Durante tutto il corso dell’Ottocento e fino al 1917, la Georgia fu parte dell’Impero zarista. Come per gli altri territori dell’Impero, la Rivoluzione d’Ottobre rappresentò un avvenimento cruciale per la storia georgiana; per il paese caucasico però, questo evento non coincise con l’inizio del potere bolscevico, come lo fu per la Russia, ma rappresentò il primo passo verso una tanto attesa quanto effimera indipendenza. I bolscevichi arrivarono al potere solo a distanza di qualche anno dalla Rivoluzione, in seguito all’invasione del paese da parte dell’Armata Rossa. Successivamente la Georgia venne integrata – tra il 1922 e il 1936 – nella Repubblica Socialista Federativa Sovietica Transcaucasica (RSFST), assieme ad Armenia e Azerbaijan, per poi diventare a sua volta una repubblica costituente l’URSS. L’inclusione della Georgia tra le repubbliche socialiste sovietiche avrebbe avuto importanti implicazioni sull’apparato politico georgiano, così come sull’assetto culturale e religioso del paese.
A trionfare è la bandiera rossa dei menscevichi
Facciamo un passo indietro: come nacque la Repubblica georgiana? Subito dopo la Rivoluzione, nei territori dell’ex Impero ebbero luogo le elezioni dell’Assemblea constituente panrussa che – in un contesto segnato dalla guerra civile – si conclusero con una netta vittoria dei socialisti rivoluzionari. Questi ultimi si affermarono a spese dei bolscevichi, mentre i menscevichi (o social-democratici) a livello nazionale ottennero solo il 2,6% dei consensi. Trovarono però nella Georgia una vera e propria roccaforte, raggiungendo il 75% dei voti. Quando l’Assemblea venne sciolta, gli esponenti del partito menscevico georgiano abbandonarono Mosca e tornarono in patria. Inizialmente adottarono un approccio cauto e circospetto in relazione alla scissione da Mosca, in nome di un cosmopolitismo marxista ostile a divisioni e separatismi. Eppure, nell’aprile 1918 gli stessi menscevichi dichiararono l’indipendenza, rifiutando i termini del Trattato di Brest-Litovsk con il quale la Russia si arrese agli Imperi centrali, costituendo prima la RFD Transcaucasica, e poi, il 26 maggio, proclamando la nascita della Repubblica Democratica di Georgia. Questi eventi si inseriscono nel complesso quadro dell’Ottobre rosso e delle sue implicazioni nel Caucaso. La Rivoluzione venne vissuta come una “tragedia” – come afferma Natalie Sabanadze in “Globalization and Nationalism” (2010) – dai menscevichi georgiani, che in quell’occasione non poterono che schierarsi al fianco del menscevismo russo.
Alle elezioni parlamentari georgiane del 1919, dalle quali i bolscevichi vennero banditi, il Partito social-democratico georgiano si riaffermò alla guida del paese, ottenendo più dell’80% dei consensi. Come sottolinea Sabanadze, le elezioni del 1919 furono la conferma che “I Marxisti georgiani, successivamente noti come social-democratici, emersero come la maggiore forza politica destinata a condurre il paese fuori dall’Impero zarista nella prima – e di breve durata – Repubblica georgiana”. (N. Sabanadze, 2010)
I bolscevichi prendono il potere
L’indipendenza georgiana era però destinata ad avere vita breve: nel 1920, attraverso il Trattato di Mosca, la Russia riconobbe la Georgia, ottenendo però da quest’ultima il riconoscimento della sezione locale del partito comunista (bolscevico), fino a quel momento considerato fuorilegge. Non appena liberati dalle carceri nelle quali erano stati confinati, i bolscevichi georgiani si riorganizzarono, iniziando a fomentare una ribellione interna contro il governo menscevico, facendo il gioco di quanti al Cremlino sostenevano la necessità di sovietizzare il paese caucasico. Tra costoro vi erano Stalin e Ordzhonikidze, entrambi georgiani, che nel 1921 concordarono con Lenin un attacco al potere menscevico, a dispetto del parere contrario di Trotsky e nonostante lo stesso Lenin fosse sempre stato a favore del diritto dei popoli all’autodeterminazione.
