Da mercoledì 13 novembre la Repubblica Ceca ha un nuovo governo. 52 giorni dopo le elezioni, il vincitore, Andrej Babiš, ha giurato di fronte al presidente della repubblica Miloš Zeman. Solo la settimana precedente il primo ministro Sobotka aveva rassegnato le dimissioni del suo governo.
Elezioni e altri mali
Le elezioni politiche tenutesi ad ottobre avevano decretato promossi e bocciati della precedente legislatura. Tra i promossi, proprio il partito di Babiš Azione per i cittadini insoddisfatti (ANO), che con il 29,6% dei voti ha ottenuto la maggioranza relativa, e il partito di estrema destra Libertà e democrazia diretta (SPD) del giapponese Okamura, che ha ottenuto un sorprendente 10,6%. Tra i bocciati senz’altro il partito socialista (CSSD) del premier uscente, che con il 7% ha ottenuto il peggiore risultato di sempre.
Babiš ha convinto gli elettori nonostante sia stato rimosso dal presidente della repubblica dal ruolo di ministro delle finanze del governo Sobotka, a seguito di accuse di evasione fiscale e conflitto d’interessi. In maggio, la mancanza di chiarimenti da parte dell’imprenditore boemo aveva aperto una crisi di governo durata settimane, ma gli elettori l’hanno comunque preferito al premier uscente.
Il governo Babiš
Il risultato non è stato netto. Infatti, con i voti ottenuti ANO ha conquistato 78 dei 200 seggi in Parlamento, cifra lontana dal consentirgli una maggioranza autonoma. Per settimane Babiš si è confrontato con gli altri partiti, ma nessuno di loro è stato disposto ad essere una forza minore all’interno di un governo guidato da ANO. Non era scontata neanche l’opposizione di SPD, che ha dichiarato di non voler in alcun modo sostenere il futuro esecutivo.
Il governo Babiš sarà di minoranza, e fin dall’inizio dovrà lottare per la sua sopravvivenza, dovendo sostenere il 4 gennaio il suo primo voto di fiducia in un Parlamento ostile. Unico aperto sostenitore di Babiš è il presidente Zeman, che dettosi aperto a riconfermare un secondo incarico di governo al leader di ANO in caso di mancata fiducia, dovrà a sua volta prepararsi per le nuove elezioni alla presidenza.
L’esecutivo è stato costituito da 14 ministri. 5 di questi hanno fatto parte del precedente governo, come il ministro della giustizia Robert Pelikán e il ministro dei trasporti Dan Ťok. Altri sono nuovi, come il ministro dell’educazione Robert Plaga, quella della cultura Ilja Šmid, quello dell’agricoltura Jiří Milek e quella dello sviluppo regionale Klara Dostálová. Tra le quattro donne scelte tra i ministri spicca Alena Schillerová, nuovo ministro delle finanze, rifiutata da Sobotka come sostituta di Babiš nel precedente governo in virtù della presunta complicità sulla lentezza nelle investigazioni sugli acquisti Agrofert.
Cosa aspettarsi
Per mesi Andrej Babiš è stato paragonato a Trump, la stampa tedesca ha suggerito che Berlusconi fosse un accostamento più efficace, mentre lui punta ad essere come l’ex sindaco di New York Michael Bloomberg. In comune con questi personaggi, il politico ceco ha un patrimonio tale da renderlo uno degli uomini più ricchi della Repubblica Ceca e una spiccata tendenza per il populismo.
Il politologo Sean Hanley avverte però che il populismo si riferisce a qualsiasi atteggiamento demagogico volto ad esaltare il popolo, ma può essere utilizzato per finalità diverse. Da quanto si legge nel suo libro, Babiš non è ideologico quanto tecnocratico, proiettato a riformare lo stato rendendolo più centralizzato e autorevole. Il leader di ANO è molto più interessato alle questioni di politica interna rispetto a quelle europee, e come confermato nella lettera indirizzata all’ambasciatore dell’UE a Praga, non ha alcuna intenzione di opporsi alle istituzioni europee. Quindi, piuttosto che allinearsi a Ungheria e Polonia, la Repubblica Ceca potrebbe affiancarsi alla Slovacchia adottando una linea europea più moderata.
Tutte queste restano per ora semplici ipotesi. Quello che sembra certo è che Andrej Babiš è emerso vincitore proprio in virtù del suo atteggiamento spregiudicato e pragmatico, e che la sua retorica assomiglia troppo a quella di tanti uomini politici prima di lui. La sua intolleranza per la mediazione l’ha lasciato senza alleati in un governo di minoranza. Queste caratteristiche non sono ottimali per la democrazia liberale, che si fonda proprio su contrattazione, scelte informate e potere condiviso.