Una cattedrale cattolica appena consacrata, una chiesa ortodossa mai finita, una moschea da costruire: Pristina è recentemente segnata da un intenso dibattito riguardante gli edifici religiosi della città. Un tema quanto mai importante per un paese, il Kosovo, che negli ultimi anni sta cercando di presentarsi sulla scena internazionale come luogo di convivenza e tolleranza religiosa. L’obiettivo è quello di lasciarsi alle spalle le distruzioni degli edifici religiosi verificatesi negli anni della guerra del 1998-99 e delle violenze del 2004, e di smentire l’immagine di un paese caratterizzato dalla crescita dell’integralismo islamico. La capitale rappresenta la vetrina di questo progetto, ma non mancano problematiche e diverse posizioni all’interno della società civile cittadina.
La cattedrale
Il 5 settembre Pristina ha celebrato la consacrazione della nuova cattedrale, intitolata a Madre Teresa di Calcutta. La missionaria cattolica nata a Skopje da famiglia albanese, proclamata santa dal Papa un anno fa, è un simbolo per tutti gli albanesi, fonte di orgoglio che va oltre l’appartenenza religiosa. La costruzione dell’enorme edificio, tra le più grandi cattedrali dei Balcani, era iniziata nel 2007. Dopo dieci anni di lavori l’edificio è oggi pienamente funzionante, anche se sono ancora in corso alcuni interventi.
Alla cerimonia erano presenti tutti i leader politici del Kosovo, vogliosi di mostrare al mondo la tolleranza religiosa vigente nel paese. La cattedrale, di fatto, è soprattutto un simbolo: nella pratica, il numero di cattolici nella città si aggira intorno al migliaio di persone, che, fino ad oggi, si riunivano nella piccola chiesa cittadina. La costruzione di un edificio così imponente non è stata esente da polemiche. Diverse critiche sono arrivate dalla comunità islamica, mentre molti cittadini vedono nella cattedrale un edificio dalla valenza meramente politica, certo non una priorità. A conferma di ciò, in passato sono comparse numerose scritte contro la cattedrale sui muri della città.
La nuova moschea
Le voci critiche riguardanti la cattedrale di Santa Madre Teresa si sono rafforzate a causa dei ritardi che stanno caratterizzando la costruzione della nuova moschea. Da anni la comunità islamica del Kosovo sollecita le autorità locali sulla necessità di una nuova moschea, dato che le 24 presenti in città (41 in tutta la municipalità) non sarebbero sufficienti per i quasi 200.000 fedeli musulmani che vivono a Pristina. È stato lanciato un bando internazionale e ben 81 progetti sono stati presentati. Ne sono stati selezionati tre, poi sottoposti all’assemblea comunale, ed è stata scelta la collocazione, nel quartiere Dardania. Anche qui, però, non sono mancate le polemiche.
Sotto accusa è soprattutto la mole della costruzione, che renderebbe la nuova moschea la più grande del paese, e il suo stile, dato che non tutti hanno gradito il richiamo all’architettura neo-ottomana previsto dal progetto. Alcune ONG locali hanno poi chiesto chiarezza sulle coperture finanziarie: la moschea dovrebbe essere finanziata dalla comunità islamica turca (come molti altri edifici nel paese), con un investimento da 40 milioni di euro. Nonostante il sindaco Shpend Ahmeti, appartenente al movimento nazionalista di sinistra Vetëvendosje, abbia rassicurato che la moschea si farà, l’assemblea non ha ancora deliberato, facendo infuriare la comunità islamica.
La scorsa estate sono inoltre comparse sui muri dell’università minacce di morte rivolte al sindaco Ahmeti, al leader del suo partito Albin Kurti, al presidente della repubblica Hashim Thaçi, e all’imam di Pristina. Il tutto condito con un messaggio chiaro: “non ci sarà nessuna moschea turca a Dardania”. Le scritte dimostrano un malcontento, presente soprattutto tra i giovani, verso il crescente peso della religione islamica e dell’influenza turca in Kosovo. Un malcontento che, come dimostrano le minacce a Kurti e Ahmeti, investe anche Vetëvendosje, che negli ultimi anni ha assunto posizioni piuttosto ambigue rispetto all’islam radicale.
La chiesa ortodossa
La situazione più calda e delicata riguarda sicuramente la chiesa ortodossa di Cristo Salvatore, situata all’interno del campus universitario. Voluta dal regime di Slobodan Milošević negli anni ’90, la sua costruzione è stata interrotta allo scoppio della guerra. Così, l’imponente chiesa rimane da anni uno scheletro vuoto e abbandonato. Mentre i vertici della Chiesa ortodossa serba la vorrebbero completata e aperta ai fedeli, molti leader politici kosovari e studenti dell’università ne chiedono l’abbattimento, a causa dell’inevitabile associazione con il periodo dell’oppressione serba. Viene inoltre messa in dubbio la sua utilità, dato che ormai la comunità serba a Pristina è ridotta a poche centinaia di persone, per le quali è disponibile un’altra chiesa ortodossa, ristrutturata dopo esser stata attaccata dai nazionalisti albanesi nel 2004.
Nonostante rappresenti un simbolo negativo per i cittadini di Pristina, le autorità sanno bene che la distruzione di una chiesa consacrata, per quanto incompleta, avrebbe un impatto molto forte all’estero, e certo contribuirebbe ad infiammare il rapporto con la Serbia. La sua apertura, d’altro canto, sarebbe un messaggio importante, ma non mancherebbero manifestazioni di protesta. La soluzione attendista sembra quindi la più comoda per tutti.
I simboli e le sfide
Le problematiche che si nascondono dietro a questi edifici ben rappresentano il peso che i simboli religiosi, spesso associati a simboli nazionali, hanno in Kosovo e nei Balcani. La questione risponde alla più ampia tematica dei rapporti tra comunità religiose e nazionali presenti nel paese e a quella del crescente peso della religione islamica in una società tradizionalmente laica ed abituata alla compresenza di più fedi. La capacità della leadership politica locale di affrontare queste questioni sarà un ulteriore banco di prova per il Kosovo e per le sue aspirazioni sullo scenario internazionale.
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