Dalle parti di Nicosia ne stanno succedendo di cotte e di crude, ad appena un mese dalle elezioni parlamentari i ministri del governo si dimettono. Non bastasse, un carico di munizioni è esploso incidentalmente causando danni alla principale centrale elettrica del Paese che ora è al buio, in piena crisi energetica. Intanto Erdogan va a trovare i turco-ciprioti della parte nord dell’isola dicendo chiaro e tondo che Cipro nord e la Turchia sono una cosa sola: alla faccia dei negoziati Onu appena (ri)cominciati. E infine, dulcis in fundo, Moody’s taglia il rating a Cipro abbassandolo di due gradini: da A2 a Baa1. Il Financial Times dichiara: “potrebbe essere il quarto Paese da salvare”. Tutti giù per terra.
Cominciamo dalla notizia di giornata. Nicosia e Atene sembrano legate dal triste destino del declassamento del rating. Oggi Standard & Poor’s ha di nuovo declassato la Grecia a CC, vera spazzatura, a seguito anche del vertice Eurozona che ha infine deciso per un default selettivo di Atene. Insomma, c’era da aspettarselo. Ma Nicosia no. Secondo l’agenzia americana Moody’s le banche cipriote sono “fortemente esposte verso Atene” e quindi è possibile che alcune di esse si ritrovino a “chiedere supporto pubblico per evitare la bancarotta”. Anche il debito pubblico è in preoccupante salita, per il 2012 è previsto al 62% (numeri che a noi italiani sembrano ridicolmente bassi).
La decisione di Moody’s è dovuta anche all’attuale crisi energetica in cui Cipro è piombata dopo che un camion carico di munizioni è esploso l’11 luglio scorso (causando tredici morti) nelle vicinanze di Vasilikos, la centrale elettrica più importante dell’isola, che da sola il 53% dell’energia necessaria. I danni sono gravi e le soluzioni non sembrano a portata di mano. Tanto che oggi i ministri del governo della Repubblica di Cipro si sono dimessi dietro richiesta del capo delo Stato, Demetris Christofias, sulla scia di una protesta popolare senza precedenti. Il portavoce governativo, Stefanos Stefanou, ha dichiarato che i ministri resteranno in carica sino al rimpasto, previsto fra pochi giorni.
Così Cipro si ritrova senza governo, senza energia, e sull’orlo del baratro finanziario. Non bastasse c’è Erdogan, il triplice primo ministro turco, che in visita nella Repubblica turca di Cipro nord ha dichiarato: “Il nostro passato è stato insieme, il nostro futuro sarà insieme, noi siamo un solo cuore“. Come scrive Giuseppe Mancini sul suo blog Istanbul Europa: “Appena arrivato sull’isola, ancora in aeroporto, ha dichiarato che «non c’è nessun paese chiamato Cipro, esistono la Cipro greca e la Repubblica turca di Cipro del Nord»; ha poi continuato ritirando le concessioni – anche territoriali – offerte nel 2004 e ha irriso i greco-ciprioti ritenuti sull’orlo del collasso economico, infine ha sottolineato che la riunificazione dell’isola dovrà avere base confederale e se non venisse raggiunta un soluzione condivisa, sarà la Turchia a trovare una soluzione alternativa (l’indipendenza effettiva di Cipro nord? L’annessione ad Ankara?)”.
Il 20 luglio scorso, infine, ricorreva l’anniversario dell’invasione (secondo i greco-ciprioti) o della liberazione (secondo i turco-ciprioti) da parte dell’esercito di Ankara che nel 1974 reagì al colpo di stato nazionalista ispirato dai colonnelli di Atene. Erano però quelle la Turchia dei militari al potere e la Grecia dei colonnelli. Armi in pugno, muscoli d’acciaio. Oggi uno è un Paese che va verso una democrazia islamica moderata; l’altro invece è uno stato a pezzi, mangiato dalle banche. E la questione cipriota sembra sempre più un anacronismo, una ferita del Novecento, ma di quelle infette. Ancora pericolose.
Bel pezzo, complimenti all’autore