Euroscettica, sotto accusa per le riforme di stampo illiberale approvate dalla fine del 2015, e diplomaticamente miope, la Polonia guidata da Diritto e Giustizia (PiS) si ritrova isolata e debole tra le aule di Bruxelles, autrice di una cesura storica che chiude il sipario sulla stagione europeista post-1989. Perso il ruolo di motore dell’integrazione europea, guastati i legami con Francia e Germania, e sempre più russofobica, la Polonia si candida a leader regionale per non morire di solitudine e irrilevanza politica. Un’analisi delle relazioni tra Polonia e (quelli che furono) i suoi principali partner in Europa.
UE, fine di una love story
Se dall’era della transizione l’Unione Europea aveva sempre costituito la bussola e il faro della politica estera polacca poiché garante, insieme alla NATO, della salvaguardia della sicurezza e dell’integrità territoriale dello stato, Varsavia oggigiorno percepisce le istituzioni europee come lesive dei propri interessi nazionali. Così, da quando al potere, PiS ha intrapreso una crociata contro i valori fondanti delle democrazie liberali di cui Bruxelles ne è l’incarnazione, pur continuando a beneficiare degli aiuti economici. Al di là dello scontro con l’UE per le riforme del settore giudiziario e dei media, la Polonia si è opposta con fermezza all’accoglienza dei rifugiati, rifiutandone qualsiasi presa in carico per problemi di sicurezza, cioè a dire la populista e in voga credenza che l’immigrazione dal Medio Oriente e dall’Africa spiani la strada al terrorismo di matrice islamica, di cui per altro la Polonia non ne è mai stata vittima. A questa facile equazione si è accompagnata la giustificazione dell’accoglienza dei migranti ucraini, per i quali la Polonia è l’approdo preferito solo dopo la Gran Bretagna.
Il triangolo no
Nata 25 anni fa come simbolo della riconciliazione fra Germania e Polonia e dell’impegno franco-tedesco nei paesi dell’Est, specie nell’assicurare al partner polacco un ruolo centrale nell’assetto politico post-89, la cooperazione trilaterale tra Parigi, Berlino, e Varsavia, nota come Triangolo di Weimar, non ha mai goduto di un effettivo potere politico, limitandosi a essere una struttura simbolica, dall’attivismo altalenante. Lo dimostrano i pochi incontri avvenuti in seduta comune negli ultimi due anni (cinque dal febbraio 2014 all’aprile del 2015, solo uno da allora a oggi) e gli “screzi a due” che hanno riempito le pagine dei giornali dal 2016 a oggi.
Ai ferri corti con la Francia
Da poco più di un anno, infatti, si è aperta una travagliata stagione con la Francia, quando Varsavia ha deciso di cancellare la compravendita di 50 elicotteri d’uso militare. Un affare milionario precedentemente concordato con Parigi da Piattaforma Civica, partito al governo nella precedente legislatura. L’acquisto è stato poi concluso con gli Stati Uniti, storico alleato oltre-oceano. Durante l’ultima campagna per le presidenziali francesi, poi, i rapporti si sono fatti più tesi per le affermazioni di Macron a favore delle sanzioni alla Polonia per violazioni allo stato di diritto. Una volta insediatosi all’Eliseo, il neo-presidente ha cercato di isolare il paese dai suoi vicini non contemplando Varsavia nel suo tour dell’Europa Centrale, e promuovendo la revisione della Direttiva 96/71/EC sul distaccamento dei lavoratori, di cui la Polonia è il maggior beneficiario. Su 1,9 milioni di lavoratori di questo tipo in tutta l’Unione, più di 400 mila sono i polacchi che temporaneamente trovano impiego nei paesi più ricchi, in primis Francia, seguita da Austria e Germania. Benché non sia questo il luogo né l’occasione per un dibattito in merito, di cui per altro se ne stanno occupando gli organi competenti a Bruxelles, le polemiche sulla direttiva e gli altri attriti citati, insieme al pianificato divieto di aprire i negozi la domenica – e sono tante le catene francesi sparse per il paese – indicano il cattivo stato di salute del legame franco-polacco.
