Si mettono in piedi su panchine, muretti o centraline elettriche per essere ben visibili. Poi si scoprono il capo, legano il proprio velo ad un bastone e lo sollevano in alto. Rimangono lì, immobili e silenziose, con il braccio alzato e l’hijab che sventola. Un gesto per il quale rischiano fino a due mesi di prigione e una multa di 100 dollari.
È la protesta pacifica delle donne iraniane contro l’uso obbligatorio dell’hijab, che va avanti da qualche mese nelle principali città dell’Iran. Queste donne coraggiose, riprese in decine di video divenuti virali sui social con l’hashtag #girlsofrevolutionstreet – dal nome della via dove tutto è iniziato lo scorso dicembre, a Teheran -, sfidano il divieto in vigore sin dal 1979. Prima della rivoluzione khomeinista, infatti, le donne erano libere di scegliere cosa indossare.
Un desiderio di libertà sostenuto anche da molti uomini che, per solidarietà, si sono uniti alla protesta. In gioco non c’è soltanto l’uso volontario dell’hijab, ma anche la conquista di diritti civili e sociali più ampi.
La polizia, di recente, è corsa ai ripari. Decine di trasgressori, in maggioranza donne, sono state arrestate. E per evitare nuove proteste, gli agenti hanno installato delle coperture metalliche a punta sopra ogni centralina elettrica, in modo da impedire che ci si possa salire sopra. Invano. Le donne si sono attrezzate infatti con piccole pedane in legno per continuare a protestare pacificamente.
L’esempio di Vida
A trasformare un gesto isolato in una campagna virale è stato il video di una ragazza iraniana di 31 anni, Vida Mohavedi. Il 27 dicembre scorso, durante le proteste di piazza contro il caro-vita e la crisi economica a Teheran, si è fatta riprendere in Enghelab Street – “via della Rivoluzione” in farsi – in piedi su una centralina, a capo scoperto e con il velo bianco in mano. È stata arrestata e ha trascorso un mese in prigione prima di essere liberata. Le immagini della sua protesta sono rimbalzate sui social grazie ai post dall’attivista iraniana Masih Alinejad che, in esilio da New York, lotta da anni per i diritti civili in Iran.
Nelle settimane successive, l’esempio di Vida è stato imitato da decine di altre donne. Almeno 35 quelle finite in carcere il mese scorso. Diverse organizzazioni per i diritti umani hanno denunciato violenze durante la loro detenzione; alcune di loro sarebbero state picchiate e malmenate. Inoltre, per almeno due di loro è stata formalizzata l’accusa di “incitamento alla prostituzione” e ora rischiano fino a 10 anni di prigione.
Ma la protesta non si ferma; ragazze di ogni classe sociale ed età continuano a postare su Twitter, Facebook e Instagram scatti e video a capo scoperto con una sciarpa bianca in mano, in alcuni casi insieme al proprio marito che le sostiene.
L’avvio del dibattito pubblico
Per alcuni esponenti politici appartenenti alla corrente riformista la questione posta dalle donne di Enghelab Street è poco rilevante. «L’uso del velo – sostiene Ali Motahhari, vice presidente del parlamento – non è obbligatorio per legge, ma prescritto dal Corano e la maggior parte delle donne lo porta volontariamente». In effetti, molte lo indosserebbero comunque, ma vorrebbero essere libere di decidere.
I più tradizionalisti invece, e tra questi il procuratore iraniano Mohammad Jafar Montazeri, affermano che la sharia impone l’uso obbligatorio del velo a tutte le donne, anche a quelle straniere che entrano nel Paese, aggiungendo che «quanti aderiscono alla protesta saranno perseguiti e puniti».
Eppure, la presidenza iraniana, scrive il New Yorker, ha diffuso uno studio in base al quale quasi il 50 per cento della popolazione, uomini e donne, preferirebbe che fosse possibile scegliere se indossare o meno il velo. L’indagine, commissionata tre anni fa al Centro Iraniano per gli studi strategici, istituto alle dipendenze del presidente, dimostrerebbe che Rohani sarebbe favorevole ad un dibattito pubblico sul tema.
La società iraniana è quindi pronta per un cambiamento? Difficile dirlo, ma le donne iraniane non si arrendono. Dal suo profilo Twitter, Masih Alinejad lancia l’invito a continuare la protesta nelle strade anche in vista della festa delle donne, l’8 marzo. «La legge sul velo obbligatorio è draconiana e anacronistica. Attraverso la disobbedienza civile recupereremo i nostri diritti», ha twittato.
Foto: l’immagine stilizzata di Vida Mohavedi, divenuta il simbolo della protesta di Enghelab Street