Nel 1921, forte del consenso di Lenin e del sostegno turco, l’Armata Rossa iniziò l’avanzata verso la Georgia – motivata successivamente come una reazione alla repressione condotta dal governo ai danni dei bolscevichi georgiani. Dopo la presa di Tbilisi, avvenuta alla fine di febbraio, l’Armata Rossa inizò l’avanzata su Batumi, ultima città georgiana a cadere nelle mani dei bolscevichi.
Una Rivoluzione politica e culturale
È proprio a partire dall’invasione sovietica, avvenuta a poco più di tre anni di distanza dalla Rivoluzione d’Ottobre, che in Georgia si verificò quella che può essere considerata una vera e propria rivoluzione politica e culturale. Il Partito Comunista Georgiano assunse la guida del paese, i partiti distanti dall’ideologia marxista-leninista vennero soppressi e gli oppositori esiliati. Le banche, le ferrovie, la flotta passarono sotto il controllo del governo, e la proprietà privata venne formalmente abolita, nell’ambito di un processo che colpì soprattutto la nobiltà locale. La Rivoluzione ebbe inoltre una forte influenza sull’assetto culturale della Georgia, che vide la radicale imposizione dell’ateismo di stato e la distruzione di oltre 1500 chiese nel solo biennio 1922-1923. Gli organi comunisti georgiani seppero prevenire le azioni controrivoluzionarie che sorsero nel corso degli anni, segnatamente nel 1924, quando un esteso movimento di ribellione antisovietica venne localizzato e represso nel sangue.
La Georgia divenne in breve l’oggetto di un rapido processo di collettivizzazione delle terre. L’agricoltura locale, in greco gheorghìa, da cui la nazione deriva la sua denominazione più diffusa nel mondo, venne così asservita agli obiettivi quinquennali di Mosca. Ebbe inizio un periodo di industrializzazione all’insegna della costruzione di fabbriche, dell’apertura di miniere di carbone e manganese, mentre il disboscamento e la predilezione per le monocolture causavano però un progressivo impoverimento della sfaccettata agricoltura georgiana.
Nel 1991, nell’ambito del processo di disgregazione dell’URSS, il Partito Comunista Georgiano venne dissolto e al suo posto nacque uno schieramento analogo ma post-sovietico, che aveva perso gran parte della propria preminenza in una Georgia nuovamente assurta a stato indipendente. Come nel resto del mondo, iniziò anche per Tbilisi un’epoca di “fine della Storia” alla Fukuyama, un’epoca diversa, all’insegna dell’uscita dal periodo sovietico, della costruzione di un apparato istituzionale indipendente e della sostituzione della “logica dei blocchi” con nuovi meccanismi.
A cent’anni dalla Rivoluzione
A un secolo dall’Ottobre Rosso, l’odierno Partito Comunista Georgiano ha stabilito un calendario di eventi volti a celebrare, assieme al Partito Comunista Russo, il centenario della Rivoluzione. Ad aprile la Pirveli Information Agency riportava gli inviti ufficiali rivolti da Mosca a una delegazione georgiana, a cui è stato chiesto di partecipare alla commemorazione ufficiale a San Pietroburgo e nella capitale. Alle celebrazioni in Russia, però, si sono aggiunte quelle in patria: il 7 novembre si è tenuto un corteo a Gori e una tavola rotonda a Tbilisi, con l’obiettivo di rievocare il passato e di rafforzare i legami con la Russia del presente.
Una parte dei georgiani rimpiange il passato sovietico, ma altri non sono d’accordo. Infatti, se durante le commemorazioni locali sono comparsi striscioni come “Sotto Stalin, insieme alla Russia!”, la maggior parte dei georgiani è orgogliosa dell’indipendenza. La nazione è percepita da molti georgiani come un paese in crescita, destinato ad accostarsi all’Unione Europea piuttosto che a riavvicinarsi a Mosca: a cent’anni dalla Rivoluzione, gli animi sono divisi. Tanto sulla commemorazione del passato quanto sula delinezione del futuro.