La prestigiosa European University di San Pietroburgo (EUSP), aperta nel 1994, chiude definitivamente i battenti: da marzo la licenza è stata revocata e i nuovi sopralluoghi all’edificio richiesti per il rinnovo dei permessi hanno dato a fine settembre esiti negativi. L’istituzione fa sapere che il 10% degli studenti ha già cambiato università, mentre gli altri sono comunque impossibilitati a proseguire gli studi presso quello che ora, da polo universitario, è stato ufficialmente registrato solo come Istituto di Ricerca Scientifica (Naučno-issledovatel’skij institut, NII).
La revoca della licenza
La revoca giunta a marzo sarebbe l’esito delle critiche presentate dal deputato ultraconservatore della Duma Vitalij Milonov che aveva affermato di aver raccolto a sua volta le lamentele da alcuni studenti della European University: oggetto del malcontento sarebbe stata la tematica delle minoranze sessuali, dei diritti LGBT e i gender studies, che il politico ha definito “fake studies, disgustosi, da rendere illegali”.
Motivazione che nasconde comunque insofferenze più profonde ed esistenti già da tempo da parte dell’establishment russo verso questa istituzione “europea”. Nel 2007, ad esempio, un progetto della Commissione europea (700.000 euro di fondi) inerente al monitoraggio elettorale scatenò forti reazioni che sfociarono in una revoca della licenza per l’istituzione, poi ristabilita l’anno successivo. Anche allora la motivazione accampata per la revoca fu indiretta: una mancata prova anti-incendio.
Nel frattempo, in gennaio, la European University è anche stata sfrattata: la municipalità di Pietroburgo ha invitato l’istituzione a lasciare la villa Kušelev-Bezborodko sul lungofiume in via Gagarin 3 entro il 10 ottobre.
I nuovi sopralluoghi. Come la CEU?
A differenza della CEU di Budapest, vittima di una legge approvata in primavera, il motivo dell’esito negativo degli ultimi sopralluoghi e della conferma quindi della revoca della licenza sembra essere apparentemente di natura più locale: la nuova sede individuata dopo lo sfratto (adiacente alla precedente) non sarebbe predisposta per studenti con disabilità; inoltre mancherebbero le strumentazioni necessarie per gli insegnamenti di storia, antropologia e filosofia.
I paralleli tra la European University e la CEU di Budapest, come osserva Michail Krom, professore di storia dell’università pietroburghese, esistono ma con le dovute proporzioni: “Le stesse forze nazionaliste e populiste sono in azione in entrambi i paesi, tuttavia le somiglianze si fermano qui. La CEU può, ad esempio, a differenza di noi, beneficiare delle pressioni dall’UE”.
Due decenni di licenze minacciate
L’istituzione, sovvenzionata tramite endowment – motivo di orgoglio dell’Università – è completamente indipendente ed autonoma rispetto all’establishment governativo russo ed è (o meglio, ormai, era) tra le poche università non-statali russe riconosciute dal Ministero dell’Istruzione. Con un modico gruppo di personale altamente qualificato e studenti selezionati (circa 260) la European University poteva decisamente essere un motivo di orgoglio per il mondo accademico russo.
Tra le organizzazioni internazionali che sostengono la European University c’è la Open Society Foundation (OSF) di George Soros (principale finanziatore anche della CEU). Stando alle affermazioni della portavoce di OSF, Anna Kowalczyk, tra 1996 e il 2015 l’istituzione ha ricevuto 27 milioni di dollari dalla ONG del magnate ungherese, che dal 2015 è considerata “agente straniero” in Russia.
Il sociologo Grigorij Judin, in una lettera aperta pubblicata da meduza.io, sostiene che la Russia “non vuole evidentemente vedere i propri studiosi tra i migliori al mondo”, ma vuole essere “un paese di serie B”; “l’attacco alla European University è segnale che il governo vede nell’università solo un’organizzazione burocratica, nei professori degli impiegati utili solamente ad occupare ore di insegnamento e negli studenti una massa passiva, indifferente a ciò che viene loro insegnato”.
Il rettore designato Vachtin, che ha preso a luglio il posto di Charkordin dopo che quest’ultimo non è riuscito a riottenere la licenza e si è dimesso, sostiene che la burocratizzazione dell’istruzione in Russia ha raggiunto livelli senza precedenti: “le università hanno perso libertà non tanto sotto pressione ideologica, ma per la semplice ragione che letteralmente ogni lezione è tenuta a seguire standard federali”.