La frattura tra est e ovest, in Germania, continua ad essere presente, per quanto all’estero non sia sempre visibile. Se ne parla ogni anno, in occasione dell’anniversario della caduta del muro, se n’è parlato quando è morto Helmut Kohl e se ne parla anche ora, mentre si analizzano i risultati delle ultime elezioni. Il partito Alternativa per la Germania (Alternative für Deutschland – AfD) ha vinto ben 94 seggi al parlamento, ottenendo il 12,6% dei voti, un risultato sorprendente su scala nazionale. Ancora una volta, tuttavia, è l’est a far parlare di sé: nei cosiddetti nuovi Bundesländer il partito ha ricevuto più del 20% dei voti – con picchi del 40% – ed è primo partito in Sassonia (27%) e in una grande città come Dresda, già roccaforte del movimento “anti-islamizzazione” PEGIDA. Perché a est l’insoddisfazione verso i partiti tradizionali è così alta? E perché, per usare le parole del politologo olandese Cas Mudde, l’AfD è diventato il partito catalizzatore di una cosiddetta “frustrazione orientale”?
Le origini: disillusione e deprivazione
Il quotidiano Frankfurter Allgemeiner Zeitung, cercando di spiegare l’enorme successo dell’AfD nell’est della Sassonia, descrive i suoi abitanti come i grandi delusi della trasformazione: da una parte l’unificazione tedesca e l’approdo delle riforme neoliberiste nella regione, dall’altra l’allargamento verso est dell’Unione Europea e la concorrenza delle vicine Polonia e Repubblica Ceca e dei loro prezzi più competitivi. Quest’area della Sassonia non è nuova a risultati sorprendenti, per non dire scioccanti: la stessa zona dove oggi l’AfD ha ricevuto fino al 40% dei voti, negli anni novanta e duemila venne nominata “la roccaforte del NPD”, il partito neonazista che qui raggiunse picchi del 25%.
Il successo dell’AfD e di movimenti come Pegida oggi, così come quello del NPD ieri, mostrano qualcosa di profondo: in una buona parte della popolazione a est ci sono ferite aperte, scaturite dal periodo della riunificazione, un persistente malcontento verso il sistema attuale e presumibilmente una paura di un nuovo cambiamento portato dall’inserimento dei migranti nella società.
Spesso queste tendenze hanno origine in problemi sociali coltivati per anni; sono, infatti, il risultato di un processo di disintegrazione, esclusione sociale, sentimenti di deprivazione e in alcuni casi trauma culturale, tutti elementi facilmente strumentalizzabili da populisti ed estremisti.
La riunificazione della Germania e la conseguente radicale trasformazione della parte orientale, portata avanti a colpi di de-industralizzazione, ha significato per molti cittadini un totale mutamento delle proprie condizioni di vita. Alla fine delle certezze, segnato dal forzato adeguamento al modello occidentale, si è accompagnata l’impressione che la propria esperienza e opinione di “cittadino dell’est” non valessero niente.
Incomprensione e vittimismo
Non è sorprendente che certe tendenze abbiano un successo maggiore in aree più svantaggiate, con un contesto sociale che include specifiche caratteristiche socio-psicologiche. La strategia del partito neonazista NPD, in passato, si è basato su esattamente gli stessi temi e problemi e si è rivelata vincente, almeno in Sassonia.
Il malcontento a est è sempre stato intercettato da partiti all’estrema destra o all’estrema sinistra del cosiddetto establishment. In altre regioni dell’ex DDR, come la Turingia, era stato il partito di estrema sinistra Die Linke – seppur in modo diverso – a fiutare l’alienazione di molti cittadini dopo il traumatico periodo di trasformazione.
Secondo le analisi post-elettorali, l’AfD avrebbe ottenuto 400.000 voti proprio a discapito dei Linke. Un vero e proprio spostamento di massa da un estremo all’altro dello spettro politico, che potrebbe essere spiegato dalla posizione accondiscendente alle politiche di accoglienza promosse dal governo: il sentimento di deprivazione sentito nei confronti dei migranti è stato abilmente sfruttato dall’AfD, che in questo modo ha tolto ai Linke una grossa fetta di elettori che da anni si sente abbandonata e ignorata.
La maggioranza dei cittadini a ovest non ha mai capito le radici di questa frustrazione, mentre un giudizio basato sull’eterno stereotipo del “cittadino dell’est lamentoso” ha quasi sempre sostituito qualunque tentativo di dialogo. Dopo più di 25 anni dalla riunificazione, è difficile dare la colpa di questo risultato al sistema autoritario della DDR, alla disabitudine degli Ossis alla democrazia, buttando la polvere sotto il tappeto e nascondendo i fallimenti che una riunificazione incompleta ha causato.
A est, il malcontento si presenta inevitabilmente sotto forma di vittimismo, che viene brillantemente sfruttato per creare la classica divisione “noi versus loro”: loro, gli occidentali; loro, i politici; loro, i migranti. Un dato interessante di queste elezioni è che il voto anti-immigrati si è manifestato soprattutto in quelle aree in cui l’immigrazione è minore, come l’est del paese, a dimostrazione che si teme ciò che non si conosce. Nelle immagini, in rosso dove sono presenti più immigrati, in blu dove AfD ha preso più voti.
Non ascoltare le voci e i lamenti degli esclusi, ignorandoli e tacciandoli di essere retrogradi, nazisti o ignoranti si è rivelato controproducente, se si guarda agli eventi politici dell’ultimo biennio. In questo modo – e contro tutti i sondaggi – Donald Trump ha vinto negli Stati Uniti, così ha vinto il sì per la Brexit, così l’AfD ha avuto un grande successo e lo avrà qualunque movimento populista che sappia sfruttare le paure e le ansie delle fasce più inascoltate della popolazione.
Non solo Ossis
L’AfD ha riscontrato molto successo anche a ovest del paese, soprattutto nella tutt’altro che depressa Baviera, dove ha ottenuto un sorprendente 12,4%. I motivi, tuttavia, differiscono da quelli che hanno determinato il successo dei populisti ad oriente. La Baviera è da sempre uno stato conservatore, tutt’oggi non estraneo a una scena estremista che imperava soprattutto negli anni ’90. Esclusivamente in Baviera esiste la CSU, l’ala più conservatrice dell’Unione Cristiano Democratica (CDU), che nell’ambito della “crisi migratoria” aveva preso le distanze dall’apertura di Merkel verso i rifugiati. L’ala bavarese si è radicalizzata proprio su questo tema negli ultimi anni, fino a essere schernita dallo stesso AfD per i presunti tentativi di copiarne le politiche. Il successo dell’AfD in Baviera non è quindi, come a est, il sintomo di un disagio economico e sociale ma della paura del diverso che – come recitavano gli slogan dell’AfD – “inquina il modo di vivere germanico”. Non vittimismo o frustrazione ma rifiuto dell’altro, piccola xenofobia borghese nel cuore ricco d’Europa.
Questo articolo è frutto della collaborazione con MAiA Mirees Alumni International Association. Le analisi dell’autrice sono pubblicate anche su PECOB, Università di Bologna.