Tensioni con la Germania
Il cambio di rotta in politica estera si è reso ancora più evidente nei confronti della Germania, cui la Polonia ha richiesto le riparazioni di guerra, infilando un cuneo nelle relazioni con l’importante vicino, molto distese durante i governi di Piattaforma Civica (2017-2015) e frutto di un percorso di riconciliazione avviato nei decenni precedenti. Una squadra in Parlamento ha lavorato sull’ammissibilità delle rivendicazioni, concludendo che l’accordo del 1953 sulla rinuncia alle riparazioni di guerra era stato siglato da uno stato fantoccio perché sotto l’influenza comunista sovietica. Ammesso e non concesso che la Polonia dell’epoca non possa essere considerata uno stato indipendente, la sua sovranità non può essere messa in discussione per il Trattato sul confine tedesco-polacco firmato nel 1990. Se per il portavoce della Merkel, Steffen Seibert, la questione è chiusa, e risolta politicamente e legalmente, il teatrino orchestrato da Kaczyński pare avere prospettive: un team speciale lavorerà per almeno sei mesi al calcolo dell’ammontare delle riparazioni dovute. «La campagna anti-tedesca è anche sintomo del modo in cui la politica polacca si stia de-europeizzando. L’ideale anni ’90 di allineamento ai valori e alle economie dell’Europa occidentale è stato rimpiazzato da PiS con l’ideale populista di “emancipazione” da quegli stessi partner. L’europeizzazione della Polonia era sempre stata inestricabilmente connessa alle relazioni con la Germania. Non è un caso che i proclami di PiS sulla sovranità polacca siano stati accompagnati dalla demonizzazione di Berlino», scrive Piotr Buras, presidente dell’European Council on Foreign Relations per la sede di Varsavia.
Quella di Kaczyński è un’uscita dal forte impatto mediatico che non solo ammicca al revisionismo storico ma funge da diversivo per due spinose questioni: lo strappo col Presidente Duda e lo scontro con l’UE. Eventuali sviluppi positivi forse potrebbero arrivare grazie al nuovo e più conciliante, almeno sulla carta, Ministro degli Esteri, Jacek Czaputowiz, da pochissimo in squadra per scelta del nuovo premier Mateusz Morawiecki.
I polacchi dopo Brexit
Con la decisione britannica di restare fuori dal gioco dell’UE, la Polonia non perde solo un importante alleato occidentale con cui condividere il peccato di essere fuori dall’eurozona, ma vede a rischio gli interessi di un milione di connazionali lì stabilizzati. La campagna per il “leave”, infatti, aveva fatto leva sulla frustrazione dei britannici che vedono in rumeni, polacchi e bulgari la principale causa della disoccupazione. Con un Regno Unito che non esclude l’introduzione dei visti, le attenzioni della Polonia si sono indirizzate alla salvaguardia degli interessi di chi già risiede nel paese. Le rassicurazioni della May e il piano proposto dal governo britannico sono state considerate soddisfacenti dall’ex-premier Szydło che, da inizio legislatura, ha avviato generose misure economiche per frenare l’emorragia democratica e attrarre gli emigrati a rientrare nel paese. Tuttavia, il ritiro di un membro ricco come l’UK renderà la Polonia, e con lei anche gli altri paesi del V4, più prosperosa e meno eleggibile a ottenere fondi, che diminuiranno in ogni caso per il recesso di un grande contributore, oltre che terzo importatore di beni dal paese.
Il gruppo di Visegrad: una squadra troppo eterogenea?
Nel raggiungimento dei suoi obiettivi politici ed economici, Varsavia non poteva non rivolgersi ai suoi vicini, alleati naturali per via di una storia condivisa. Così, imploso il blocco sovietivo, Polonia, Ungheria, e l’allora Cecoslovacchia, decisero di dar vita a un’alleanza, il gruppo di Visegrad (V4), per rafforzare la cooperazione reciproca e perseguire insieme obiettivi e trasformazioni economico-sociali in previsione dell’integrazione europea. Eppure ad oggi non possiamo considerare il V4 un blocco coeso politicamente. La loro compattezza, e quindi influenza in Europa, si manifesta solo quando gli interessi del gruppo coincidono con quelli dei singoli stati, come ha dimostrato la ferma opposizione al sistema delle quote per la ricollocazione dei rifugiati. Altre questioni, in primis la percezione della minaccia russa, la spesa militare, e l’atteggiamento nei confronti delle istituzioni europee, vedono i quattro membri mantenere posizioni diverse. Probabilmente perché la cooperazione tra i 4 membri più che un obiettivo in sé, ha sempre funto da mezzo per un fine più grande: facilitare i rapporti con l’UE e gli Stati Uniti.
Il nuovo progetto Trimarium
L’iniziativa polacco-croata nata per impulso dei rispettivi presidenti, Andrzej Duda e Kolinda Grabar-Kitarovi, battezzata “Trimarium” o dei “Tre mari”, e ispirata per certi versi all’idea del Generale Piłsudski ha una forza tutta da dimostrare. A carattere infrastrutturale ed energetico e allungandosi dal Baltico al Mar Nero passando per l’Adriatico, il progetto vorrebbe superare la morsa di Mosca rafforzando lo sviluppo nei paesi sul fianco orientale dell’Ue: Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Cechia, Slovacchia, Ungheria, Austria, Slovenia, Croazia, Romania e Bulgaria. Nonostante il potenziale per la cooperazione nella regione, il piano, che ha acquistato nuovo vigore proprio a Varsavia l’estate scorsa, rimane un’iniziativa presidenziale che potrebbe non collimare con le idee dell’esecutivo polacco che più ad espandere la propria sfera influenza sembra interessato solo ad arroccarsi dietro a posizioni politiche oscurantiste e sovraniste.