Le forze armate di Russia e Bielorussia hanno recentemente condotto Zapad 2017, esercitazione militare di respiro strategico che ha interessato principalmente l’area tra Kaliningrad e la stessa Bielorussia.
Come prospettato, le ansie da invasione di Repubbliche baltiche, Ucraina e Polonia non hanno trovato riscontro pratico. Per il sistema russo sarebbe stato impossibile sopportare un’altra operazione bellica reale, dati i costi politici, economici e sociali che essa avrebbe implicato. Così, a questo giro, la sovranità e l’integrità territoriale di tutti sono state rispettate.
Alcuni osservatori hanno ipotizzato la permanenza in territorio bielorusso di parte del contingente russo impiegato nell’esercitazione. Prove certe, tuttavia, non ve ne sono e vale la pena di ricordare che unità russe già permangono in Bielorussia con il beneplacito di Minsk, sulla base di accordi bilaterali e multilaterali (nel quadro del CSTO).
Fugato lo spettro di un nuovo conflitto lungo la faglia Est-Ovest, può risultare utile riflettere sul contenuto e le modalità di svolgimento delle operazioni di Zapad 2017. In quanto progettata a partire dalle aspettative moscovite riguardo ai possibili conflitti che potrebbero coinvolgere il distretto militare occidentale, l’esercitazione può dirci molto sia sulle ansie della Federazione, sia su come essa intenderebbe porvi rimedio manu militari.
Lo scenario ideale ed il panorama cognitivo dell’élite russa
Il contesto di Zapad era quello di un’infiltrazione di “gruppi estremisti” a Kaliningrad e nei territori a Nord-Ovest della Bielorussia, col fine destabilizzare lo Stato Unitario tramite “una serie di attacchi terroristici”. Le forze nemiche, inoltre, ricevevano supporto esterno in forma di mezzi militari ed assistenza logistica tramite ponti aerei e navali.
Non ci si lasci però fuorviare dall’etichetta di “gruppi estremisti”. Nel linguaggio russo “terroristi” e termini affini sono utilizzati con un significato ben più ampio di quello da noi inteso correntemente. Essi indicano infatti qualsiasi formazione (armata) che attenti allo status quo, dai rivoltosi scesi in piazza agli attentatori jihadisti, dai gruppi paramilitari alle unità regolari di un esercito straniero. L’accezione lasca del termine è dovuta a due possibili motivi, l’uno utilitaristico e l’altro per così dire cognitivo.
Il primo risulta palese quando si nota che le operazioni di Zapad erano tali da dover essere indirizzate contro un nemico tecnologicamente avanzato e dotato di hardware militare pari o superiore a quello della Russia. Trattasi dunque non di estremisti politici, religiosi o che altro, né tantomeno di un contingente del sedicente Stato Islamico, quanto piuttosto di “terroristi occidentali” – leggi: NATO. Tuttavia, dichiarare nei comunicati stampa che lo scopo dell’esercitazione fosse preparasi all’eventualità di uno scontro con l’Occidente avrebbe sollevato isterismi ben maggiori di quanto già non sia stato. Meglio quindi usare la categoria onnicomprensiva di estremisti, lasciando il resto ad intuito ed immaginazione.
In secondo luogo, l’ampiezza di significato è da legarsi al rifiuto culturale e socio-cognitivo del comparto strategico russo di concepire rivolte spontanee. Come ha osservato la professoressa Mette Skak, l’ossessione russa per la stabilità ed il controllo si traduce nell’incapacità di ammettere moti spontanei alla base di episodi di contestazione e rovesciamento di regimi precostituiti; al contrario, alle loro spalle vi sarebbe necessariamente una forza esterna, interessata alla destabilizzazione. Ecco dunque che estremismo autoctono ed intervento straniero si confondono, al pari di atti terroristici in senso classico ed invasioni militari. Tutti sono accomunati da un unico fine.
Le operazioni condotte e lo stile bellico di Mosca
All’interno di questo quadro di riferimento, le operazioni condotte durante Zapad 2017 si sono caratterizzate innanzitutto per un forte accento sull’interoperabilità tra le forze di Mosca e Minsk ed il perfezionamento del sistema di comando e controllo (C2).
L’esercitazione è stata poi divisa in due parti. Durante la prima, della durata di tre giorni (14-16 settembre), il comando congiunto russo-bielorusso si è dedicato alla pianificazione di operazioni per il riconoscimento, sabotaggio ed isolamento dei gruppi estremisti, all’approntamento di forze e difese aeree a protezione di obiettivi sensibili e all’organizzazione del supporto logistico necessario. Nella seconda fase (17-20 settembre) hanno preso luogo operazioni militari su ampia scala in diversi contesti, finalizzate a respingere l’aggressione ai danni dello Stato Unitario.
Dal punto di vista tattico si sono praticante manovre di infiltrazione ed esfiltrazione, bombardamenti di supporto alle truppe di terra, intercettazioni dei rifornimenti aerei nemici, operazioni speciali, blocchi navali ed operazioni anfibie, così come attività anti-terrorismo propriamente definite coinvolgenti i servizi di sicurezza interna e protezione civile (tra gli altri, FSB, Rosguard ed altro personale di Ministero dell’Interno ed EMERCOM).
Nel complesso, tutto si è svolto in linea sia con le precedenti edizioni di Zapad, sia con le altre esercitazioni distrettuali russe. Ciò conferma la continuità del pensiero militare di Mosca almeno durante l’ultima decade, basato su ampie manovre strategiche, massificazione, operazioni in profondità e, soprattutto, uno sguardo olistico all’impiego della forza – che contempla l’utilizzo di tutte le formazioni di potere a disposizione dello Stato, congiuntamente, per contribuire allo sforzo bellico.
L’autore intende ringraziare l’Institute of International Relations di Praga, dove ha svolto ricerca su questo ed altri temi della politica estera e di sicurezza russa durante l’estate 2017.