le pressioni dei kosovari
La pressione, però, proveniva sempre più anche dalla stessa popolazione, stanca di vedere lontana la prospettiva della liberalizzazione dei visti. I cittadini del Kosovo sono difatti gli unici cittadini europei, insieme a quelli della Bielorussia e della Russia, che necessitano del visto per accedere all’area Schengen. Una condizione sentita come insostenibile dai kosovari, molti dei quali hanno parte delle proprie famiglie all’estero. La ratifica, perciò, rappresenta un passo in avanti verso l’approvazione della liberalizzazione dei visti da parte del Consiglio europeo, ma i cittadini del Kosovo non possono ancora esultare. Nonostante le promesse dei leader politici locali, convinti che questo traguardo verrà facilmente raggiunto entro l’anno, Bruxelles si è affrettata a ricordare che sono prima necessarie misure concrete di lotta alla corruzione.
Le prospettive future
In prospettiva, la risoluzione di questa sfida può avere due risvolti futuri. Da una parte, la speranza è che possa essere l’occasione per un cambio di passo: dopo anni spesi a discutere di confini, ora la politica kosovara ha l’occasione per concentrarsi su riforme ben più concrete ed inerenti i bisogni dei cittadini, lotta alla corruzione compresa. Dall’altra parte, c’è la paura che, passata la sbornia per il risultato raggiunto, un altro grande tema, come la costituzione dell’Associazione per le Municipalità a maggioranza serba o la nascita dell’esercito kosovaro, possa divenire il nuovo fulcro delle eterne discussioni tra i partiti politici, trascinandosi per mesi e impedendo reali passi avanti di cui il Kosovo ha estremo bisogno.