Da BELGRADO – Immaginate un paese evoluto e all’avanguardia tecnologica. Immaginate una società altamente liberale e basata su un forte stato sociale. Immaginate un paese che domina in tutti gli sport. Immaginate, insomma, che la Jugoslavia sia ancora viva, che invece di disintegrarsi sotto i colpi del nazionalismo, quell’erbaccia sia stata estirpata e che l’autogestione abbia portato all’emancipazione dei popoli riuniti dal motto unità e fratellanza.
E Baš Vam Hvala (traducibile come “Ma grazie tante”) è un romanzo, ancora inedito in Italia, dello scrittore e giornalista Marko Vidojković, edito da Laguna, che ha riscontrato molto successo in Serbia ma non solo. Già, perché il libro offre uno scenario alternativo a quello della dissoluzione della Jugoslavia.
Un’operazione dei servizi segreti jugoslavi del 1989 ha scongiurato la presa di potere da parte delle élites politiche di allora, evitando così che il paese finisse nel vortice nazionalista degli anni novanta. Ad un certo punto, però, cominciano a ricomparire cetnici e ustasa che si credevano morti da un pezzo. A occuparsi di queste strane apparizioni da un universo parallelo, c’è il compagno Mirko Šipka, giovane e ingenuo agente di un noioso dipartimento di intelligence jugoslava. Nei suoi inebrianti “viaggi” tra i due universi, questi non solo si confronterà con il proprio alter-ego nella Belgrado di oggi, per lui grigia e decaduta, ma anche con un sistema politico e una società che sembrano aver totalmente dimenticato l’eredità jugoslava.
Quella di Vidojkovic non è tanto un’allucinazione del “come sarebbe andata se”, ma piuttosto l’immaginazione di un mondo parallelo e di uno scenario alternativo per il presente. Il romanzo si sviluppa quindi sul confronto tra due mondi, quella della Jugoslavia che sopravvive al proprio collasso e quella delle sue ex repubbliche oggi.
“Per chi si ricorda la Jugoslavia, probabilmente sarà interessante leggere cosa le è successo in un universo in cui non è mai avvenuta la sua dissoluzione, e chi non ricorda la Jugoslavia avrà la possibilità di penetrare nel modo di pensare e agire degli autentici comunisti jugoslavi, sia quelli del passato sia questi che abitano la realtà parallela” ha dichiarato Vidojkovic in un’intervista al quotidiano montenegrino Vijesti e tradotta da OBCT.
Il libro risulta come una combinazione tra quello che oggi viene definita jugonostalgia e una critica della società post-jugoslava. Nel romanzo compare anche la figura di “Tito 2.0”, che Vidojkovic utilizza per criticare il sistema politico in cui vivono oggi le ex repubbliche jugoslave, dominate dalla necessità di avere sempre un leader da seguire e dal culto del capo.
Per quanto le librerie di Belgrado l’abbiano sponsorizzato come “il libro che riunirà la Jugoslavia”, l’autore ha un’opinione precisa a tal proposito. “Non penso che si debbano toccare ferite ancora aperte – spiega Vidojkovic – e innanzitutto non penso che la Jugoslavia debba essere ricomposta dalla stessa banda che la distrusse”. Sulla copertina del libro campeggia il simbolo della Jugoslavia di Tito, da cui si sono però spente le sei fiamme che fino al 1992 simboleggiavano i popoli costituenti della SFRJ. Per l’autore, così come la Jugoslavia fu distrutta da quei comunisti che indossarono l’uniforme del nazionalismo, è da evitare che una riunificazione avvenga travestendosi nuovamente da jugoslavi.
“Penso che solo quando non ci sarà più nessuno che si ricordi della Jugoslavia, le nuove generazioni potranno pensare a un’eventuale riunificazione dei popoli jugoslavi, legati da un passato comune, da una stessa mentalità e lingua” sostiene Vidojkovic.
Quella di Vidojkovic è quindi non solo una critica all’establishment colpevole di aver generato apatia sociale, ma anche una critica a un sistema in cui arte e cultura sono trascurati e in cui i giovani sono abbandonati a se stessi, sia da una generazione di “genitori sfiniti”, che da un sistema di istruzione pubblica anacronistico e incline alla corruzione.
Non stupisce quindi che nonostante il romanzo sia in vetta alle classifiche dei libri più venduti in Serbia, l’autore abbia fatto solo una presentazione, a Šabac, città amministrata dall’opposizione.
Forse perché il libro lascia intendere che la vera “gabbia dei popoli” non era la Jugoslavia, ma piuttosto i paesi che le sono succeduti. In fondo “Ma grazie tante” è un romanzo di resistenza che parla di rivoluzione. Al motto “morte al fascismo, libertà al popolo” però, i rivoluzionari dell’universo parallelo suggeriscono un più moderno “morte ai banditi, libertà alla Jugoslavia”.