Il caso del giornalista azero Afgan Mukhtarli continua a gettare tinte fosche sullo stato della libertà di stampa in Azerbaigian e sulla condizione di subalternità della Georgia nei confronti del paese caspico.
Il 29 maggio dello scorso anno, Mukhtarli è stato sequestrato nel centro di Tbilisi, città in cui viveva dal 2015 per sfuggire alle autorità azere che mal digerivano i suoi articoli sugli abusi del regime autoritario di Ilham Aliyev.
Un giorno dopo il sequestro, Mukhtarli è ricomparso a Baku, in stato di arresto per essere entrato illegalmente nel territorio dell’Azerbaigian possedendo illecitamente 10 mila euro. Queste accuse gli sono valse la condanna a sei anni di prigione lo scorso 12 gennaio.
Fin dall’inizio appariva evidente una connivenza, se non un attivo coinvolgimento, delle autorità di Tbilisi nel sequestro del giornalista, nonostante il governo georgiano negasse ogni responsabilità.
Lo scorso 11 febbraio, il canale televisivo georgiano Rustavi 2 ha pubblicato un’intervista di Mukhtarli, rilasciata nel corso delle 48 ore di libertà che gli erano state concesse per celebrare l’anniversario della morte dei genitori.
Il giornalista ha usato toni durissimi accusando direttamente il primo ministro georgiano Kvirikashvili di aver dato l’ordine d’arresto. Ha raccontato, inoltre, le dinamiche del suo sequestro a Tbilisi. A fermarlo, tre uomini con la divisa della Polizia criminale georgiana che lo hanno spinto in una macchina coprendogli la testa con un sacchetto. Secondo la testimonianza, il volto gli è stato scoperto dopo tre cambi di autovetture e già in territorio azero.
Le autorità georgiane non hanno reagito a queste accuse e si trovano ora nella delicata posizione di dover rispondere agli alleati occidentali senza offendere il vicino Azerbaigian.
Nel corso dell’estate, la condanna di Mukhtarli, era stata ufficialmente definita come “politicamente motivata” sia dal Dipartimento di stato americano che dal Parlamento europeo. Da Bruxelles era anche arrivato l’invito alla Georgia a fare chiarezza sulle torbide modalità del sequestro.
Tbilisi aveva reagito istituendo un’inchiesta che si era fermata, secondo quanto dichiarato dal pubblico ministero, per l’impossibilità di interrogare direttamente Mukhtarli. I grandi investimenti azeri in Georgia forniscono un grande disincentivo ad approfondire la vicenda che è stata velocemente dimenticata a Washington e a Bruxelles.
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Immagine: Reuters