BALCANI: Ratko Mladić condannato all’ergastolo, chiusa una pagina del passato?

Da BELGRADO – E’ stata una sentenza molto lunga, la cui lettura è durata oltre due ore, quella che passerà alla storia per aver condannato all’ergastolo, in primo grado, “il boia dei Balcani” Ratko Mladić. Al netto della lunga interruzione durante la lettura della sentenza, chiesta dall’imputato per potersi recare al bagno e successivamente per farsi misurare la pressione, è stata una giornata in cui la giustizia ha fatto il suo corso e che passerà alla storia per aver gettato le fondamenta per un futuro della regione in cui, si spera, i crimini contro l’umanità rappresentino ormai una pratica archiviata.

L’ex generale Ratko Mladić, per il quale nei mesi scorsi il governo di Belgrado aveva richiesto il rilascio temporaneo per motivi di salute, s’è visto comminare una condanna che di fatto non ha stupito nessuno. Ritenuto colpevole di dieci capi d’accusa, la sentenza lo ha condannato per i crimini di genocidio, crimini contro l’umanità e crimini di guerra, commessi a Srebrenica, dove nel luglio 1995 vennero sterminati oltre ottomila bosniaci musulmani, così come per altre fattispecie di pulizia etnica, nonché per aver terrorizzato la popolazione civile di Sarajevo durante l’assedio dal 1992 al 1995.

Le reazioni 

“Il mio invito ai cittadini della Serbia è di guardare adesso al futuro, per mantenere la pace e la stabilità nella regione”, ha dichiarato il presidente della repubblica Aleksandar Vučić, riferendosi poi agli obiettivi della politica per il futuro della Serbia. A parlare, dunque, è un Vučić diverso da quello che proprio nel corso delle mattanze bosniache divenne celebre per aver promesso di rivendicare ogni singola vita serba uccidendo cento musulmani. Difficile dire se quello dell’ex compagno di partito del radicale Šešelj – anch’egli passato per l’Aja, se pur con un’assoluzione – sia un atteggiamento di convenienza o una dimostrazione di reale cambiamento.

Quello che è certo invece è la soddisfazione delle associazioni delle vittime presenti al tribunale per assistere allo storico verdetto. Ad esaltare il valore storico della sentenza per le vittime, nelle dichiarazioni rilasciate nella conferenza stampa, è lo stesso procuratore del Tribunale Penale Internazionale per l’ex-Jugoslavia, Serge Brammertz: “Oggi le famiglie delle vittime sanno chi è colpevole delle loro sofferenze”. Il procuratore ha poi sottolineato che questa è una sentenza contro una singola persona e non contro il popolo serbo; e che essa inoltre smentisce quanti sostengono che Mladić sia un eroe che ha difeso il suo popolo.

Della stessa opinione sono i membri dell’organizzazione non governativa di Belgrado “Youth Initiative for Human Rights”, che da sempre si batte per condannare i criminali delle guerre jugoslave e per un futuro basato sulla riconciliazione. A pochi minuti dal verdetto, questi giovani belgradesi hanno espresso di fronte al parlamento serbo un messaggio tanto semplice quanto chiaro: “non sono nostri eroi”.

Uscire dalla logica della compensazione

Già, perché le sentenze aiutano a ricostruire i fatti del passato, ma non le sue interpretazioni. E sono proprie le divergenti interpretazioni a costituire l’unico ostacolo per un futuro della regione che sappia ripartire dalla riconciliazione. I sostenitori del “Mladić eroe” non hanno altra argomentazione che non si rifaccia alla condanna di un “tribunale politicizzato”, nonché ai crimini degli altri. Si tratta di una sorta di “benaltrismo balcanico”, per cui un criminale scagiona un altroCome se la guerra fosse una partita di calcio e i generali degli opposti eserciti i capitani che guidano la squadra alla vittoria, mentre i nazionalisti ricordano tanto gli hooligan che si nascondono in mezzo al pubblico, ovvero il popolo. Ed è così, in questa interpretazione della storia e della guerra secondo la logica di compensazione per i crimini altrui, che l’ergastolo a Mladić non ha alcun valore se invece Naser Orić, “capitano” dei bosgnacchi, è in libertà.

In altre parole, il motivo per cui per alcuni Mladić è un eroe è rintracciabile nelle sentenze di assoluzione degli imputati degli altri gruppi nazionali. La difesa di Mladić diventa così la difesa della Serbia e dei serbo-bosniaci; così come una sua condanna è vissuta dai nazionalisti come una condanna del popolo serbo. A tal proposito, ci si chiede come sia possibile che qualcuno possa sentirsi rappresentato da Ratko Mladić, contro il quale esistono pagine intere di testimonianze di raccapriccianti violenze contro civili inermi. Una violenza del tutto simile a quel nazi-fascismo che i patrioti serbi invece sconfissero sul campo durante la Seconda guerra mondiale.

Mentre si attenderà per i successivi gradi di giudizio della corte, questa sentenza, come le altre, sembra che possa affossare ulteriormente il processo di riconciliazione, ma questo non può più esulare da una responsabilizzazione a livello collettivo. Perché i criminali non meritano di rappresentare bandiere nazionali, mentre tutti dovrebbero piangere tutte le vittime, a prescindere dalle diverse appartenze.

Come dichiarato anche dalla vicepremier serba Zorana Mihajlović, è ora che i nazionalisti serbi, croati e bosgnacchi se ne vadano insieme nel passato e che le nuove generazioni costruiscano insieme nuove forme di collaborazione.

Foto: Anadolija Balkan

Chi è Giorgio Fruscione

Giorgio Fruscione è Research Fellow e publications editor presso ISPI. Ha collaborato con EastWest, Balkan Insight, Il Venerdì di Repubblica, Domani, il Tascabile occupandosi di Balcani, dove ha vissuto per anni lavorando come giornalista freelance. È tra gli autori di “Capire i Balcani occidentali” (Bottega Errante Editore, 2021) e ha firmato due studi, “Pandemic in the Balkans” e “The Balkans. Old, new instabilities”, pubblicati per ISPI. È presidente dell’Associazione Most-East Journal.

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