di Salvatore Greco
L’11 novembre in Polonia si celebra la festa nazionale dell’indipendenza, anniversario di quel giorno del 1918 in cui, a seguito dello sfaldamento degli imperi centrali durante la Grande Guerra e dell’opera politica e militare del maresciallo Piłsudski, la Polonia tornò sulle carte geografiche per la prima volta dal 1795. In Polonia, tra le celebrazioni laiche, questa è quella più sentita, molto più di quella del 3 maggio o dell’anniversario dell’inizio del Powstanie Warszawskie il primo d’agosto – evento molto partecipato ma inevitabilmente legato alla capitale più che a tutto il Paese.
La festa dell’indipendenza, invece, è il giorno in cui tutti i polacchi mostrano la gioia per la patria riunificata e il proprio orgoglio nazionale, una caratteristica culturale estremamente radicata che agli occhi di un osservatore italiano –per tradizione poco abituato al patriottismo- può risultare ingenua, quasi folkloristica se non addirittura retaggio esclusivo del più becero nazionalismo. A onor del vero, la cronaca degli ultimi anni non ha certo disincentivato una lettura di questo genere. Abbiamo assistito da spettatori alla crescita del nazionalismo polacco più violento e nutrito di parole d’ordine xenofobe, mostrato al mondo dalle curve calcistiche, dall’eurodeputato Janusz Korwin-Mikke e in parte anche da alcuni esponenti dell’attuale governo monocolore PiS.
La crescita di questi movimenti ha tuttavia creato anche i suoi stessi anticorpi, sotto forma di una società civile fortemente contraria a farsi rappresentare, in Polonia e nel mondo, da questa raffigurazione. Così, alla ormai consueta Marsz Niepodległości, organizzata da varie anime dell’ultra-destra polacca, si sono aggiunte a Varsavia altre due grosse manifestazioni volute rispettivamente dal KOD (maggiori dettagli in seguito) e dal partito di sinistra Razem (maggiori dettagli in seguito) che hanno fatto propria l’intenzione di dimostrare come lo spirito nazionale non è patrimonio esclusivo della destra e come si possa dirsi orgogliosamente polacchi pur senza condividere uno spirito belligerante, purista e allergico alla modernità e alla diversità in ogni sua forma. Abituato come ero (e sono) a leggere, in rete, gli attacchi dei nazionalisti contro la sinistra e il mondo liberale, colpevoli di non sentirsi abbastanza polacchi, ho deciso di partecipare a entrambe le manifestazioni alternative per capire qualcosa in più e raccontare una Polonia meno visibile, soprattutto agli occhi dei media generalisti innamorati del paragone Kaczyński-Orban e di un nazionalismo di destra capillare e inarrestabile.
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