In Ossezia del Sud, il nuovo anno scolastico si è aperto con delle importanti novità. Il neopresidente Bibilov ha infatti approvato una riforma dell’educazione che riguarda gli istituti primari e secondari, comprese le otto scuole georgiane presenti sul territorio. Per quest’ultime, la riforma prevede, a partire da quest’anno, la liquidazione del georgiano come lingua d’insegnamento, che sarà condotto nelle due lingue ufficiali – il russo e l’osseto. Si potrà tuttavia continuare a studiare il georgiano come materia a parte, e gli alunni delle classi più avanzate potranno terminare il percorso scolastico nella propria lingua madre.
Come dichiarato dal viceministro per l’Istruzione, la riforma si è resa necessaria per uniformare i programmi d’insegnamento e garantire che, nelle scuole della minoranza, essi corrispondano nella lingua e nel contenuto agli standard ministeriali. Questioni pratiche come la mancanza di personale qualificato e capace di insegnare in russo o in osseto sembrano essere meno prioritarie. Anche in Abcasia, una riforma molto simile introdotta nel 2014 aveva soppresso l’insegnamento in lingua georgiana (ne avevamo parlato qui).
Oltre ad essere sintomatiche della deliberata esclusione dalla vita pubblica della lingua e delle minoranze georgiane ancora presenti sul territorio, queste riforme sono il risultato di determinate politiche linguistiche che, in Abcasia e in Ossezia del Sud, mirano a difendere e rinforzare la posizione della lingua cosiddetta “nazionale”. Quali altri paralleli si possono trarre da un’analisi più approfondita della situazione linguistica nelle due repubbliche de facto?
Conflitti separatisti e paradossi linguistici
In Abcasia e in Ossezia del Sud, la questione linguistica, legata a quella dell’autonomia, era stata una delle cause scatenanti della guerra con la Georgia. Nelle due regioni, i conflitti separatisti consumatisi tra l’inizio degli anni ’90 e il 2008 hanno avuto come principale conseguenza una massiccia pulizia etnica della popolazione georgiana. Allo stesso modo, il georgiano, considerato la lingua “dell’oppressore”, è praticamente scomparso dal paesaggio linguistico, perdendo anche lo status di lingua ufficiale. In ognuna delle due repubbliche de facto, la lingua “nazionale” – l’abcaso e l’osseto rispettivamente – è oggi affiancata dal russo, seconda lingua ufficiale.
Nella realtà dei fatti, il russo è oggi la lingua predominante in Abcasia e in Ossezia del Sud. La vita politica e quella pubblica si svolgono principalmente in russo: non solo perché la vecchia generazione ha ricevuto un’educazione “sovietica”, ma anche perché è in aumento il numero di giovani che studiano nelle università della Federazione Russa. Anche nei media, la lingua russa è particolarmente diffusa, e sembra che il pubblico preferisca i media russi a quelli locali, che non reggono il confronto sul piano del budget e della qualità. Come in epoca sovietica, il russo riveste anche l’importante ruolo di lingua franca per la comunicazione inter-etnica. La sua presenza è inoltre promossa da tutta una serie di agenzie governative russe (come Russotrudničestvo e la fondazione Russkij Mir) che hanno sede a Sukhumi e Tskhinvali.
Siamo di fronte a due paradossi: da un lato, sbarazzatesi della lingua “coloniale” (il georgiano), le repubbliche separatiste si ritrovano a dover ricorrere, nella vita pubblica e per i contatti col mondo esterno, al russo – che, alla fine, altro non è che la lingua della vera ex potenza coloniale: l’impero sovietico. Dall’altro, pur proteggendone la de facto autonomia, la Russia sembra gettare un’ombra minacciosa e assimilazionista (linguisticamente parlando) sulle due repubbliche. Sia l’abcaso che l’osseto sono inoltre classificate dall’UNESCO come lingue in pericolo.
Lingue nazionali: prospettive poche, ma si guarda all’Europa?
In Ossezia del Sud, il governo ha intrapreso delle iniziative per potenziare l’insegnamento e incoraggiare le famiglie alla trasmissione intergenerazionale dell’osseto. Altri progetti, tra cui il lancio di un dizionario e di un talk show televisivo in osseto, sono invece stati cancellati per mancanza di fondi. Inoltre, le due varietà dialettali – non mutualmente intelligibili – parlate in Ossezia settentrionale-Alania e Ossezia del Sud pongono un ostacolo ad una possibile cooperazione tra le due entità per la protezione della lingua.
L’Abcasia ha adottato nel 2007 una “legge sulla lingua nazionale” volta a riaffermare la preminenza dell’abcaso, che sarebbe dovuto diventare a partire dal 2015 la sola lingua utilizzata all’interno delle strutture statali. Un piano rivelatosi irrealizzabile data la realtà linguistica del paese, in cui il numero di cittadini non parlanti abcaso è inoltre in crescita. Non solo: da quando il georgiano è stato soppresso nelle scuole della provincia di Gali, l’insegnamento è condotto in russo, e non in abcaso. Una soluzione temporanea secondo le autorità abcase, ma che rischia di protrarsi finché non si troveranno i fondi necessari per la formazione linguistica del personale scolastico e degli alunni stessi.
Pochi giorni fa, a Sukhumi, si è tenuta la presentazione ufficiale di un progetto intitolato “Abazini e abcasi: prospettive per la protezione e lo sviluppo della lingua”. Un collettivo di studiosi e linguisti analizzerà la situazione attuale della lingua abcasa negli istituti scolastici, per poi ispirarsi all’esperienza europea nell’insegnamento e la rivitalizzazione delle lingue regionali: in particolar modo, gli abcasi guardano a Paesi baschi, Catalogna e Galles.
Resta da vedere se, in futuro, un “modello europeo” troverà una concreta applicazione in Abcasia, e se, anche in Ossezia del Sud, il governo riuscirà a mobilitare le risorse economiche e la motivazione necessaria tra i cittadini per far sì che “la conoscenza della lingua nazionale diventi la norma assoluta”. Per ora, la posizione di forza del russo e la dipendenza economica da Mosca non sembrano aprire grandi spiragli di sviluppo per le lingue nazionali delle due repubbliche de facto.
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Immagine: nvdaily.ru