di Marco Di Blas e Matteo Zola
Il quattro luglio scorso è morto Otto von Hasburg, primogenito di Carlo, colui che nel 1916 – in piena Guerra mondiale – fu chiamato a governare l’impero alla morte di “Cecco Beppe”, quel Francesco Giuseppe imperatore d’Austria, re d’Ungheria e re del Lombardo-Veneto, noto anche per la foggia dei suoi mustacchi. Carlo rimase sul trono appena due anni, in seguito alla sconfitta asburgica se ne andò in esilio nell’isola portoghese di Madeira dove morì 35enne. Il figlio di Carlo, Otto, fu testimone della catastrofe del suo casato e della tragedia europea della Seconda guerra mondiale. Scomparso dalla storia, Otto riapparve nel secondo dopoguerra diventando una delle figure di riferimento del paneuropeismo.
Marco Di Blas, giornalista del Piccolo di Trieste, lo ricorda così nel suo blog Austria vicina: ” Nella commissione esteri dell’Europarlamento Otto d’Asburgo si impegnò a fondo per i Paesi al di là della cortina di ferro. Si battè per l’autodeterminazione dei popoli, per i diritti delle minoranze, per un rapido allargamento a Est dell’Ue dopo la caduta del muro di Berlino. Era indubbiamente un conservatore, rigorosissimo sul piano morale e nell’educazione dei suoi sette figli (2 maschi e 5 femmine), tutti mandati alle scuole pubbliche della zona (altroché educandati svizzeri!), cattolico fino al midollo. Reazionario, sotto certi versi, ma anche capace di guardare oltre l’orizzonte e di leggere prima degli altri il cammino della storia. Fu lui a credere in una riunificazione europea quando nessuno ci credeva e tutti lo prendevano per matto. E fu lui a farsi promotore nel 1989 dei cosiddetti Paneuropäischen Picknicks al confine tra Austria e Ungheria, attraversato allora da centinaia di cittadini della Germania dell’Est, mentre le guardie magiare facevano finta di non vedere”.
L’attenzione verso quella parte d’Europa soffocata dietro la cortina di ferro, l’idea dell’unità del vecchio continente, certo gli provenivano dal fatto di essere l’ultimo erede di un impero multinazionale, quello austro-ungarico, che da Leopoli passava per Cracovia, Budapest, Brasov, Praga, Bratislava, Zagabria, Lubiana, Vienna, Sarajevo, Dubrovnik, Kotor, Trieste, unendo popoli delle cinque religioni europee (cattolici, protestanti, ortodossi, ebrei e musulmani) e raccogliendo ben undici nazionalità, dai polacchi agli italiani. E’ sufficiente fare un giro nell’Europa che noi oggi chiamiamo centro-orientale per renderso conto della straordinaria somiglianza di questi luoghi: nell’architettura e nell’urbanistica, prima di tutto, ma anche nella cultura.
Poi vennero i nazionalismi, e le legittime aspirazioni di indipendenza dei popoli che contribuirono alla disgregazione dell’Impero. Anche da questo Otto ha forse appreso che le istanze di autonomia non vanno soffocate e si è sempre schierato in difesa dell’autodeterminazione dei popoli.
E’ morto a 98 anni, attraversando il secolo più buio, e contribuendo a riportare l’Europa all’unità perduta nelle due guerre civili, prima e seconda guerra mondiale.
Scrive ancora Di Blas: ” Non gli fu concesso di rimettere piede in patria, neppure dopo che nel 1961 ebbe rinunciato alle pretese al trono. Soltanto nel 1966, dopo lunghe controversie davanti alla Corte costituzionale e al Consiglio di Stato, potè far visita per la prima volta al Tirolo. Nonostante questo rapporto di odio-amore nei suoi confronti dell’Austria repubblicana, anche lui, come la madre Zita, ultima imperatrice, riceverà gli onori del funerale di Stato, con rito solenne nel duomo di Santo Stefano e tumulazione nella cripta dei Cappuccini, dove sono sepolti tutti gli Asburgo degli ultimi quattro secoli. Resterà per tutti Otto von Hasburg-Lothringen, ultimo erede al trono d’Austria e Ungheria.”
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