PICCOLA STORIA DELLA PROPAGANDA RUSSA, cap. V: La disinformazione ai tempi di Maidan

La situazione creatasi in Ucraina durante la rivolta di Euromaidan, e la conseguente caduta del regime di Yanukovich, non hanno rappresentato un fulmine a ciel sereno per Mosca, ma rientravano nelle eventualità strategiche previste per il paese “fratello”. Già dai tempi della rivoluzione arancione, nel 2004, le peggiori opzioni riguardo all’Ucraina erano state prese in considerazione, in un periodo caratterizzato da un’intensa attività dell’intelligence USA riguardo alle cosiddette “rivoluzioni colorate“, che in quegli anni destabilizzarono violentemente l’orto di casa di Mosca, come in Kirghizistan e soprattutto in Georgia, dove con il presidente Saakashvili la Russia trovò un palese avversario.

La persuasione occulta delle televisioni russe

La situazione in Ucraina, nonostante i timori, poté essere ricondotta in termini di pacifica convivenza, nonostante i deboli tentativi del presidente Yushenko di orientare il paese verso l’Occidente. Negli anni successivi, però, i problemi creatisi riguardo al transito del gas russo verso l’Europa e alle morosità dell’Ucraina nel pagamento dello stesso, iniziarono a scavare, da parte russa, una spirale di sfiducia e sotterranea ostilità. L’Ucraina non era più ritenuta un partner affidabile, e i media televisivi russi, ormai posti sotto il totale controllo del potere, iniziarono a ripetere slogan secondo cui l’Ucraina “ruba il nostro gas“, e “vive alle nostre spalle”; l’opinione pubblica iniziò ad assuefarsi all’idea che l’Ucraina si stava trasformando in un paese ostile, profittando al tempo stesso della generosità russa.

Il termometro del cambiamento si ebbe tra familiari e parenti che vivevano divisi tra Russia e Ucraina: nelle conversazioni telefoniche e ancor più nelle visite in Russia gli ucraini iniziarono a sentirsi rimproverare coi toni usati dalla televisione; amici e conoscenti iniziarono a raffreddare i rapporti, con totale sorpresa di chi giungeva in visita. La persuasione occulta iniziava a mostrare la propria efficacia e a preparare il terreno per il futuro. Qualunque decisione politica o economica negativa riguardo all’Ucraina sarebbe ormai stata giustificata dall’atteggiamento “ostile e profittatorio” degli ucraini, vissuto ormai come un dato di fatto acquisito dall’opinione pubblica. Il primo fondamentale passo per scavare un solco di sfiducia e ostilità verso il popolo fratello era stato compiuto.

Lo snodo politico della Crimea

Il secondo step fu la manovra progressiva posta in atto nei confronti della Crimea. Si iniziò a far notare quanto storicamente la Crimea fosse territorio russo, giunto all’Ucraina solo in seguito ad una incomprensibile decisione amministrativa di Krusciov; fu ribadita la condizione di Sebastopoli come città martire in cui l’Armata Rossa aveva eroicamente combattuto l’invasore nazista; si iniziò soprattutto a proporre legalmente un percorso semplificato per concedere il passaporto russo ai cittadini della Crimea, nonostante che fosse impossibile per un cittadino ucraino possedere la doppia nazionalità. Gli esperti dell’area iniziarono a comparare la situazione con quella dell’Abkhazia e dell’Ossezia del Sud, dove la Russia era intervenuta militarmente in modo più o meno esplicito, notando forti parallelismi, e paventando una prossima escalation anche per la Crimea.

L’importanza strategica della base di Sebastopoli è sempre stata determinante per la Russia, in grado da sola di giustificare anche una guerra: le trattative periodiche con l’Ucraina per l’allungamento della concessione per la base erano vissute dalla Russia con sempre maggiore fastidio e imbarazzo; il prolungamento della concessione fino al 2042 ottenuto dal governo amico di Yanukovich aveva disteso gli animi, ma la sostanza del problema non mutava, ed era palese l’insofferenza russa per il fatto di non controllare liberamente una città e una base considerati sacri per la propria identità storica e strategica.

Già nel 2008, al tempo della guerra fra Russia e Georgia, l’ Ucraina sostenne esplicitamente la Georgia, il presidente Yushenko volò a Tbilisi l’undici agosto, a guerra ancora in corso, e dichiarò pubblicamente di vendere a quel paese ingenti quantitativi di armi. Inoltre, la tensione più grave con la Russia si ebbe il 14 agosto, quando Yushenko emise un ordine che limitava i movimenti della frotta russa nel Mar Nero, basata a Sebastopoli: secondo quell’ordine, il comando della flotta russa doveva comunicare con un anticipo di 72 ore i propri movimenti, e l’Ucraina poteva decidere se consentirli o vietarli. In quel momento la tensione in Crimea divenne palpabile: oltre ad un possibile scontro fra le due flotte militari, russa e ucraina, dato che la Russia affermava di non riconoscere l’ordine, si ebbe la sensazione che la Russia potesse davvero tentare il colpo di mano, già da qualche anno temuto dagli esperti più avveduti, anche in conseguenza delle minacce ucraine di non rinnovare il trattato che concedeva alla Russia la base di Sebastopoli, e che sarebbe scaduto nel 2009.

