Ogni anno a pentecoste decine di migliaia di cattolici si ritrovano a Csíksomlyó (Şumuleu Ciuc in romeno) per rendere omaggio alla Vergine Maria e per partecipare a quello che è considerato il maggiore avvenimento cattolico del bacino carpato-danubiano.
Non è così scontato che in Romania, paese la cui popolazione è prevalentemente di religione ortodossa (l’87% secondo l’ultimo censimento), possa verificarsi un evento del genere. Nel paese le minoranze religiose si concentrano particolarmente in Transilvania e il villaggio di Csíksomlyó si trova proprio nella parte più orientale di questa regione multiculturale, nella provincia di Hargita (Harghita) abitata prevalentemente da ungheresi (i Székely, o Secleri). Questa provincia “è la più ungherese” di tutte, qui infatti gli ungheresi superano l’80% della popolazione e nelle strade è difficile sentire parlare la “lingua ufficiale” del paese (il romeno), nonché quasi la totalità delle insegne stradali e commerciali è bilingue (fatto questo abbastanza raro in Romania).
Incastonata fra le alte catene montuose di Hargita a ovest e di Csíki a est la provincia è riuscita a mantenere più facilmente la propria identità culturale e religiosa, diventando così il principale centro del cattolicesimo in Romania; qui infatti il 70% della popolazione è cattolica.
Le origini del pellegrinaggio
Uno degli elementi che hanno contribuito a mantenere il cattolicesimo nella zona è stata la fondazione di un monastero francescano nel XV secolo a Csíksomlyó. Il cattolicesimo è così riuscito a radicarsi profondamente nel tessuto sociale della valle, resistendo ai successivi tentativi di conversione alla Riforma.
Il pellegrinaggio nasce proprio in ricordo dalla tenace resistenza degli abitanti ai tentativi di conversione forzata all’unitaresimo attuati dal principe János Zsigmond nel 1567. Mentre nelle alture circostanti infuriava la battaglia fra i due schieramenti, le donne della valle si radunarono nel monastero per pregare la Vergine Maria, il cui culto era già fortemente diffuso nelle terre Székely. Da allora i cattolici della Transilvania, ed i Csángo (sui Csángo vedi articolo del 22/02/2011) delle vallate adiacenti, il sabato precedente la pentecoste si recano al monastero per rendere omaggio a Maria.
Negli anni a seguire il pellegrinaggio acquistò sempre più rilevanza fino a coinvolgere decine di migliaia di persone che percorrevano a piedi lunghe distanze per arrivare al monastero. Ancora oggi è tradizione dei Csángo delle vallate del Gyimes percorrere a piedi questa distanza.
Il pellegrinaggio continuò anche quando la provincia di Hargita dopo la prima guerra mondiale cambiò paese di appartenenza, passando dall’Impero Austro-Ungarico alla Romania.
Questa tradizione non si fermò neanche con la seconda guerra mondiale e l’occupazione sovietica. Anzi in quegli anni il pellegrinaggio vide estesa e rafforzata la sua importanza, tanto che nel 1946 si poté registrare un record nelle presenze; secondo i giornali dell’epoca almeno 140.000 persone affollarono i dintorni della Chiesa.
Negli anni successivi le pressioni del nuovo regime comunista si fecero sempre più dure, e l’ultimo anno in cui fu permesso svolgere il pellegrinaggio il vescovo Márton Áron dovette essere protetto dai pellegrini per evitare l’arresto da parte della polizia. Dal 1949 il pellegrinaggio fu vietato e la tradizione fu portata avanti esclusivamente dai monaci francescani.
La rinascita del pellegrinaggio e l’acquisizione di nuovi significati
Con il crollo del regime comunista nel 1989 le Chiese minoritarie poterono tornare a muoversi liberamente nella società ed il pellegrinaggio pentecostale di Csíksomlyó rinacque, come un fiume carsico, con nuova ed inaspettata forza. Il raduno negli anni ’90 vide infatti aumentare costantemente le presenze.
In questo decennio l’evento in sé abbandonò l’esclusività cattolica per diventare sempre più un simbolo dell’identità ungherese nei Carpazi. Attraverso di esso la comunità magiara volle mostrare di essere riuscita a sopravvivere a decenni di oppressione, nazionale e religiosa, e di essere ancora capace di mobilitarsi per difendere le proprie peculiarità ed i propri diritti.
Così negli anni ’90 iniziarono a parteciparvi anche ungheresi di religione protestante o unitaria, ed aumentò vistosamente il numero dei partecipanti provenienti dall’estero e dalle terre della diaspora magiara (Ungheria e Slovacchia ma anche Usa, Australia e Canada).
Il pellegrinaggio è così diventato un vero e proprio “meeting” di tutti gli ungheresi sparsi nel mondo ed ha acquistato un nuovo valore, più strettamente legato a tematiche nazionali, ma che non ha abbandonato il senso religioso e che anzi si è fuso perfettamente con esso, evidenziando ancora una volta di più come religione e nazionalità siano profondamente legate nell’Europa orientale.
Il pellegrinaggio del 2011
Anche quest’anno il pellegrinaggio svoltosi l’11 giugno ha visto la presenza di un centinaio di migliaia di fedeli. Durante la messa il Vescovo ungherese di Székesfehérvár ha ribadito il dovere di tutti i presenti “nell’assumersi la responsabilità per il mantenimento della nazione, del credo e della Chiesa” e di come questa giornata sia una giornata in cui tutti gli ungheresi si debbano sentire uniti e solidali.
Durante l’evento non sono mancati poi i richiami alla politica ungherese ed in particolare alla nuova costituzione (vedi articolo del 19/04). Il Vescovo ha espresso la sue felicitazioni per gli articoli in difesa della vita e del matrimonio come atto esclusivo fra uomo e donna, ammonendo i critici stranieri: “il popolo ungherese non vuole criticare come vivono gli altri popoli, ma non vuole neanche che gli altri popoli lo criticano. Gli ungheresi sanno quello che vogliono”.
Foto di Aron Coceancig
Bravo Aron, articolo interessantissimo, come del resto i popoli di quelle terre!