In Romania è caduto nuovamente il governo, dopo appena sei mesi dalla sua nascita. Le modalità sono esattamente le stesse del giugno 2017. Il partito social-democratico (PSD) ha ritirato il sostegno al suo stesso primo ministro, Mihai Tudose, che era entrato in rotta di collisione con il presidente e leader maximo del partito, Liviu Dragnea.Tudose si è dimesso ieri notte dopo essere stato sfiduciato dal comitato esecutivo del partito, e il presidente Iohannis ha accettato le dimissioni. Il PSD è riuscito, in un anno, ad annientare due suoi governi, per la medesima motivazione: le lotte intestine al partito. Le cause delle frizioni tra Tudose e Dragnea sono diverse. Vi è senz’altro il rifiuto del primo ministro di avallare la nuova legislazione penale che attenua notevolmente la forza dell’autorità anti-corruzione; a ciò si aggiunga la lotta per la leadership interna al partito, guidato in maniera autoritaria da Dragnea e dal suo cerchio magico.
Nei giorni scorsi Tudose aveva preparato il terreno per lo scontro finale, cercando di accaparrarsi le simpatie dell’elettorato social-democratico e dei baroni locali che governano indisturbati la provincia romena. Per prima cosa aveva chiesto le dimissioni del ministro dell’Interno, Carmen Dan, a causa di uno scandalo di pedofilia interno alla polizia. La Dan è una delle pretoriane di Dragnea, e il suo allontanamento dal governo avrebbe significato chiaramente una rottura con il presidente del partito. Successivamente si era lanciato in sanguinarie minacce contro l’autonomia amministrativa dei secleri della Transilvania, affermando che chiunque avrebbe fatto sventolare la bandiera seclera sulle istituzioni dei comuni a maggioranza magiara sarebbe finito a sventolare insieme alla bandiera. Parole pesanti, che piacciono moltissimo però a buona parte dell’elettorato del PSD, che Tudose intende conquistare in vista dello scontro per la leadership del partito, al quale non intende rinunciare. Atteggiamento anti-ungherese che serve per marcare ancor di più la distanza da Dragnea, che non ha mai nascosto la sua ammirazione per Viktor Orban, al quale lo accomuna un atteggiamento conciliante nei confronti della Russia e un autoritarismo nazionalista che anche tra i Carpazi e il Danubio piace a molti.
Adesso la palla passa nuovamente al presidente della Repubblica Klaus Iohannis, che dopo la nuova proposta del PSD, deciderà se affidare l’incarico di formare il nuovo governo ad un altro social-democratico. La scelta di Iohannis assume adesso un significato politico notevole. Dopo due governi fallimentari a guida PSD, il presidente potrebbe dare l’incarico a una personalità esterna, che tuttavia non avrebbe maggioranza in Parlamento. Lo spettro delle elezioni anticipate aleggia sui cieli di Bucarest in modo preoccupante: l’instabilità politica rischia infatti di pesare notevolmente sull’economia del paese. Il tasso di cambio euro/leu ha fatto registrare un rialzo non indifferente tra 15 e 16 gennaio (1 euro = 4.649 lei); sicuramente il crollo del secondo governo in sei mesi non deve essere piaciuto a Bruxelles e Berlino. Il presidente Iohannis continua ad essere l’unico elemento di stabilità e di affidabilità politica nel paese, e sarà lui adesso a indirizzare la partita.
E’ prevedibile nei prossimi giorni una nuova escalation delle proteste di piazza. Sui social network già si parla di incontri e raduni previsti a Bucarest per sabato 20 gennaio. Difficile prevederne la portata numerica. Anche in provincia si continua a manifestare. Un gruppo di circa 200 persone ha manifestato domenica scorsa a Cluj contro le modifiche alla legislazione penale. La situazione resta quanto mai incerta e aperta a ulteriori, probabilmente imprevedibili, sviluppi.
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