Sulla dissoluzione della Jugoslavia si sono scritti fiumi di parole, tanti quanto quelli che scorrono in Bosnia. La repubblica socialista del maresciallo Tito contava sei repubbliche e due province autonome, e riuniva sotto un’unica egida un tessuto sociale multietnico. Oggi nei Balcani si contano più facilmente le divisioni che le unioni, e Mitrovica e Mostar sono lì a ricordarcelo.
Mitrovica
Mitrovica si trova nella parte nord del Kosovo, vicina al confine con la Serbia, ed è tra le città con maggiore densità di kosovari serbi. Nasce attorno al fiume Ibar, e il ponte nuovo che ne unisce le sponde è stato infausto protagonista delle cronache della città negli ultimi vent’anni. Parte del regno di Serbia e dell’impero ottomano, ci sono documenti storici che attestano l’esistenza di Mitrovica già nel 14esimo secolo.
Nel 1948 la città contava 13.900 abitanti, mentre negli anni ’90 la cifra si attestava intorno a 90.000. Nel 1999 Mitrovica è stata scena di guerriglia da parte di entrambi gli schieramenti. All’indomani della guerra, i serbi si sono rifugiati a nord del ponte, più vicini alla Serbia, mentre gli albanesi a sud, con conseguenti episodi di reciproca pulizia etnica delle due sponde. Oggi circa 50.000 kosovari albanesi abitano la parte sud del paese, mentre a nord si stima che abitino circa 22.530 kossovari serbi, insieme a piccoli enclave di kosovari bosgnacchi, gorani, turchi, roma, ashkali e albanesi.
Mitrovica dipinge la sua quotidianità con sfumature di tensione. La città ha due sindaci, Goran Rakić sulla sponda nord e Agim Bahtir sulla sponda sud. A dividere le due anime di Mitrovica c’è il ponte, sorvegliato dai carabinieri della missione Kosovo Force (KFOR). Secondo gli accordi di Bruxelles del 2013 sulla normalizzazione dei rapporti tra Pristina e Belgrado, il ponte dovrebbe essere aperto al traffico, ma è pedonale da sempre. Negli ultimi mesi del 2016, i kosovari serbi hanno incominciato a costruire un muro nella loro parte di città, abbattuto poi nel febbraio del 2017 dopo l’accordo raggiunto tra il governo kosovaro e la parte serba con la mediazione di UE e USA.
Secondo i dati della ricerca Beyond the Bridge (oltre il ponte), condotta dal Mediation Center, il ponte è attraversato regolarmente dal 22% degli intervistati, perlopiù per ragioni logistiche. Infatti, spesso i residenti di una sponda possono dover andare per motivi lavorativi su quella opposta. A distendere ulteriormente il clima ci sono gli studenti dell’International Business College di Mitrovica, un raggruppamento di giovani serbi e albanesi che studiano insieme in campus su entrambi i lati del fiume Ibar.
Mostar
Mostar è la città più nota dell’Erzegovina. Nasce intorno al letto del fiume Neretva nel 15esimo secolo, come frontiera dell’impero ottomano. Il nome della città è affiorato per la prima volta nel 1474 e deriva da coloro che facevano la guardia al vecchio ponte di legno, i mostari. Il ponte come lo conosciamo oggi è stato costruito nel 1566. Mostar, quindi è la città dello stari most, distrutto durante una guerra fratricida e ricostruito nel 2004, da allora patrimonio UNESCO.
Mostar fu attaccata dall’Armata Popolare Jugoslava nell’aprile del 1992. In quel caso, bosgnacchi e croati si difesero da un nemico comune, ma già nell’anno successivo l’intervento della repubblica croata nella guerra scompaginò gli schieramenti. La Croazia infatti, ambiva a spartirsi con la Serbia la Bosnia Erzegovina, ritenuta dai nazionalisti artificiale perché multietnica. I croati erano il 17% della popolazione della Bosnia, una minoranza anche a Mostar, ma ambivano a un’Erzegovina croata con Mostar capitale.
Prima del conflitto bosgnacchi e croati convivevano pacificamente. I primi abitavano principalmente sulla sponda orientale, mentre i secondi sulla sponda occidentale. Nella parte croata c’era anche l’unico accesso cittadino all’acqua potabile, e fu il generale Slobodan Praljak, morto suicida al tribunale dell’Aja nel novembre del 2017, a ordinare l’abbattimento dello Stari Most.
Oggi a Mostar, croati e bosgnacchi continuano a vivere insieme. Il ponte è diventato un feticcio turistico attorno al quale ruota la vita economica della città. Camminando per la città non faticherete a trovare italiani, spesso anziani nella loro seconda tappa del pellegrinaggio a Medjugorje. D’altronde se non hai visto la Madonna dovrai avere qualcosa da raccontare ai parenti una volta a casa. I centri giovanili sono il vero fulcro di riappacificazione tra etnie. I giovani non conoscono l’odio dei padri. La pace è una fenice.
Muri contro ponti
I ponti di Mitrovica e Mostar stanno lì a simboleggiare l’illogica testardaggine di chi dimentica la funzione primaria delle cose. I nazionalisti hanno voluto trasformare i ponti in muri, usando come mattoni le lapidi di coloro che sono stati sacrificati in nome di un’omogeneità etnica, sociale e religiosa che ha portato solo sofferenza. Torniamo a costruire ponti, la guerra è una grossa stronzata.
Per approfondire, seguite il reportage a puntate “Diario da Mitrovica”, di Matteo Tacconi e del nostro Giorgio Fruscione, realizzato in occasione dei dieci anni dell’indipendenza del Kosovo. Potete trovarlo su eastwest.eu
quanta inutile demagogia dei muri si fa sulla pelle dei cittadini jugoslavi trasformati in nemici etnici dagli interessi economici europei … si inneggia all’abbattimento dei muri in mitrovica ma intanto si è costruito ben altro muro tra serbia centrale e provincia del kosovo che mai in passato era esistito con tanto di filo spinato e valichi di una frontiera illegale secondo le inapplicate e ormai fastidiose risoluzioni onu …così i serbi, rei di essere diffidenti verso la popolazione di etnia albanese che forte dell’appoggio euro/americano hanno massacrato i serbi che non sono fuggiti e cancellato ogni forma di storia serba buttando giù chiese e monasteri, isolati dal loro paese vengono anche beffati da una demagogia a senso unico …e la chiamate pacificazione …