Un recente report dell’ONU ha riportato l’attenzione della comunità internazionale sulla situazione dei diritti umani in Crimea. Ne abbiamo parlato con due attivisti, intervenuti a Bruxelles allo scopo di informare i rappresentanti dell’Unione Europea sulle reali condizioni in cui versa la regione.
Le violazioni dei diritti umani
“La situazione dei diritti umani in Crimea continua a peggiorare” afferma Emil Kurbedinov, avvocato e difensore dei diritti umani che vive e lavora a Sinferopoli. Kurbedinov, nel 2017 vincitore del premio conferito dall’associazione Front Line Defenders, da anni lavora in difesa dei tatari di Crimea.
Le repressioni contro la minoranza tatara, di cui Kurbedinov stesso fa parte, sono cominciate con l’annessione della penisola, da secoli patria dei tatari. I tatari sono strenui oppositori del nuovo ordine e vittime prevalenti dell’attuale situazione; tuttavia, tra le fila dei prigionieri politici compaiono anche nomi di ucraini, spesso colpevoli di avere affisso bandiere e simboli, o di aver fatto affermazioni considerate “estremiste” dai servizi di sicurezza russi. Le leggi anti-estremismo e anti-terrorismo sono usate in modo strumentale, al fine di limitare l’opposizione politica, come dimostra il caso dello stesso Medžlis, il parlamento della minoranza tatara abolito l’anno scorso con l’accusa di essere un’organizzazione terroristica.
“Nel 2014, quando sono cominciate le prime repressioni, quasi nessuno si è unito a me nella difesa dei miei connazionali” racconta Kurbedinov. I rischi da intraprendere, effettivamente, sono molti, in quanto arresti e ispezioni avvengono in modo alquanto arbitrario.
Kurbedinov racconta di essere stato arrestato in modo totalmente ingiustificato, mentre si recava in aiuto a un attivista, la cui casa stava venendo perquisita dai servizi federali per la sicurezza russi (FSB).
Le intimidazioni proseguono e l’avvocato racconta di ricevere tutt’oggi telefonate, minacce e “saluti speciali” dagli agenti del FSB, che gli ricordano le conseguenze del suo lavoro. Kurbedinov può ora tuttavia contare sull’appoggio di altri cinque avvocati unitisi alla causa, segno che la paura sta iniziando a venir meno e la resistenza, al contrario, si sta rafforzando. Ciononostante, la situazione dei diritti umani nella penisola continua a peggiorare: rapimenti, sparizioni, arresti e torture sono all’ordine del giorno, mentre l’attenzione internazionale continua a scemare e la penisola si trova, di fatto, quasi isolata.
Le missioni di monitoraggio delle organizzazioni internazionali sono, al momento, praticamente assenti. “Se ci fossero missioni internazionali permanenti,” fa notare Ivan (che ha preferito rimanere anonimo, ndr) “anche coloro che si oppongono in Crimea saprebbero che non sono soli nella loro lotta contro queste costanti vessazioni”. Agli scettici sulla possibilità di una missione di monitoraggio nella penisola, Ivan risponde che se la Russia non permettesse l’ingresso di osservatori internazionali, darebbe a vedere a tutti di avere qualcosa da nascondere. L’attivista prevede che le repressioni diminuiranno poco prima delle elezioni presidenziali russe, quando i riflettori saranno puntati sulla penisola, ma che torneranno sempre più forti dopo la prevedibile vittoria di Putin.
Il muro dell’informazione
Ad aggravare la situazione è l’assenza di media indipendenti che possano documentare l’oppressione esercitata su parte della popolazione. Ivan, a capo di diverse iniziative per la libertà di stampa, racconta che il panorama mediatico in Crimea è diventato monolitico a partire dal 2014: diversi giornali e canali – soprattutto in lingua ucraina e tatara – sono stati forzatamente chiusi, sono stati documentati centinaia di attacchi a giornalisti e reporter, si è assistito a un inesorabile abbandono della penisola da parte di molti di essi.
La propaganda del Cremlino è assordante, mentre ai cittadini della penisola è negato l’accesso a circa quaranta siti internet di informazione. Un vero e proprio tentativo di isolare la Crimea, che rischierebbe di concretizzarsi sempre di più, se il progetto del muro tra la penisola e l’Ucraina andasse in porto.
Ivan non esita ad addossare parte delle responsabilità proprio all’Ucraina: “Tutt’oggi, l’accesso in Crimea passando per l’Ucraina è concesso ai cittadini stranieri esclusivamente nel caso in cui essi siano giornalisti o attivisti per i diritti umani”. La procedura rimane macchinosa e la legge in vigore non aiuta gli appartenenti a queste due categorie, una volta entrati in Crimea: “I servizi segreti russi sanno perfettamente che giornalisti e attivisti sono gli unici autorizzati a entrare, per cui si mettono immediatamente sulle loro tracce” spiega Ivan. Un’altra critica mossa alle autorità ucraine riguarda le indagini condotte sulle violazioni dei diritti umani in Crimea, che appaiono troppo superficiali. Pare che l’Ucraina contribuisca – anche se indirettamente – a isolare la Crimea e a lasciare i suoi cittadini al proprio destino.
Sono proprio ordinari cittadini, improvvisatisi giornalisti e reporter, a sopperire al vuoto dell’informazione originatosi dall’ondata censoria. Grazie a internet e ai social media, infatti, video e informazioni possono essere condivisi praticamente in tempo reale. I cittadini volontari, tuttavia, non sono adeguatamente equipaggiati, non dispongono di una formazione giornalistica, non ricevono supporto di alcun tipo. La situazione della società civile indipendente nella penisola è pertanto assolutamente drammatica, anche a causa della mancanza di risorse finanziarie. Sarebbe un discreto passo avanti – come notano entrambi gli attivisti – se la stampa internazionale si interessasse a questi nuovi “colleghi”, che svolgono il loro lavoro volontariamente e in condizioni di pericolo, riuscendo spesso a offrire un’informazione alternativa a quella imposta dal Cremlino.
Nel frattempo – e anche grazie agli spunti offerti da Emil e Ivan durante i loro incontri – il Parlamento Europeo ha adottato una risoluzione che condanna le violazioni dei diritti umani in Crimea: la speranza è che cresca l’attenzione nei confronti dei cittadini della penisola e che quest’ultima non sia data per persa, come vorrebbe una bieca realpolitik.