Le elezioni catalane hanno fallito il loro scopo, la società resta divisa e il voto è lo specchio di uno iato sempre più profondo. Nessun partito ha ottenuto più di un quarto dei consensi. I partiti indipendentisti hanno nuovamente conquistato la maggioranza in parlamento (70 seggi su 135), ma primo partito è stato Ciudadanos, formazione unitarista che ha ottenuto il 25% dei voti. La società catalana resta spaccata in due. E adesso?
Il fallimento di Madrid
Il voto ha dimostrato il fallimento delle politiche repressive del governo Rajoy confermando la volontà dei catalani di riportare in carica il proprio governo esattamente come era prima della destituzione ordinata da Madrid. Se queste elezioni, nelle intenzioni del governo spagnolo, dovevano riportare alla normalità costituzionale la regione sancendo l’unità nazionale, la strategia di Madrid si è rivelata sbagliata.
Non è servito arrestare i leader politici catalani, non è servito revocare l’autonomia e commissariare il governo locale, non è servito intimidire e minacciare. Ora Rajoy deve assumersi le proprie responsabilità politiche e storiche. E’ stato lui a rifiutare e frustrare le istanze autonomiste catalane, portando davanti alla Corte Costituzionale lo Statuto di autonomia che il governo locale aveva riformato nel 2006, ed è stato lui a rifiutare qualsiasi dialogo spingendo l’autonomismo a farsi indipendentismo. Il partito popolare spagnolo ha mancato nel comprendere le istanze di parte della società catalana preferendo al dialogo la repressione giudiziaria.
L’indipendentismo è minoranza
Il referendum indipendentista è il risultato delle politiche del partito popolare, questo è un dato difficilmente controvertibile. Politiche che hanno attinto a retoriche patriottarde poggiandosi su un sistema giudiziario che conserva ordinamenti di epoca franchista (nel 1974 è mancata, in Spagna, una vera riforma giudiziaria). La risposta catalana è stata uguale e contraria, la classe dirigente locale ha accusato di “franchismo” il governo di Madrid, premendo sul nazionalismo catalano e mettendo l’accento su aspetti identitari ed etnici che hanno contribuito ad approfondire il solco che divide indipendentisti e unitaristi, catalani e cittadini provenienti da altre parti del paese. I nazionalismi si alimentano a vicenda, come sempre.
La dichiarazione di indipendenza e la proclamazione della repubblica catalana è stata una terribile conseguenza della cieca repressione giudiziaria e poliziesca di Madrid. Terribile, sì, poiché non si può decidere il destino di una società senza averne il pieno consenso e quella dichiarazione di indipendenza si fondava sul favore del 47% dei catalani, quindi di una minoranza. E, indipendentemente dall’esito, non si può nemmeno ritenere che un referendum condotto in un clima di tensione sociale così marcato, sotto minaccia poliziesca, possa essere una valida testimonianza della volontà popolare.
L’indipendenza catalana è stata poi il risultato di una forzatura legislativa delle stesse regole dello Statuto di autonomia in quanto il referendum per l’indipendenza è stato approvato dal parlamento catalano senza la maggioranza dei due terzi richiesta per la modifica dello Statuto di Autonomia della Catalogna, e senza richiedere il parere preventivo del Consell de Garanties Estatutàries, il tribunale costituzionale della Catalogna che controlla la legalità delle leggi approvate dalla comunità autonoma.
Un inutile muro contro muro
Ora però il dado è tratto, i partiti che hanno dichiarato quell’indipendenza hanno il diritto di tornare al governo, e i leader politici arrestati devono rientrare nelle loro funzioni. Non è pensabile che un paese democratico affronti il dissenso con la repressione, con il carcere, con la violenza. Allo stesso modo le parole d’ordine del nazionalismo devono essere messe a tacere. La divisione della Spagna sarebbe oggi la più tremenda sconfitta per chi crede nella necessità della convivenza fra culture diverse, nell’importanza della politica intesa come mediazione e compromesso. I rischi rappresentati da una deriva identitaria sono noti, i casi jugoslavo e ucraino sono lì a dirci quanto pericolose sono le barricate dei simboli che inneggiano a ciò che divide dimenticando quanto (molto di più) unisce.
E’ evidente che il muro contro muro non porterà a nulla, che l’Unione Europea non riconoscerà l’indipendenza catalana e che il paese, procedendo per questa via, andrebbe a sbattere contro il diritto internazionale rischiando l’isolamento. Allo stesso tempo insistere sulla strada di un’indipendenza senza l’appoggio di un’ampia maggioranza di catalani (anche in queste elezioni, i voti indipendentisti rappresentano il 48% del totale), rischia di portare al conflitto sociale con conseguenze non facili da prevedere. Madrid e Barcellona sono corresponsabili di questa situazione, è quindi necessario che da entrambe le parti si faccia un passo indietro.
E adesso? Due strade per il futuro
Due strade sono ancora percorribili. Una è quella del referendum legale, promosso e riconosciuto da Madrid. Questo riporterebbe nell’alveo della legalità l’eventuale indipendenza catalana, disinnescherebbe gli opposti nazionalismi, riporterebbe il discorso sull’indipendenza a un confronto civile. L’altra è quella di una nuova Costituzione pienamente federale che riconosca la Catalogna (e le altre entità regionali) come stati nazionali all’interno di una cornice comune alla quale spetterebbero poche e selezionate materie – esteri, difesa – gestite da un governo federale. La seconda non esclude la prima. Entrambe le ipotesi poggiano su una premessa fondamentale: il compromesso.
Rajoy e Puigdemont devono fare un passo indietro, i toni da guerra civile vanno abbandonati, le ambizioni di parte sacrificate sull’altare del bene comune. Le costituzioni non sono testi sacri, non contengono l’infallibile parola di qualche divinità, ma sono il frutto di una negoziazione, di un compromesso, di un accordo. La Spagna è cambiata dal 1974 ad oggi, la crisi catalana è il sintomo di questo cambiamento. Ma la febbre non deve uccidere il corpo. La malattia della divisione, dell’identitarismo, del secessionismo può essere curata con la medicina del dialogo. Questo richiede volontà e doti politiche non comuni, ma una nuova Spagna è possibile.