Fra i tatari di Crimea si avvertì un’ondata di preoccupazione: essi temevano oltre ad un’invasione, anche atti di violenza da parte della maggioranza russa della penisola, che notoriamente disponeva di armi, nascoste in vista di un potenziale conflitto civile con i tatari (anch’essi comunque in possesso di quantitativi di armi). Per alcuni giorni la tensione nella penisola fu palpabile, e forse la Russia fu tentata già allora dall’ipotesi dell’annessione: disponendo a Sebastopoli di 25 mila uomini, 338 navi da guerra e 22 jet, non avrebbe certo avuto difficoltà ad impadronirsi della Crimea, come non ne ha avute a maggior ragione nella primavera del 2014, quando l’esercito ucraino era paralizzato dopo i fatti del Maidan. Probabilmente, in seguito a quella crisi, vennero elaborati i piani definitivi dell’operazione, che sarebbe stata posta in essere in un momento più propizio, coinciso poi con la caduta del regime di Yanukovich a Kiev.

Euromaidan fascista e altre falsificazioni

L’inizio della rivolta di Euromaidan, con la sua specifica carica antirussa, ed il progressivo indebolimento del regime di Yanukovich con il crescere della protesta, fecero scattare il passo definitivo della propaganda e della preparazione militare. Le televisioni russe descrivevano la situazione in Ucraina con toni da tregenda, descrivendo l’Ucraina e Kiev nelle mani di una “Junta” fascista di tipo sudamericano, nominando le forze della protesta come “banderovci“, ovvero seguaci di quel Bandera che era stato collaborazionista con i nazisti durante la seconda guerra mondiale, pur di combattere il potere sovietico, intervistando falsi cittadini ucraini (impersonati da attori) per offrire testimonianze tanto vibranti quanto false, e creando ad arte menzogne clamorose come quella del bambino crocifisso dai soldati di Kiev, contando sul dato scientifico che dimostra come l’emozione creata da una notizia falsa è molto più potente e indelebile della successiva dimostrazione che l’evento in questione sia stato inventato.

Zombirovanie, le vittime della propaganda

Le popolazioni ucraine delle regioni di confine, oltre che della Crimea, che potevano ricevere i canali televisivi russi, vennero colpite da questa propaganda, che è tuttora avvertibile nelle zone prossime ai territori delle repubbliche di Donetsk e Lugansk, con una sensibile modificazione delle opinioni e delle valutazioni della realtà. In russo, i telespettatori vittime di questa propaganda vengono definiti “zombirovanie” ovvero resi come zombie dalla ossessiva propaganda. La cinica deformazione della realtà e l’incitamento all’odio verso i “traditori” ucraini ha condotto a drammatiche separazioni tra famiglie, interruzioni di rapporti fra parenti, rotture di amicizie, divorzi, ha spezzato legami decennali nelle famiglie i cui membri si erano trasferiti per lavoro in Russia, ha creato una frattura quasi insanabile tra popoli fratelli che avevano convissuto con totale identità di cultura e formazione per tutto il periodo sovietico, senza motivi di rancore o rivalità. Soprattutto questa drammatica evoluzione dei rapporti tra le popolazioni è una delle responsabilità più gravi da ascrivere alla politica di disinformazione russa riguardo all’Ucraina. Naturalmente la guerra portata nelle province di Donetsk e Lugansk, con il suo carico di ventimila morti fra civili e militari (cifra imprecisa per difetto) rappresenta una decisione di gravità incalcolabile per l’attuale amministrazione russa, che segna, qualunque sarà l’esito del conflitto, una responsabilità storica difficile da cancellare.

Chi è Giovanni Catelli

Giovanni Catelli, cremonese, è scrittore e poeta, esperto di cultura e geopolitica dell’Europa orientale. Suoi racconti sono apparsi in numerose testate e riviste, tra cui il Corriere della Sera, la Nouvelle Revue Française, Nazione Indiana, L’Indice dei Libri. Ha pubblicato In fondo alla notte, Partenze, Geografie, Lontananze, Treni, Diorama dell'Est, Camus deve morire, Il vizio del vuoto, Parigi e un padre (candidato al Premio Strega 2021). Geografie e Camus deve morire (con prefazione di Paul Auster) sono stati tradotti in varie lingue. Collabora con Panorama e dirige Café Golem, la pagina di cultura di East Journal. Da più di vent'anni segue gli eventi letterari, storici e politici dell'Europa orientale, e viaggia come corrispondente nei paesi dell'antico blocco sovietico.

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